Una nuova mappatura della poesia italiana in dialetto fino agli anni Duemila.
È Pasolini il nume tutelare dei “mille volti” e delle “mille periferie” da cui provengono i tanti poeti, anche giovanissimi, che compaiono nell’antologia L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila, di recente edita da Gwynplaine, per la cura di Manuel Cohen, Valerio Cuccaroni, Giuseppe Nava, Rossella Renzi e Christian Sinicco: un gruppo che porta qui a frutto l’impegno maturato attorno alla rivista “Argo”.
Il pensiero che ha guidato i curatori –come ha sottolineato sul “Corriere della Sera” Roberto Galaverni (12 ottobre)- è sorretto da una rigorosa analisi geopolitica, cioè attenta a una precisa analisi storico-politica e lontana da ogni partigianeria di autorefenzialità campanilistica, sempre in agguato in indagini di questo tipo dentro il panorama della versificazione dialettale.
Un libro da leggere dunque con attenzione, per perlustrare la pari dignità espressiva della policentrica e molteplice poesia in dialetto rispetto a quella in lingua, a patto che alla sua efficacia e alla sua investitura di senso abbia provveduto un poeta. Con il sottinteso che un poeta è tale, sia che si esprima in lingua o in dialetto, come qui si evince e come a suo tempo ha dimostrato il Pasolini autore di meravigliosi gioielli friulani e di versi, altrettanto mirabili, nella lingua nazionale.