Pasolini, Holan, Raboni e, nel sottinteso, Montale

«Vladimir Holan: SÌ (naturalmente). Grazie alle cure di Serena Vitale, che non sbaglia un colpo, un’ombra ha preso corpo, un “nome” è diventato un fatto. Holan è entrato nel novero dei poeti letti». In questi termini ammirati, sul «Corriere della Sera» del 14 aprile 1974,  si espresse Pasolini a proposito della poesia dello scrittore praghese Vladimír Holan.
In Italia, allora, Holan era un autore praticamente sconosciuto o conosciuto per poche opere, come per i versi di
Una notte con Amleto, fatti circolare nel 1966 grazie a Angelo Maria Ripellino, o della raccolta  In progresso,  tradotta in parte da Serena Vitale e uscita nel 1974 su quell’ «Almanacco dello Specchio n.3» che motivò la recensione di Pasolini. Può stridere il fatto che invece, nel Frammento I del dramma teatrale Bestia da stile, Pasolini metta in bocca al personaggio di Jan, suo alter ego, un irriverente, ferocissimo attacco al poeta ceco, un «eremita» – si legge- deturpato in un vezzeggiato, laido e tremante «borghese […] venerato», un «poeta da teatro» capace solo di fare «il gesto di scrivere poesia anziché scrivere poesia».
Per primo è stato un altro poeta, Giovanni Raboni, a sciogliere questa aporia. Nel 1991, nella prefazione ad una nuova opera di Holan,
Il poeta murato, uscita a Roma per le edizioni del Fondo Pier Paolo Pasolini, egli fece intendere che  dietro il velenoso ritratto era in realtà infilzato Montale, autore a sua volta di un precedente attacco a Pasolini altrettanto al vetriolo, la nota Lettera a Malvolio.
Qui di seguito pubblichiamo due testi che permettono di conoscere l’enigmatico spessore “notturno” e metafisico della parola di Holan, una leggenda anche sul piano biografico per la scelta di autorecludersi per sempre nella casa sulla Moldava nell’isola di Kampa, senza alcuna compromissione con il mondo. Da un lato, un articolo di Fabio Pedone del 2015 si addentra nell’opera di Holan con ricchezza di dati, attenti anche alla ricezione italiana. Dall’altro, Giovanni Raboni, di cui è proposto uno stralcio della premessa del 1991 a Il poeta murato, si sofferma in particolare sulla apparente contraddizione del giudizio di Pasolini verso il poeta ceco e, come si è detto, ne svela il retroscena e il perché.
In chiusura, alcune poesie di Holan, a riprova del valore di una grande voce poetica da riscoprire e meditare. «Ab
baglianti catastrofi del senso – ha scritto Raboni-,  sentenze che non sentenziano su nulla perché non sentenziano che sul tutto, microallegorie che non rimandano a altro che a se stesse, formulazioni e analisi, rigorose sino allo spasimo del non formulabile e del non analizzabile … […]. Anche se non capiamo di cosa parla [Holan], sentiamo che parla nel meno vago e misterico, nel più piano, preciso e “ragionevole” dei modi; non sappiamo cosa dice, ma siamo sicuri che dice  la verità: un paradosso di cui solo la grande musica riesce a farci persuasi e partecipi». (a.f.)

