Mamma Roma, di Pier Paolo Pasolini
Una recensione
Riponendo la cruda parabola del furbo Vittorio “Accattone”, addentriamoci nella favola dal mesto finale quale è Mamma Roma. Mamma Roma, stravagante, simpatica e baldanzosa donna delle contrade, ritrova dopo anni il figlio Ettore, nato da un marito finito in galera senza quasi neanche vedere l’altare, e si sforza con qualsiasi mezzo a sua disposizione di crescerlo in un ambiente moralmente raffinato, filoborghese ed educato e, soprattutto, di nascondergli la verità circa la propria desolante professione. Il sedicenne, trovata ospitalità presso un modesto appartamento della periferia romana, si lega immediatamente ai “ragazzi di vita” del sottoproletariato e inizia a circuire la madre per poter conquistare i favori di una giovane ventiquattrenne opportunista e finta innocente. Notando la propensione dell’adolescente a non costruirsi un avvenire, studiando e imparando un mestiere, Mamma Roma studia un piano per sottrarlo ai ragazzacci e agli “amorazzi” tipici della sua età e lo fa assumere come cameriere in una trattoria. I sogni dell’ex prostituta ed ora fruttivendola sono tuttavia di breve durata: costretta dal suo vecchio protettore ad approdare nuovamente sulla strada, la donna non riesce a sottrarre il figlio dal terribile segreto che lei gelosamente celava. Riabbracciato il regime di delinquenza, Ettore, pur gravemente malato, tenta di derubare un paziente d’ospedale e finisce in carcere; in preda agli spasmi della febbre, il giovane delira e viene legato ad un letto di contenzione ove perirà in preda ai rimorsi e al dolore, dimenticato da tutti.
Pendente fra il malinconico, l’edulcorato e il drammatico, Mamma Roma è un lavoro che colpisce e addirittura sciocca per un approccio umorale per il quale il commovente e un po’ “bizzarro” sentimento di amore e protezione di una madre – che domina per buona parte del film e che pare preludere ad una risoluzione, magari non immediata, delle spinose problematiche – decede rovinosamente con la scomparsa del ragazzo e la disperazione della donna. Mamma Roma, magistralmente interpretata da Anna Magnani, è un personaggio forte, tenace, rumoroso, eclettico, eccentrico, possente e persino “forzuto”, una ex prostituta che nell’universo pasoliniano si discosta, ad esempio, dalla debolezza o dall’impietosità delle femmine di strada di Accattone, nel quale tracciano una retta immediata fra la donna indifesa e persino insignificante e la prostituta lasciva e priva di sentimento. Roma veste invece il doppio abito della dolce maliziosa, amorevole e scatenata, “burina” e raffinata, una sorta di casacca “double face” facilmente interscambiabile in base alle contingenze. Infatti, se all’inizio assistiamo all’esilarante ruvidità comportamentale della prostituta che intrattiene gli ospiti al matrimonio di colui che riteneva il suo ex protettore, poco prima dei titoli di coda lo stesso personaggio, la fruttivendola semi redenta, crolla in un vortice di disperazione che quasi la induce al suicidio. Proprio al termine del film si comprende il carisma di Roma come scuotitrice delle folle: nel delirio post morte del figlio, Mamma corre verso casa e tutti la seguono, quasi come una stella, una stella caduta, e ciò denota un ruolo che nemmeno l’Accattone dell’omonima pellicola d’esordio poteva vantare.
Lontana dai kolossal sacri e profani, distante dalla Trilogia della Vita e dall’apocalittico Salò, Mamma Roma è il secondo tassello di un curriculum cinematografico che in una manciata di capolavori ha saputo maritare spiritualità e corporalità, morale e materia, etica e realtà. Dalle macerie del Dopoguerra alla nudità profana di Teorema, Medea e del Fiore delle Mille e una Notte, passando per le commedie del Decameron e dei Racconti di Canterbury, quella di Pasolini è la filmografia della vita, dell’esistenza umana in tutte le sfaccettature storiche, religiose e ideologiche, un percorso in cui la Mamma Roma con la borsetta e i tacchi a spillo può persino bersi un caffè con la maga in peplo Medea.