Nel 1985 il caso letterario dell’anno fu il romanzo Rimini di Pier Vittorio Tondelli, scrittore allora trentenne (era nato a Correggio nel 1955) già messosi in evidenza (di scandalo) con il primo libro, Amori libertini. Con Rimini raccontò, per primo, l’incipiente trasformazione della riviera romagnola in una luccicante industria pop del divertimento, per notti di massa, sballo e deriva vacanziera anche intrise di disperazione. Ma della riviera romagnola si interessò anche in un’altra occasione e con altre prospettive, quando organizzò nel 1990 una esemplare antologia degli scrittori e dei poeti del Novecento che nelle loro opere avevano fatto riferimento alle spiagge adriatiche, rivalutandole rispetto alla più togata e snobistica costa tirrenica. In un bell’articolo apparso su “Il Giornale” del 13 agosto 2017, Davide Brullo rinverdisce questo capitolo poco noto del lavoro di Tondelli, di cui la morte precoce nel 1991 ha troncato drammaticamente lo sviluppo.
Altra spiaggia altro mare. Il mito balneare della Rimini di Tondelli
di Davide Brullo
www.ilgiornale.it – 13 agosto 2017
Il turismo balneare si fa a colpi di scrittori. Il 5 luglio 1985 erano in tanti. C’era Elisabetta Sgarbi, ad esempio. C’era Lu Colombo, quella di Maracaibo. Umberto Eco gigioneggiava al Paradiso, mitica discoteca – ora invasa dalle felci dell’oblio – sui colli riminesi, sganciando l’aforisma semiotico (ricalcato da una testata locale): «qui è meglio che a Los Angeles!».
A presentare l’evento, agghindato tra il dandy e il dark, Roberto Dago D’Agostino. «Eravamo tutti fatti e strafatti e bevuti», ha detto lui, trent’anni dopo. Al Grand Hotel di Rimini, quello dei nostalgici film di Fellini, si omaggiava Rimini di Pier Vittorio Tondelli, assoluto fenomeno editoriale dell’estate. Microfono a Dago: «La presentazione di un romanzo si trasformò in un orgasmo di lunga durata, con i dipendenti dell’hotel sotto choc per quell’ammucchiarsi di tipi svalvolati». Rimini, a conti fatti, non è proprio un grande romanzo («un romanzo di consumo come Via col vento», lo ha detto Giovanni Dall’Orto). Tuttavia, la Riviera romagnola aveva trovato, finalmente, il suo scrittore.
D’altra parte, quale scrittore osa mettere il suo aureo piedino sulla riviera più sputtanata dalla folla, dalla follia turistica? Gli scrittori laureati, anche oggi, vanno nella Versilia cantata da d’Annunzio e da Carducci, a Viareggio, dove son passati davvero tutti, da Luigi Pirandello a Tommaso Landolfi, da Mario Tobino – che inneggiò alla «Viareggio più bella dell’oriente» – a Italo Calvino, da Galeazzo Ciano ad Alberto Moravia, a Nicola Lagioia, olè. Alla peggio, si va a Forte dei Marmi o a Pietrasanta. E poi, come può competere l’«esilissima striscia di sabbia chiara» (ancora Tondelli) romagnola con la Capri dell’assoluto solitario Curzio Malaparte, con la «regina di rocce» idolatrata da Pablo Neruda, dove atterrò perfino Lenin, ospitato da Maksim Gor’kij, per giocare a scacchi e speculare la rivoluzione? Gli scrittori tutti d’un pezzo scansano l’Adriatico, preferiscono la schietta Liguria del nuotatore Shelley, dove Ezra Pound dava lezioni di tennis a William B. Yeats, la Liguria eternata dai poeti, da Eugenio Montale, da Camillo Sbarbaro, da Giorgio Caproni. Piuttosto, ci si accontenta della Sabaudia di Pier Paolo Pasolini, ma perfino dell’autostrada della Cisa, la Parma-La Spezia, lì, secondo Vittorio Sereni, «sibila nel frastuono delle volte/ la sibilla».
Beh, a Pier Vittorio Tondelli questo perbenismo turistico, questo qualunquismo balneare, pareva un malcostume. E pigliò a sfottere la vanità vacanziera dei colleghi. «Non credo di far torto a Luigi Malerba, emiliano di nascita, se ricordo il suo stupore apocalittico alla mia domanda: Conosci Riccione?». Tondelli ce l’ha soprattutto con Moravia. «Alberto Moravia sbottò in questo modo: Non ho mai messo piede su quella costa. Ho vissuto quindici anni a Capri. E prima andavo a Forte. E poi la smetta! Lo vuol capire? A Riccione andavano i fascisti!». In un articolo pubblicato nel 1989 su “Rockstar”, Tondelli esalta il mare d’inverno, dove la spiaggia di Romagna si converte in qualcosa di esistenziale che sta tra il «deserto nordafricano» e l’inquietudine «in riva all’oceano, nel Maryland o nel Delaware». E bastona «i nostri scrittori, democratici e pop» che «preferiscono altre mete. Si turano il naso: Riccione? Per l’amor di Dio! Rimini? Basta, basta! E non hanno mai messo piede su questa spiaggia». A questo punto, Tondelli, che adorava «la carnevalata estiva della riviera romagnola (…), un luogo del kitsch strapaesano e provinciale, caotico e assurdo», si mette in testa di sovvertire i canoni della letteratura vacanziera. Vuole «tracciare una storia letteraria della riviera adriatica che nulla ha da invidiare a quella di Viareggio così ricca di premi, presenze e pagine prestigiose» (dagli appunti dattiloscritti consultati per gentile concessione dell’Associazione Riccione Teatro).