L'orologio del campanile di Amatrice fermato dal sisma

Vladimír Holan, crampi di senso a somma zero
di Fabio Pedone

https://ilmanifesto.it – 5 luglio 2015

Poco prima di morire, Jaroslav Seifert disse a un amico: «Io probabilmente rimango nella poesia ceca. Ma con me finisce un’epoca … Una nuova epoca ebbe inizio con Holan, il più grande tra noi, poiché aprì alla poesia ceca nuovi orizzonti, non ancora mappati, che neanch’io comprendo ancora». Non solo nella poesia ceca, ma in quella europea e mondiale, Vladimír Holan ha aperto un territorio ignoto, i cui punti cardinali sono abissalmente diversi da quelli conosciuti.
Si deve alla genialità di Angelo Maria Ripellino, suo ammiratore e amico, se il nome di questo solitario praghese ha fatto emigrare la sua fama dall’Italia in tutto il mondo. Quando nel 1966 uscì Una notte con Amleto nella «bianca» Einaudi, tradotto da Ripellino, il mondo letterario italiano si accorse di trovarsi di fronte a un poeta al quale avrebbe poi sempre guardato con enorme rispetto se non con venerazione. Recensendo l’Almanacco dello «Specchio» 1974, che ospitava traduzioni di Serena Vitale dalla raccolta In progresso, dedicata da Holan a Ripellino, Pasolini parlò del compiersi di un miracolo: «Holan è entrato nel novero dei poeti letti».
In anni più vicini ai nostri, venne inaugurato un provvidenziale progetto di traduzione dall’ultimo tempo della poesia di Holan, quello che fa riferimento grosso modo alle quattro raccolte finali. Si deve a Marco Ceriani, con la guida attenta di Giovanni Raboni, l’insistenza su questo percorso scandito da diverse pubblicazioni in rivista e da volumi importanti, tra cui Il poeta murato (uscito nel 1991 per le edizioni del Fondo Pier Paolo Pasolini) e A tutto silenzio, apparso nel 2005 negli Oscar Mondadori.
L’approdo più recente, che negli auspici migliori dovrebbe reimmettere un gigante della statura di Holan nel circolo dei poeti letti in Italia, è un’antologia autenticamente corposa, che comprende più di trecento poesie di Holan con traduzione dal ceco di Vlasta Fesslová riportata in versi italiani da Marco Ceriani, pubblicata dalle edizioni Arcipelago con il titolo Addio?  (prefazione di Giovanni Raboni).
La storia di Vladimír Holan divenne fin da subito leggendaria. Nella memorabile introduzione al libro con cui lo presentava, Ripellino parlò della «notturnalità» di questa poesia, divisa, almeno fino al dopoguerra, fra la sperimentazione barocca dell’enigma e la demonìa narrativa di un teatro metafisico insonne, con cui questo nuovo Giobbe, «salmista di un’epoca tragica», delimitava tra pietà e cupa ironia la condizione umana.
Inviso al regime cecoslovacco per il suo rifiuto di ogni compromissione e le sue dichiarazioni non conformi, dal 1948 Holan fu praticamente impossibilitato a pubblicare per i quindici anni seguenti. È da allora che, complice la scomparsa degli amici più cari e la necessità di opporsi allo stato delle cose tutelando la concentrazione necessaria alla sua scrittura, partì il suo leggendario isolamento nella casa con le finestre perennemente chiuse sulla Moldava, nell’isola di Kampa. «Incrocerò le parole…». Nacque così nella sua cerchia il mito di Holanesia, il mondo onirico del poeta murato in una casa spoglia, in penombra, con il suono dell’acqua del fiume a scorrere in sottofondo e la cantilena di Katerina, sua figlia, nata con la sindrome di Down.
Furono anni di spaventose ristrettezze economiche. Seduto nelle notti praghesi alla luce della lampada, mentre scriveva e traduceva dicendo «non conosco nessuna lingua ma le capisco tutte», inflessibile nei confronti di qualunque concessione al potere vigente, con l’immancabile sentinella di un fiasco di vino poggiato sul tavolo, Holan fu costretto per vivere a offrire anche trascrizioni a mano dei suoi versi, che vendeva con la dicitura Rhymes to be traded for bread. Gli amici si prodigavano per trovargli occasioni di guadagno.
