Fino al 1974 Pasolini continuò a rimaneggiare il testo di Bestia da stile, un lavoro teatrale la cui prima stesura risale al 1966 e nel quale confluiscono e precipitano i tanti temi letterari, politici ed esistenziali dell’autore, quasi ne fosse una sorta di summa vertiginosa.
Ha scritto Carmelo Alberti nel 2005 in “drammaturgia.fupress.net”: «Dire che è un testo autobiografico è riduttivo, rispetto all’esperimento di un testo totale che tende a modulare la forma-dramma secondo coordinate multiple, tra mito e contemporaneità, tra visione poetica e storia delle società, tra soggettività e populismo». In uno dei suoi percorsi possibili il dramma segue le vicende del giovane studente di filosofia Jan Palach, il dissidente cecoslovacco che il 16 gennaio 1969 nella piazza San Venceslao di Praga si diede fuoco per protesta contro l’invasione sovietica, che aveva posto fine il 20 agosto 1968 alla stagione riformatrice della “Primavera di Praga” di Alexander Dubček. Dopo un’agonia di tre giorni, in cui Palach rimase sempre lucido in mezzo ad atroci dolori, si celebrarono i funerali, seguiti da 600.000 persone. Restarono poi i suoi appunti e quaderni, prelevati dal sacco a tracolla che Palach aveva tenuto lontano dalle fiamme.
Nel dramma Bestia da stile Pasolini trasfigurò Palach a suo ideale alter ego, proiettando sulla sua storia la propria vicenda personale: le figure del padre e della madre, la loro vita in Boemia, gli ideali, le persecuzioni naziste, la resistenza antifascista, le tante morti, lo spirito poetico e rivoluzionario.
A 49 anni di distanza da quel sacrificio estremo per la libertà un ricordo di Palach è stato steso da Fabrizio Giusti, autore di un articolo che qui riprendiamo. (a.f.)
19 gennaio 1969: il “paesaggio pietrificato” dell’Europa in nome di Jan Palach
di Fabrizio Giusti
www.ilmamilio.it – 19 gennaio 2018
«Il suono delle sirene a mezzogiorno e il rintocco delle campane trasformano l’intera città in un “paesaggio pietrificato”, dove tutti rimangono fermi e silenziosi per cinque minuti». Così il giornalista Enzo Bettiza fotografò la folla radunata per i funerali di Jan Palach a Praga. Era appena morto ed era già diventato il simbolo della “Primavera”. Il 16 gennaio 1969 si era dato fuoco nella Piazza San Venceslao per protestare contro l’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’Unione Sovietica, avvenuta nell’agosto del 1968. Il 19 gennaio Jan era morto. Giovane, ribelle, con la sua fotografia per sempre impressa nella storia d’Europa. Immortale, mai invecchiato. Non ebbe la fortuna di trovare una fabbrica di propaganda che ne diffondesse l’immagine su magliette e adesivi. Eppure lasciò segni indelebili.
Adottato come martire dalla gioventù anticomunista, il gesto di Jan Palach fu preso in considerazione dalla destra politica, ma anche dalla sinistra socialista e riformista, dai ragazzi contrari all’oppressione sovietica, dai pensatori più liberi. In Italia, nel 1970, Francesco Guccini, paragonandolo a Jan Hus, il religioso boemo condannato per eresia e bruciato sul rogo nel 1415, gli dedicò Primavera di Praga. Lo stesso fecero in seguito, in campo musicale, altri complessi musicali. Tra questi, la Compagnia dell’Anello, gli inglesi Kasabian, Salvatore Adamo. Pier Paolo Pasolini si ispirò a lui per la sua Bestia da stile.
Jan Palach si ribellò con la reazione più drammatica, trasformandosi in una torcia. La torcia n.1. Si immolò per lanciare un grido nell’Europa che guardava l’esperienza – repressa militarmente dalle truppe dell’Unione Sovietica e delle nazioni che aderivano al Patto di Varsavia – di una nuova speranza per un intero popolo. Una generazione aveva visto infrangersi il sogno di una Patria differente, costruita su una comunità nazionale più propensa al pluralismo e alle libertà di espressione.
Nel buio delle coscienze, egli accese una luce: «Poiché i nostri popoli – scrisse – sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy (un organo di informazione comunista, ndr). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà».
Lui si liberò dal totalitarismo e dall’oppressione dei popoli, scegliendo la strada di una libertà fisica a costo della vita, anticipando il primo segnale di cedimento dei regimi comunisti dell’est Europa. Poi arrivarono il 1989, il crollo del Muro, l’insurrezione di Piazza Tienamen. A Praga la rivoluzione fu di velluto. E Jan poté così riposare in pace.