Rifacendosi alla prospettiva pasoliniana, Amador Fernández-Savater, figlio del noto filosofo spagnolo Fernando Savater e pensatore e scrittore a sua volta, oltre che attivista per una democrazia di base, sostiene che una forza politica non è niente se non è radicata in un “mondo” che compete con quello dominante, in termini di “forme di vita desiderabili”. Poi s’interroga su cosa potrebbe svelarci oggi uno sguardo antropologico contemporaneo sulla politica: quali sono oggi i mondi in collisione? Per esempio, da una parte c’è quello di una cultura della modernità del Nord, segnata dal dominio di un immaginario – vivere per lavorare, accumulare “sempre più”, ecc. Dall’altra parte c’è la socialità di un Sud che resiste da sempre, seppur poco visibile, e che naturalmente non rinvia e non si radica in puri riferimenti geografici. Questa “diversa” socialità capace anche di ribellarsi, per Amador Fernández-Savater, è prima di tutto un impulso vitale e a-razionale, una volontà di vivere che afferma un certo tipo di legame e una certa idea di felicità: uno stare-insieme antropologico.
Rispetto alle nuove forme di neoliberismo, i valori del Sud hanno mostrato così una potenziale rivincita, affermando altre idee, basate più nel presente che nel futuro, nei legami che nella solitudine, nel tempo disponibile che nella vita per il lavoro, nell’empatia che nella concorrenza, nel godersi la grazia che nell’espiare la colpa per il debito. Nel concetto inevitabilmente alternativo di “una vita che basta a se stessa”, non si tratta di estrarre e accumulare ma di vivere nel piacere di prendersi cura e di condividere, il più vicino possibile, ciò che ci è stato dato, qui e ora. L’insurrezione della socialità del Sud consisterebbe allora nell’affermare politicamente quest’altra idea di felicità e questa potenza sotterranea, principi cardini che Amador Fernández-Savater, sulla scia di Pasolini, ha esposto in un articolo uscito su «Eldiario.es» e che è stato ripreso (con traduzione di Sofia Begotto) da http://comune-info.net – 18 luglio 2017.
La rivincita della socialità del Sud
di Amador Fernández-Savater
http://comune-info.net – 18 luglio 2017
Negli anni ’70, il regista italiano Pier Paolo Pasolini propose di considerare il conflitto politico come uno scontro fondamentalmente antropologico: tra diversi modi di essere, diverse sensibilità e idee di felicità. Una forza politica non è niente (non ha alcuna forza) se non è radicata in un “mondo” che compete con quello dominante, in termini di forme di vita desiderabili.
Mentre gli “uomini politici” della sua epoca (dirigenti di partito, militanti di avanguardia, teorici critici) guardavano al potere statale come al luogo privilegiato per avviare una trasformazione sociale (si prende al potere e si cambia la società dall’alto), Pasolini avvertiva – con sensibilità poetica, sismografica – che il capitalismo stava avanzando attraverso un processo di “omologazione culturale” che stava logorando i “mondi altri” (contadini, proletari, sottoproletari), contagiando i valori e i modelli di consumo “orizzontalmente”: attraverso la moda, la pubblicità, l’informazione, la televisione, la cultura di massa ecc.
Il nuovo potere non emana, irradia o discende da un punto centrale, si propaga invece “indirettamente, nel vissuto, nell’esistenziale, nel concreto”, diceva Pasolini. Nei vestiti e nelle posture, nella serietà e nei sorrisi, nei gesti e nei comportamenti, il poeta decifrava i segni di una “mutazione antropologica” in corso: la rivoluzione del consumo. Frenarla dal potere politico sarebbe stato come tentare di contenere un’inondazione con un piccolo tubo. Non è possibile imporre altri contenuti o finalità all’interno di un contesto inalterato di accumulazione e crescita. Piuttosto è il contrario: sarà il modo di produzione-consumo a determinare i margini di manovra del potere politico. Una civiltà si ferma solo con l’arrivo di un’altra. Sono necessari altri vestiti e altre andature, un’altra serietà e altri sorrisi, altri gesti e altri comportamenti.