Si moltiplicano i racconti sulle visite al solitario di Praga, o sugli incontri storici, come quello del 1949 con Dylan Thomas: i due poeti rimasero in piedi tutta la notte a bere e a parlare in un idioma creato sul momento, con regole specifiche e una mimica singolarissima, una lingua nella intonazione della quale il ceco e l’inglese si superavano a vicenda diventando inservibili e aprendo le porte a un’oltrelingua.
Mentre al cabaret Viola partivano, replicate per lunghi anni con successo, le recite del suo poema più celebre, Una notte con Amleto, con la morte della madre l’isolamento di Holan si accrebbe e la sua poesia scartò lontano dai poli del «verticalismo» e della «laidezza» che ne avevano caratterizzato l’avventura. Non sarebbe più uscito di casa per vent’anni. Ed è da qui che l’antologia di Arcipelago prende le mosse: da In progresso (scritta nel 1943-48 per esser pubblicata solo negli anni Sessanta, che diventa così la raccolta di Holan più testimoniata nelle traduzioni italiane) e dagli ultimi due libri, elaborati fra il 1968 e il 1977 ma usciti dopo la morte del poeta nel 1980: Penultima e Addio? Parrebbero appunti presi in fretta nella forma disponibile e intima del diario, della nota di taccuino, ma sono anche tessuti di parole scostanti, immersi in quella «non parafrasabilità» che fu infallibilmente notata da Raboni nella sua prefazione del 1991, ora riproposta: «formulazioni e analisi, rigorose fino allo spasimo, del non formulabile e del non analizzabile…».
Tra queste pagine, enigmi in cui l’ordito dei concetti non si fa concettosità, con una torsione barocca continuamente sconfessata e deviata dall’uso ostinato dei puntini di sospensione; e in cui la chiusa sentenziosa non è un oracolo astratto e allineato a un’idea di verità ma una constatazione accanitamente terrestre e umana, inchiodata al paradosso, che «conosce non conoscendo». Già negli anni quaranta, nel diario pubblicato con il titolo Lemuria, Holan scrisse: «Che sia la musica, là dove comincio a non capire! Sogno il diario perduto di Orfeo sulla navigazione con gli Argonauti, sogno le partiture smarrite di Pindaro e il ritratto scomparso di Cecilia Gallerani». L’ultimo tempo della sua poesia è, nelle parole dei curatori, «l’estrema propaggine di quel “folle tentativo”» che fu per lui l’armonia atonale: richiamandosi alle tecniche della musica seriale, allineava e incrociava cellule di suoni minimi, groppi di fonemi, annodando crampi di senso sottratto in uno spazio reinventato fra pensiero e distrazione, scatenando cortocircuiti in una logica dell’inconseguenza apparente che chiama il lettore a ripensarsi dentro le sue nuove dimensioni. «Sempre cerchiamo il centro … Ma lui, come un punto, / è cieco … Cercando il suo cuore, / cerchiamo la cecità … E da tempo già ciechi, / siamo soltanto un tastare».
La sua è una poesia non euclidea che porta in sé anche un tratto taoista, la cui via indica innanzitutto la non ricerca di una via; una voce volta a volta evanescente o convulsa, febbrile, attonita e spietatamente saggia, che commercia con i piani più sfuggenti e definitivi dell’essere, dove il mondo e la presenza umana ormai non sono altro se non un fondale per le evoluzioni inafferrabili della coscienza che si scrive.
La sua vocazione più forte, in cui precipitano anche la maledizione del sesso e dell’infanzia irraggiungibile, è diretta alla scoperta della «morte prima della vita» come dimora primigenia ed eternamente perduta, sotto la sferza dell’irrevocabile: «Quello che bramate, e cercate, / quello che servite, e amate, / e invocate, perché vivete – / lo esaudirà per voi forse il destino, / ma voi non ci sarete …». Estremo erede di Baudelaire e di Rilke, Vladimír Holan si interroga sull’atemporalità come alternativa a un esistere materiato di muri (grande metafora ossessiva di Holan, così come la cecità e il buio). Ma la commedia tragica della conoscenza si risolve, negli ultimi vertiginosi testi, in un giro a vuoto, in un gioco a somma zero: «La vita è un ben leggibile mistero. / Meno male che non sappiamo leggere!».

