Raboni: poeta senza poesia. Asor Rosa: no, si legga Leopardi
di Paolo Conti
dall’archivio storico de «Il Corriere della Sera», 2 novembre 1995
Anniversari. Vent’anni fa l’uccisione dello scrittore a Ostia.
Tutto il mondo ricorda lo scrittore e s’ interroga sulla sua figura di ribelle, provocatore e profeta.
Pier Paolo Pasolini. Un poeta d’opposizione, afferma il titolo della mostra multidisciplinare che si apre domani al Palazzo delle Esposizioni, a Roma, a vent’anni da quella notte di morte all’Idroscalo di Ostia. E sulla parola che definisce Pasolini “poeta” si e’ scatenata una doppia polemica. La prima sul valore del Pasolini poeta. La seconda sulla contrapposizione “poesia civile” / “poesia d’opposizione”.
La prima nasce da una confutazione di Giovanni Raboni apparsa recentemente su «L’Espresso». Pasolini sarebbe “un poeta senza poesia” perché quelle opere “sono, con pochissime e non decisive eccezioni, dei ragionamenti in versi, privi di un concreto e autonomo spessore figurale e di un’autentica immaginazione formale”. Raboni argomenta che “lo strano destino” di Pasolini sia stato quello “d’essere un poeta in tutto, nella critica come nel giornalismo, nella filologia come nel cinema. In tutto, tranne che nella poesia”.
Affermazione che irrita Alberto Asor Rosa. “Mi sembra un’opinione, affatto condivisibile, dettata da un concetto circoscritto e parziale di poesia”, obietta. “Raboni tende a sovrapporre alla nozione generale di poesia la propria personale pratica di poeta. Basterebbe ricordargli che molta parte di Leopardi è ragionamento in versi…”.
Distingue il poeta Valerio Magrelli: “Quella di Raboni mi pare un’idea macchinosa. Spostare il concetto di poesia dall’ambito strettamente testuale a qualsiasi tipo di produzione espressiva serve a poco. Pasolini, questo è il suo paradosso, è un artista rinascimentale fuori tempo massimo. La poesia probabilmente non è l’aspetto più importante della sua opera. E vero, ha scritto alcuni magnifici poemetti, è stato un critico tra i maggiori del dopoguerra, un regista tra i massimi mai esistiti. Quindi se vogliamo un ‘uomo folla’ alla maniera di Pessoa”.
La seconda querelle parte da un’ intervista di Pasolini del ’58, utilizzata da Laura Betti per dare il titolo alla mostra. Disse allora Pasolini: “Non credo che la mia poesia si possa chiamare ‘civile’. Non lo è per definizione in quanto è poesia di opposizione, continua, quasi aprioristica. Mentre la poesia “civile”, come si è intesa e fatta finora, è sempre stata poesia consenziente alle istituzioni e in opposizione riformistica”. Dice Enzo Siciliano, primo biografo pasoliniano: “Non ho mai condiviso quella contrapposizione. Forse Pasolini temeva confusioni con la poesia civile italiana fatta di ideali borghesi e risorgimentali”. Carducci, per esempio? “Già , Carducci. Ma Carducci e’ veramente ‘di destra’? E ‘di destra’ l’Inno a Satana? Pier Paolo desiderava insomma tutelare la purezza ‘di sinistra’ della sua posizione. Perché non c’è dubbio che il poeta Pasolini sia di sinistra, come pure il narratore di Ragazzi di vita che apre l’armadio del boom economico e scova lo scheletro nascosto”.
Giulio Ferroni, titolare di Letteratura italiana alla Sapienza, sostiene che non necessariamente la poesia civile sia sinonimo di consenso: “Poeta civile è chi prospetta un modello di dimensione comunitaria e quindi anche chi critica l’irrazionalità del potere. In quest’ottica Pasolini è poeta civile che aggredisce il fondo della vita. Succede sempre così ai grandi poeti: a posteriori si scopre un modello di bene per la società da parte di chi si è confrontato col male. Si potrebbe citare Saba che spiega come ogni estremo di male un bene annunci”. Sarebbe il sommario adatto per il saggio che Achille Bonito Oliva dedicherà a Pasolini nel volume Il corpo dell’arte dove dirà che Pasolini “vate di carne, e di sinistra, dissipa la propria corporeità, quindi anche nella vita è poeta di opposizione”. Ferdinando Adornato (sta preparando per il prossimo numero di «Liberal» il libro Interviste corsare, cioè tutto il Pasolini intervistato) propone invece una “ritraduzione” della parola opposizione: “Quell’espressione, letta oggi, può essere fuorviante. Il problema di Pasolini non era “l’alternativa” ma “l’alterita’ “. Niente a che vedere con la differenza maggioranza opposizione. Qui siamo di fronte a un’opposizione per dire antropologica, un’alterità di modo di ragionare. Perciò Pasolini resta irriducibile a qualsiasi etichetta. Hanno provato a rivendicarlo a posteriori da destra e da sinistra con scarso successo. Tutto ciò è, e resta, la sua forza”.