La contesa politica (che non è un semplice gioco di troni) esprime un “disaccordo etico” tra diverse idee di vita o, ancor meglio, di buona vita. Non sono idee fluttuanti, enunciate in maniera retorica, ma idee pratiche incarnate, materializzate, contenute nei gesti e nei dispositivi più quotidiani (Facebook, Uber o Airbnb sono figure del desiderio, da qui deriva la loro forza). Che cosa potrebbe svelarci sulla politica uno sguardo antropologico? Quali sono i mondi in collisione oggi? A quali disaccordi etici sulla buona vita potrebbero giungere delle azioni politiche trasformatrici?
Il vecchio spirito del capitalismo
Facciamo prima un passo indietro. Dove è nata l’idea di organizzare la vita intera attorno al lavoro, l’efficienza e la produttività? Secondo Max Weber, la cultura borghese trova le sue origini, il suo motore e il suo combustibile nell’etica protestante (soprattutto il protestantesimo ascetico). Attraverso la ri-concettualizzazione del lavoro come “professione” e la teoria della predestinazione (solo nel successo terreno è possibile riconoscere i segni della nostra salvezza), si produce una soggettività che mette al centro della vita il denaro e l’arricchimento, che aspira alla “razionalizzazione” dell’intera esistenza (la relazione con il tempo, il corpo, l’onore, l’educazione dei figli), che condanna la povertà ad essere il peggiore di tutti i mali (“scegliere la povertà è come scegliere la malattia”), ecc.
Questa soggettività non è un “riflesso automatico” dell’oggettività economica, ma un elemento decisivo della “cultura capitalista” senza la quale semplicemente non c’è il capitalismo. Solo un nuovo tipo di immaginario e di soggettività (una nuova organizzazione del desiderio) poteva avere la forza necessaria per frantumare la “mentalità tradizionalista” (allora imperante) secondo la quale non si vive per lavorare (che sarebbe assurdo), ma si lavora per vivere e, se si dispone di ricchezza (per lavoro proprio, altrui o per puro caso), ci si dedica allora alla contemplazione o alla guerra, al gioco o alla caccia, a dormire tranquilli o al godimento sensuale della vita, ma non ci passerebbe mai per la testa di reinvestirla per continuare ad accumulare.
La cultura borghese nasce pertanto dalla potenza di un immaginario religioso, che viene successivamente abbandonato, laicizzando i suoi valori: il senso di responsabilità individuale, il self made man, la meritocrazia, il credito, il progresso, la sensibilità puritana e severa, ecc. La modernità è stata in misura predominante una “cultura del Nord” : anglosassone, maschile, bianca e protestante. Il dominio di questo immaginario (vivere per lavorare, investire i guadagni per ottenerne degli altri, sottomettere tutti gli aspetti della vita a un controllo regolamentato e sistematico, ecc.) non è però mai stato del tutto completo.
La socialità del Sud
Secondo il sociologo (della vita quotidiana) Michel Maffesoli, una “socialità del Sud” è sempre esistita, da sempre persiste e resiste. È una socialità diffusa, sommersa e occulta, difficile da vedere, ma presente, capace di ribellarsi e attivarsi quando si sente minacciata. Una dinamica informale (forme di legame, di appartenenza soggettiva, di fare nella pratica) determinante nella vita di tutti i giorni, come un substrato o uno “strato freatico“ dell’esistenza collettiva.
In cosa consiste questa socialità del Sud? È prima di tutto un impulso vitale, a-razionale. È una volontà di vivere, un voler vivere. Non di vivere come capita, ma affermando invece un tipo di legame, un tipo di esistenza, una certa idea di felicità: uno stare-insieme antropologico. È anche un insieme di saperi e di strategie per riprodurre quegli stessi legami e forme di vita.
Questo “Sud” originariamente e storicamente si riferisce ai paesi mediterranei e latino-americani, ma nell’opera dell’autore diventa un concetto più versatile, che allude più a “valori” e “climi affettivi“, che a una localizzazione geografica. In questo senso, ci sarebbe un “Sud nel Nord”, così come un “Nord nel Sud”. Colonia (vivace, allegra, loquace, proletaria) sarebbe il “Sud” in Germania mentre la Francoforte della finanza sarebbe il “Nord”.