Vladimír Holan
Vladimír Holan

Giovanni Raboni
dalla prefazione a “Il poeta murato” di Vladim
ìr Holan
edizioni “Fondo Pier Paolo Pasolini”, Roma, 1991

https://viadellebelledonne.wordpress.com – 23 marzo 2011

 (…) Nessuno di noi vuole per altro nascondersi, o nascondere al lettore, che non solo la copertina di questo libro, ma il libro stesso – la sua esistenza, la sua comparsa in questa collana – è o può sembrare una sorta di ossimoro. Quando, nel 1975, compì settant’anni Holan, una rivista italiana (…) pubblicò, assieme a una sua breve poesia inedita (…), anche dei versi, pure inediti, di Pasolini, intitolati «Guardo le finestre chiuse della casa di Holan» [Questo verso compare ora nel Frammento I in Bestia da stile, ndr]. E questi versi erano, anzi sono (anzi possono sembrare) un attacco a Holan, che Pasolini descrive come un eremita «divenuto venerabile» la cui privatezza è «vezzeggiata e protetta» dalle «migliori signore borghesi», un vecchio malato le cui mani «non gli servono più se non a tremare» e che sorbisce «brodi e tè/ come un piccolo sublime porco ferito/ ingrugnato e affabile», un «poeta da teatro» che fa «il gesto di scrivere poesia anziché scrivere poesia». … Nella decisione di pubblicare questo libro nei “Quaderni di Pier Paolo Pasolini” qualcuno potrebbe vedere una volontà di paradosso, una bizzarra e un po’ sconsiderata provocazione. Come interpretare, come giudicare altrimenti la presenza di un poeta che Pasolini non amava, al quale Pasolini si rivolgeva con dura estraneità e quasi con ripugnanza, nella collana che porta il suo nome?
Si rassicuri il lettore: le cose non stanno così. Che Pasolini, lungi dal non amare la poesia di Holan, la apprezzasse grandemente e desiderasse conoscerla più di quanto la conosceva, lo prova in modo inequivocabile un articolo uscito il 14 aprile 1974 sul «Corriere della Sera» (…) : «Un’ombra che prese corpo , un “nome” che è diventato un fatto. Holan è entrato nel novero dei poeti letti». E allora? Come si conciliano queste parole di naturale “consenso”, di lieta soddisfazione per un incontro ormai realizzato, con il ritratto impietosamente negativo consegnato ai suoi versi? La spiegazione dell’enigma è abbastanza semplice (…). La poesia [contro Holan] non è una poesia a sé stante (…) ma è parte di un lungo travagliato lavoro di Pasolini durato un intero decennio attorno alla sua ultima opera teatrale, Bestia da stile. (…). Intento a scrivere e riscrivere accanitamente, con Bestia da stile, una sorta di autobiografia tragica in cui il protagonista (cioè lui stesso) è “mascherato” da Jan Palach e ambienti e vicende subiscono di conseguenza, pur mantenendo ben visibile in filigrana la loro vera identità, cronologia e storia, un puntiglioso e volutamente incredibile “viraggio” praghese, Pasolini fu colpito, leggendo l’”Almanacco dello specchio”, non solo dai testi di Holan, ma anche dalla condizione di Holan, la quale veniva descritta nell’introduzione, premessa ai testi delle traduttrice – premessa in cui si poteva leggere, e Pasolini certamente lesse, del «leggendario, volontario isolamento» del poeta, ossia di come egli, »rinchiuso nella sua casa praghese sull’isola di Kampa» rifiutasse «con drammatica, ormai irreversibile ostinazione, ogni sortita, materiale o metaforica, nel tempo e nello spazio presenti». Non occorre essere un detective per capire come l’immaginazione di Pasolini si sia potuta fulmineamente impadronire di questa notizia e, sull’onda della sua suggestione, trasformare Holan in un personaggio aggiunto di Bestia da stile, in una sorta di antagonista a posteriori di Pasolini-Palach. Al «poeta da teatro» che, recluso volontariamente nella sua torre d’avorio, fa «il gesto di scrivere poesia» e coltiva la propria «santità» sotto la protezione della migliore borghesia, Pasolini-Palach (non dimentichiamo che è Jan, nel Frammento a pronunciare la requisitoria) contrappone la diversissima condizione da lui scelta: «io che mi spendo», «la possibilità che ho depennato», «il fatto/ di sé esempio, come tu hai fatto, non era affar mio» (…). Non credo occorra aggiungere altro (…). Se non temessi di apparire troppo malizioso (…), insisterei (mentre mi limito ad accennarvi) sulla mia impressione che il poeta vezzeggiato, decrepito e tremante, ritrovato nei versi di Pasolini assomigli infinitamente di più al vecchio Montale che a Holan, di cui chi andò a trovarlo in quegli anni (cosa che Pasolini, a quanto mi risulta, non fece, né allora né mai) ricorda la sanguigna robustezza contadina e l’apparentemente incrollabile salute, a dispetto delle micidiali sigarette che fumava di continuo e del fiasco di vino rosso che teneva accanto a sé sul tavolo del suo studio-fortezza.

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Morte
Da tempo ci troviamo faccia a faccia,
tu come tu e io come paura.
Di te non so nulla. E tu, sai cos’è la vita?
E cosa i tuoi occhi? Può darsi
che tu veda tutto mentre io non vedo che te.
Ma quello che giù nella femmina è
aperto mi sgomenta come la tua bocca da baciare,
che si rifiuta cocciuta da muta,
e attende ed è attesa …

Vita
Mentre chissà dove al cospetto d’una madre di dolore
a cui morì una figliola
hanno fermato tutti gli orologi
perché lei non sapesse quando avrà luogo il funerale –
qui, proprio qui,
un piccino entra in una botteguccia
e chiede mezzo chilo
di riso per il cane: “Al babbo
piace tanto” dice.
E ieri un bambino è nato lì vicino.
Quando l’hanno mostrato, oggi, alla madre
lei ha detto “ Ha cinque ciglia in tutto
a entrambi gli occhi …”