Il pretesto per l’impresa intellettuale ha un precedente. In quello stesso 1985 di sbornia riminese, è settembre, Pier Vittorio Tondelli vince, con La notte della vittoria (poi battezzato Dinner Party), il Premio Bignami, che è uno spin off del Premio Riccione per la drammaturgia. Nel 1989 Ater (Associazione teatrale Emilia-Romagna) e il Comune di Riccione, insieme alla Regione Emilia-Romagna e all’allora Provincia di Forlì, affidano a Gianfranco Capitta e a Roberto Duiz la curatela di una mostra dedicata a «Personaggi, spettacolo, mode e cultura di una capitale balneare». I due si ricordano di Tondelli, scrittore superstar degli anni Ottanta. A lui, «un intellettuale organico del suo tempo» (Maria Grazia Gregori), chiedono di ideare l’ultima sezione, dedicata alle “Immagini letterarie” della riviera adriatica. Tondelli prima nicchia – «mi sono messo al lavoro senza troppa convinzione» -, poi studia, manda lettere qua e là, infine esulta, «si pensa sempre alla riviera adriatica come un luogo balneare pop e middle class. In parte è vero. Ma la nostra ricerca dimostra che questi luoghi hanno un passato non solamente esclusivo, ma anche intellettuale assai prestigioso». Ergo: «non dico che abbiamo avuto dei premi Nobel, ma basterebbe valutare l’importanza di queste spiagge nell’opera di autori del Novecento per parlare di un ruolo importante nella prosa novecentesca».
La mostra, infine, ha luogo nell’estate del 1990. La Grafis Edizioni di Bologna pubblica un catalogo ormai introvabile, riedito in parte in Pier Vittorio Tondelli. Riccione e la Riviera vent’anni dopo (2005), dove Fulvio Panzeri (il curatore) parla del lavoro di PVT come del «primo esempio organico e creativo di una linea critica che potremmo definire di geografia letteraria». Di fatto, Tondelli redige un canone inverso della letteratura italiana del Novecento, pieno di illuminazioni critiche. Intanto – con l’aiuto di Nico Naldini – Tondelli tira fuori dagli scantinati «le prime righe che possediamo di Pier Paolo Pasolini». Pasolini ha 8 anni, è al mare, a Riccione, e scrive al papà («Carissimo babbo, tu ci hai detto che da molto tempo non ricevi nostre notizie…»), annaspando tra i «rapporti difficili e tormentati dei genitori» (così Tondelli). Poi, esalta Giovannino Guareschi, riscoprendo il Giretto in bicicletta da Parma a Ravenna e San Marino raccontato sul “Correre della Sera” nel 1941 («non poteva mancare la presenza di Guareschi…», chiosa Tondelli, i cui libri «ho poi avuto modo di leggere con grande godimento e piacere»). Infine, omaggia autori altrimenti marginalizzati dall’intelligenza ufficiale come Giorgio Scerbanenco («l’unico scrittore italiano che ha intuito le potenzialità narrative di un luogo come la riviera adriatica nel pieno della stagione»), oppure in esilio volontario dalla fama come Dante Arfelli, lo scrittore che con I superflui (1949), a 28 anni, diventa un caso editoriale negli Usa, vendendo quasi un milione di copie per lo stesso editore di Hemingway.
L’antologia, anzi, «un’avventura linguistica», come la definisce Tondelli, arruola una squadra di scrittori assoluti. Alberto Arbasino – la gita da Ravenna a Pesaro descritta in Fratelli d’Italia – e Giorgio Bassani – Gli occhiali d’oro è «il miglior romanzo dedicato a Riccione», ambientato negli anni in cui il Duce sbracciava nel mare di Romagna – Mario Luzi – le pagine su Cervia, «cittadina in tutto romagnola con quel tanto di veneziano che perdura» – e Ippolito Nievo, Alfredo Oriani e Alfredo Panzini – un carismatico Viaggio in bici da Milano a Bellaria – Cesare Zavattini e Valerio Zurlini, autore del più bel film di sempre ambientato a Rimini, La prima notte di quiete (1972), con Alain Delon e Giancarlo Giannini. Imbarca pittori folli (Filippo De Pisis), scrittori arguti (Guido Piovene, per cui «Rimini, nel dopoguerra, si è mutata in una spiaggia inconsueta da noi, di tipo americano»), e i grandi poeti del luogo, Tonino Guerra e Raffaello Baldini.
«Voi che siete a Rimini (…) siete già, o fortunati, in pieno Romanzo», scriveva Tondelli nel 1982. Alla fine, il Grande Romanzo Adriatico l’ha scritto proprio lui, Tondelli. Dotando di un pedigree colto la Riviera dei vitelloni, della piada, dello sballo. Mettendo all’angolo Capalbio, Capri, la sfarzosa Versilia, «la cui importanza nel Novecento, italiano ed europeo, nessuno vuole mettere in discussione», scriveva, con maliziosa cipria. Soprattutto, Tondelli, nottambulo decadente, ha sconfitto l’arciborghese Moravia, che sulla spiaggia fascista del Duce romagnolo non voleva proprio starci.