Possiamo dedurre cinque “valori” (ciò che conta) per questa socialità del Sud:
– In primo luogo, il presente: la vita non si proietta “verso avanti” (un futuro di salvezza, di perfezione), ma si afferma “ora”. Questa leggerezza verso il domani non esclude (paradossalmente?) un’ostinazione a riprodursi e a durare. La temporalità della socialità del Sud è intensa e non estesa, ma non si impegna a “perseverare nel suo essere”.
– In secondo luogo, il legame: la vita c’è in continuità con gli altri, intersecata con gli altri, intrecciata con gli altri. Non solo per necessità, ma anche per il piacere di condividere. Il legame più apprezzato è quello vicino, prossimo, a portata di mano (il tatto è un valore). Questo “qui” non ci separa da ciò che sta “lì” (cioè che è lontano), al contrario: a partire da ciò che viviamo “qui”, ci può suonare familiare qualcosa “lì”.
– In terzo luogo, l’aspettotragico: la consapevolezza dell’anarchia di ciò che c’è, di ciò che è. Non si tratta di “risolvere” o “ superare” ciò che è dato (incerto, buio, molteplice), ma piuttosto di sapersi “destreggiare” in esso. Un’altra relazione quindi con il male, il rischio o la morte, che non sono qualcosa da sradicare (secondo le logiche imperanti di controllo, sicurezza e totale prevedibilità), ma sono invece un aspetto della vita (e possono anche essere forza, leva, se siamo capaci di ingegnarci).
– In quarto luogo, l’aspetto dionisiaco: non è la vita chiusi in se stessi (lavoro, successo, progresso), ma una vita “estatica” che cerca di uscire da sé attraverso il pieno godimento del corpo, il gusto per la maschera e il travestimento (le apparenze), la fusione con l’altro nelle celebrazioni collettive (musicali, sportive, religiose), ecc. Eccesso, spreco, vertigini, abnegazione, distruzione: l’aspetto dionisiaco è un tentativo di approccio con l’alterità.
– Infine, il doppio gioco: non la passione per ciò che è dritto, frontale ed esplicito, ma per la deviazione, l’astuzia, l’improvvisazione, l’ingegno, la fatica, la duplicità, la dissimulazione, il gioco con la legge e la norma, le strategie non convenzionali di conservazione e sopravvivenza (mia e dei miei). Non la passione di correggere e indirizzare, ma di tirare a sorte, contrattare, dribblare e burlarsi.
La crisi come occasione
Gli economisti neoliberali offrono la loro lettura “antropologica” del mondo e concludono che la crisi economica del 2008 ha a che vedere con “l’insufficiente mobilità geografica”, il “limitato spirito imprenditoriale”, “la famiglia come ancora di sicurezza”, il “lavoro informale” o “l’indifferenza (o persino il rifiuto) verso l’arricchimento”, aspetti che caratterizzano ancora troppo i paesi del Sud (i cosiddetti PIGS: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, nessuno dei quali, peraltro, è un paese protestante). Alla luce di queste analisi, vediamo come opera la socialità del Sud.
È possibile leggere la gestione neoliberale della crisi come un tentativo di sopprimere in ultima istanza tutte queste “inadeguatezze culturali” e accelerare in questo modo “il divenire mondo del capitale” (Laval e Dardot)? La crisi del debito sarebbe in questo senso l’occasione perfetta per scatenare la “distruzione creativa” di tutto ciò che, dentro e fuori di noi, ci fa diffidare dei pensieri e delle azioni che ci vogliono semplici atomi sociali, particelle egocentriche svincolate, macchine del calcolo egoista. Abitudini e vincoli, affetti e solidarietà.
Eliminando le protezioni sociali, indebolendo i diritti associati al lavoro, favorendo l’indebitamento generale di studenti e famiglie, allargando la precarietà, riducendo i salari e la spesa sociale, non si fa altro che fomentare il “si salvi chi può” e distruggere tutto quello che garantiva alle persone un certo margine di libertà rispetto al mercato. Tutto ciò che c’è “tra” i viventi e che li rende qualcosa di più che semplici “particelle elementari” in competizione: legami di ogni sorta, diritti conquistati, luoghi vivi, risorse pubbliche e comuni, reti di solidarietà e mutuo soccorso, circuiti non commerciali di beni e servizi, ecc. La base materiale di qualsiasi autonomia. Governare oggi consiste esattamente nel corrodere questo “tra”, questa trama densa di legami, affetti, mutuo aiuto. Ma proprio quando si vorrebbe “estirpare”, ecco che la socialità del Sud si tende e si attiva. Nella Spagna della crisi sono proliferati, per esempio, dei micro-gruppi informali di solidarietà e mutuo soccorso (familiari, di vicinato, tra amici) che hanno mitigato gli effetti devastanti della gestione neoliberale della crisi: paura, solitudine e abbandono. Una proliferazione che racchiude in sé il paradigma liberal-individualista: “ognuno ha la propria vita”.