Il tramonto del sole
Il deretano del cielo sferza da un acquivento
fino al sangue … E ancora in disparte
di nuvolaglie le garze … Con certezza
non è data sapere che cosa là in fondo
la terra patisce, prima di passarlo …
Ma gli uomini furiosamente
mordono quello che amano:
la frutta, le labbra e i seni …
Però solo i bambini possono ancora,
ma non posso oltre … Non c’è speranza
che si trovi una palla nel loro campo da gioco …

Vi prego
Si, anche il cordoglio è una passione,
la quale ama, ma non capisce
né ciò che è rifiutato, né l’opposto limite …
Che altro può fare se non
appoggiarsi in se stessa
così, di contro a ciò che è stato omesso,
quando vien meno tutto il resto
a un tal segno che non si giungerebbe a fine?
Sì, anche il cordoglio è un passione,
che capisce, ma senza amore …

Non
La tempesta … A metà del cammino ti ha su per giù sorpreso,
da dove non c’è mezzo tu torni e mezzo non c’è che tu prosegua,
e sopraggiunge un alcunché di diverso
e giunga or ora a questo …
L’erba il cespuglio l’albero più s’avvicinano
quando sono fuggiti … Gli animali
è come se avessero il sesso giusto in paradiso …
Il serpente soltanto si lascerebbe sedurre
dal latte della primipara, ma anch’esso
cerca dove essere il più solo
per una lunga distanza
e nel sangue senza sangue … Il nero
davanti al nero arretra … Non più di quanto creda…

Nasci, pati, mori… 
(…)
Incapacemente tace la tua vita
perduta nel cuore, non trovata nell’amore

Perché?
Perché piangi? Perché il veduto già
è cieco? Perché non sai
come mutarti nell’immutabile?
Perché non hai d’intuito come gli abiti
toglierti e scoprirti rivestendoti?
Perché non sei mai bastantemente la tua presenza?
Mia cara, i dèmoni c’erano già prima allora,
quando non c’erano ancora …

No, mai
No, non ci sono mai stato
E la vostra presenza
era come se fosse ventura. Sognata?
Da chi? Lo riconoscerò ancora?
Oppure tutto questo era soltanto
il coraggio della vanità senza la vanità,
affinché non vi fermaste
là dove non siete
e foste là dove non sareste?
O voi immatura! 

La morte soltanto
L’antichissimo orrore, l’antichissimo spavento
e non ha che un volto infantile … È perché
in coscienza non ce ne confessiamo
colpevoli, visto che è la madre
a starci vicini. Ed è lei
che chiede sempre: “Va già meglio?”
La morte soltanto è senza domande … Appartata …
Arte per arte … 

Nuda I
 Mentre il cieco origlia dentro la porta delle visioni
tu, di schiena contro il porcile, vedi
come il destino, accanto, nel giardino
sputa sulla foglia di lampone …
La presenza in due posti,
strada facendo parla dalla veglia al sonno …
Ma le vesti della terra puniscono
con la dimenticanza i corpi

Todo
Così come per poco, solo per poco s’eccita
la tempesta primaverile ed è
quando alle travi i fulmini si scagliano,
i fulmini oscuramente sensuali –
anche l’amante è tua solo per un momento
e perché non lo sa, soltanto …
Ma tu, tu hai tanta notte ininterrotta in te
che diversamente saresti solo il buio …

Conversazione
Dissi: “No, non chiamatela
col nome di battesimo!”
E lui.”Ma è proprio quello che le piace!”
Dissi: “No alla sua porta non bussate,
non è in casa forse e io ne avrei paura!”
E lui: “Macché, quella
è sempre dappertutto!”
Dissi: “Forse non si è ancora decisa.”
E lui: “Possibile che abbia una misura
lei che è senza confini?”

Solo così
– L’avidità degli occhi dinanzi allo sguardo dello spirito … Sapete,
ogni volta mi vergogno … Ma
se non ci è permesso facciamo ricorso alla violenza …
– Odiare per amore … E’ possibile?
– Mia cara, voi di lagrime avete colmi gli occhi …
– Amare per odio … E’ possibile?
– Mia cara, domandiamo all’inferno perché è ammalato
e lo amiamo,
ma lo odiamo perché è ammalato
– Pazzia!
– Ma non dovete rinunciarvi, poiché rinuncereste
all’ordine della vita, che non ha altra testimonianza …
– Perché scrivete poesia?
– ne va dell’esistenza …Di un’esistenza muta …