Matteo Squillante, studente di Lettere all’Università di Roma Tor Vergata, ha pubblicato di recente un’analisi del romanzo Petrolio di Pasolini, individuando in quel testo la ragione profonda della morte cruenta dell’autore. Essa gli pare legata non tanto all’indagine sui misteri scottanti di potenti intoccabili, quanto al fatto di aver messo a nudo la banalità del male annidata negli uomini comuni.
“Petrolio”, Pasolini e la banalità del male
di Matteo Squillante
www.newsly.it – 29 agosto 2017
Alla morte di Pino Pelosi lo scorso 21 luglio, unico testimone vivente dell’Omicidio Pasolini, tanti perché senza risposta sono riemersi con prepotenza. Nonostante esista una verità ufficiale, è palese che quella notte del 2 novembre 1975 sia successo altro. Alcuni film hanno provato a ricostruire, con tempi adatti al grande schermo, i punti oscuri di quella notte. Ultimo in ordine cronologico La Macchinazione, film brillantemente interpretato da Massimo Ranieri. Senza parlare di quello più “intellettuale” di Abel Ferrara coronato da un immenso Willem Dafoe.
Non basta un film, però, a comprendere la volontà di privarsi di uno dei maggiori intellettuali italiani; a maggior ragione per chi non ha vissuto quegli anni, alba dell’Italia contemporanea. L’operazione più logica da fare è quella di ripercorrere a ritroso il cammino – fatto di potere e subcultura – che fece trovare la morte allo scrittore friulano. È ciò che lo scrivente ha fatto con molto ritardo. Siamo lontanissimi da Ragazzi di vita o Una vita violenta e anche da Scritti corsari. Si parla di Petrolio, romanzo pubblicato postumo e incompleto nella sua ultima parte. Petrolio è «un romanzo che non comincia», per citare le primissime parole del libro, e non finisce, se non con la descrizione di una surreale festa antifascista in cui vengono recitati versi di Ezra Pound. Nel mezzo c’è la storia di una dissociazione sociale, spirituale e fisica.
Il romanzo è fatto da teoria e prassi; ci sono sia l’analisi fredda della deumanizzazione e della nevrosi nel mondo contemporaneo, sia esempi concreti di uomini mediocri assetati di potere. C’è la storia della carriera di Eugenio Cefis, allora magnate della Montedison e poi dell’ENI; la storia delle influenze della mafia e dei colonnelli greci nei colpi di stato; in ultimo la storia del potere americano in Italia (solo accennata a causa della prematura morte dell’autore). Ma questa è la parte meno rilevante dell’opera. È un racconto meccanicistico e culturalmente irrilevante, necessario solo a sfondare il velo dell’astrazione teorica.
Il vero scopo del romanzo è raccontare una mutazione taciuta, vista dalla prospettiva umanitaria della cultura marxista. Il vero scopo è dare un senso ad un mondo desertificato tramite Misteri e Visioni, preponderanti nella narrazione. Si vuol trattare di santità e infernalità al pari con i mortali, assunti al ruolo di semi-dei, risollevati da una condizione esistenziale mediocre. C’è il rapporto tra spirito e sessualità; gli estremi della narrazione di un piccolo inferno dantesco in cui collocare i nuovi Modelli del Capitalismo.
Perché Pasolini era un intellettuale scomodo
È proprio però la condizione mediocre degli uomini, quella che Pasolini cercò di nobilitare, che ha portato alla sua morte. Hannah Arendt aveva ragione. Gli uomini non compiono del male per un preciso progetto intellettuale, ma per un istinto fisico che li accomuna agli animali. I criminali, coloro che hanno in ogni modo provato a conservare un potere che entrasse nelle vite delle persone, sono uomini e donne estremamente normali.
Pasolini non è stato ucciso per aver capito dove la società italiana si dirigesse – dopo quarant’anni lo si può constatare – bensì per aver svelato le ambizioni di Eugenio Cefis, o per aver ridicolizzato i leader dell’epoca, o ancora per aver accennato al legame tra esercito e mafia. La banalità di dinamiche di potere non funzionali al ruolo profondo della storia.
È d’altronde stupida la pretesa di mettere a tacere la logica intellettuale che arriva a teorizzare gli sviluppi di una società in profondo mutamento. Le novità, infatti, non si sono fatte attendere. C’è da dire che Petrolio non poteva esimersi dalla contestualizzazione storica in quanto non si può filosofeggiare sul presente. Il presente è osservabile, ma, come Hegel insegna, non descrivibile a pieno. Questa contraddizione – non fare ipotesi sul passato, ma sul futuro – rende unico un angolo preziosissimo di letteratura. Rende unica anche la vita di uno scrittore alla ricerca di un opus magnum che racchiudesse l’analisi di decenni di osservazione scrupolosa.
È questo, d’altronde, il destino di chi capisce così bene il suo tempo da fondersi con esso. La contingenza fa diventare esseri antistorici chiunque si avvicini alla grande Verità. Chi è così coinvolto da essere antistorico non può che, in un modo o nell’altro, sopperire. Questa «storia sbagliata» – così definita la vita di Pasolini da De Andrè – non poteva che finire com’è finita.
A Ostia. La notte del 1 novembre 1975.
«Questo romanzo non serve più molto alla mia vita (come sono i romanzi o le poesie che si scrivono da giovani), non è un proclama, ehi, uomini! io esisto, ma il preambolo di un testamento, la testimonianza di quel poco di sapere che uno ha accumulato, ed è completamente diverso da quello che egli aspettava» .
(P.P.Pasolini, Lettera ad Alberto Moravia)
[info_box title=”Matteo Squillante” image=”” animate=””]napoletano di nascita, attualmente vive a Roma. Si definisce idealista e sognatore studente di Lettere presso l’Università di Roma Tor Vergata, osservatore silenzioso e spesso pedante della società attuale. Scrive principalmente politica e temi sociali.[/info_box]
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