Proprio quando ci hanno detto che “avevamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” e che si doveva espiare e pagare, i valori del Sud si prendono una rivincita, affermando e diffondendo altre idee di ricchezza e felicità: basate più nel presente che nel futuro, più nei legami che nella solitudine, più nel tempo disponibile che nella vita per il lavoro, più nell’empatia che nella concorrenza, più nel godersi la grazia che nell’espiare la colpa per il debito.
Il nuovo spirito del capitalismo
Ancora più difficile. Secondo alcuni autori, oggi staremmo attraversando il passaggio verso il superamento (intensificazione, radicalizzazione?) del vecchio “spirito” del capitalismo, di cui Weber studiò le origini.
Per esempio, secondo Franco Berardi (Bifo), la borghesia “viveva ancora nei legami” (con una comunità, dei luoghi, dei beni fisici, una classe lavoratrice che non poteva sopprimere, la relazione tra valore e tempo del lavoro). Tuttavia, il capitalismo finanziario è molto più astratto: non si identifica con un luogo, con una popolazione concreta, con una classe lavoratrice, con una regola, anche se le sue decisioni hanno conseguenze (devastanti) su luoghi, popoli, lavoratori, ecc.
D’altra parte, secondo Christian Laval e Pierre Dardot, questa logica di accumulazione infinita del capitale è diventata oggi una “modalità soggettiva”. Cosa vuol dire questo? Significa che l’“homo œconomicus” (definito per la sua prudenza, la sua ponderazione, l’equilibrio negli scambi, la felicità senza eccessi, il bilanciamento tra sforzi e piaceri) è stato sostituito “dall’imprenditore di se stesso” (definito per la competizione e l’auto-superamento continuo: vivere nel rischio, andare oltre i propri limiti, avere uno squilibrio costante, non riposare o fermarsi mai, riversare tutto il piacere nell’auto-superamento). Esiste un’espressione, secondo gli autori francesi, che riassumerebbe il tratto soggettivo del capitalismo attuale: “sempre di più”. Il piacere di non avere limiti.
In questa trasformazione bisognerebbe rivalutare la resistenza della “socialità del Sud”, oggi che, per esempio, la cultura capitalista non esige più la repressione dell’aspetto affettivo/passionale, ma piuttosto una sua completa strumentalizzazione al servizio della logica del guadagno: la strumentalizzazione dell’intimo. Senza dubbio, l’espressione “una vita che basta a se stessa” continua ad essere assolutamente sovversiva (oggi più che mai?). Una vita che non vuole estrarre e accumulare “sempre di più”, ma che vive nel piacere di prendersi cura e di condividere, il più vicino possibile, ciò che ci è stato dato, qui e ora.
L’insurrezione della socialità del Sud consisterebbe nell’affermare politicamente quest’altra idea di felicità, questa potenza sotterranea, questo mare di fondo.
Riferimenti bibliografici
Cartas luteranas (Trotta) y Escritos corsarios (Ediciones del Oriente y el Meditarráneo), de Pier Paolo Pasolini
A nuestros amigos y Ahora (ambos en Pepitas de Calabaza), del Comité Invisible
La ética protestante y el “espíritu” del capitalismo (Alianza), de Max Weber
La sublevación (ediciones castellanas en Hekht y Artefakt), de Franco Berardi-Bifo
La pesadilla que nunca acaba (Gedisa), de Christian Laval y Pierre Dardot
El tiempo de las tribus (Icaria), La tajada del diablo (Siglo XXI), La transfiguración de lo político (Herder), de Michel Maffesoli
Articolo pubblicato su «Eldiario.es» con il titolo: Una vida que se basta a sí misma: la revancha de los “valores del sur”
Traduzione per Comune-info di Sofia Begotto
*Foto in copertina: © Vittorio La Verde