La fortuna critica del poeta PPP negli States, di Fadil Moslemani

La straordinaria fortuna critica dell’opera di Pasolini registra una vera “Renaissance” in Nord America e in particolare negli Stati Uniti, dal quale anche Pasolini restò folgorato, almeno in una  prima celebre visita del 1966. L’interesse crescente d’oltreoceano per il pensiero e la parola dell’artista italiano va ora al di là della produzione cinematografica e riguarda anche la produzione in versi,  come dimostra la recente traduzione di 76 liriche da parte di Stephen Sartarelli. A darne conto, entro una panoramica più vasta della ricezione statunitense dell’opera pasoliniana, è Fadil Moslemani, autore di un bell’articolo apparso su “il Manifesto” del 1 giugno 2016. 

Pasolini e gli States, seduzione senza fine
di Fadil Moslemani

http://ilmanifesto.info – 1 giugno 2016

«Vorrei aver diciott’anni per vivere tutta una vita quaggiù», osservò Pier Paolo Pasolini in occasione di una nota intervista concessa a Oriana Fallaci e apparsa su “L’Europeo” nel 1966. «L’Africa è come una droga che prendi per non ammazzarti, un’evasione. New York non è un’evasione: è un impegno, una guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti piace come le cose che piacciono, ecco, a vent’anni. È una città di giovani, la città meno crepuscolare che abbia mai visto». Se, per Pasolini, New York era una città che «seduceva», anche l’arte pasoliniana non sembra affatto aver cessato di suscitare, a più di quarant’anni dalla morte del poeta, interesse, curiosità e meraviglia presso il vasto e variegato mondo culturale statunitense.

Pier Paolo Pasolini a New York (1966)
Pier Paolo Pasolini a New York (1966)

In aggiunta agli innumerevoli eventi culturali tenutisi per commemorare l’anniversario della scomparsa dello scrittore, sono state numerose le iniziative organizzate negli ultimi anni volte a divulgarne le opere, non solo a beneficio di un pubblico di nicchia, ma altresì a favore di una platea di appassionati e curiosi dai tratti talvolta più disparati. Un revival, quest’ultimo, che sembra pertanto avvalorare la tesi di coloro che vedono in questo rinnovato entusiasmo una propria e vera nouvelle vague dell’arte pasoliniana in territorio americano.
Un’iniziativa degna di nota è stata la decisione, da parte della prestigiosa Film Society of Lincoln Center di New York, di inserire il documentario Comizi d’amore nell’ambito della New Queer Cinema Series: il lungometraggio di Pasolini, unico regista italiano preso in considerazione, aveva come intento la presentazione un film che gli organizzatori hanno considerato – a giusto titolo – un social artifact di straordinaria rilevanza culturale.
La manifestazione – il cui titolo completo è “An Early Clue to the New Direction: Queer Cinema Before Stonewall” – è stata solo un esempio di come il mondo culturale statunitense si sia recentemente rivolto alla figura del poeta italiano: dal Pasolini (2014) del regista newyorkese Abel Ferrara alla prossima nuova edizione della biografia Pasolini Requiem dello scrittore americano Barth David Schwartz, l’interesse – anche in chiave grand public – sembra infatti lambire tutti gli ambiti artistici (teatro compreso) nei quali l’intellettuale si distinse con successo.
È, tuttavia, con la pubblicazione di The Selected Poetry of Pier Paolo Pasolini. A Bilingual Edition che il mondo editoriale statunitense perviene finalmente a colmare un vuoto durato ormai da molti anni, in cui l’assenza di un vasto e variegato corpus di traduzioni della produzione in versi dello scrittore aveva a lungo costituito un tangibile ostacolo a una maggior penetrazione dell’œuvre del poeta nel mondo culturale americano.
Ripercorrendo cronologicamente tutte le fasi dello scrittore – ossia dalla poesia «materna» in friulano sino agli ultimi componimenti pubblicati – la raccolta, curata e tradotta da Stephen Sartarelli, costituisce, attraverso la traduzione di ben settantasei poesie, un vero e proprio excursus poetico-esistenziale volto ad accompagnare il lettore in un’intima e coinvolgente esplorazione dell’arte pasoliniana.
È noto come Pasolini, sia in termini teorici che nella praxis, concepisse la scrittura in versi come una scrittura privilegiata, «luogo dell’assoluto» per dirla con Siti, «dove ogni asserzione diventa verità e il privato può presentarsi come un universale». Giacché a questa incessante tensione verso la poesia vanno ricondotte anche le altre produzioni artistiche pasoliniane, cinema in primis, la presente raccolta – se pensata nel contesto statunitense – costituisce anche un utile e valido passe-partout interpretativo per un pubblico americano (e anglofono in generale) che tende notoriamente ad avvicinarsi al poeta quasi esclusivamente attraverso il più immediato prisma della produzione cinematografica. Il non poter negare, come ci ricorda lo stesso Pasolini, «che un certo modo di provare qualcosa si ripete identico di fronte ad alcuni miei versi e ad alcune mie inquadrature», rende la raccolta di Sartarelli di rilevante utilità ai fini di una comprensione più integrale dell’arte pasoliniana, consentendo a un vasto numero di lettori di calarsi nella poliedricità dello scrittore attraverso una delle sue componenti più intime e introspettive, ovvero la poesia.
L’intimo e affascinante concatenamento, in Pasolini, tra poesia e cinema è inoltre ben evidenziato dalla presenza nella raccolta del regista americano James Ivory, il quale, mediante la Merchant and Ivory Foundation, ha concorso in maniera decisiva a rendere possibile la pubblicazione dell’opera di traduzione. Autore di una breve ma significativa prefazione, il filmmaker statunitense pone l’accento, non senza un pizzico d’ironia, sull’unicità e la natura provocatrice della arte pasoliniana, definendo il poeta «a true modernist working in an age of cinematic reinvention» (un vero modernista in un’epoca di reinvenzione cinematografica). Le poesie tradotte – da Ivory designate come «written images» – hanno il dichiarato intento di acquisire forza e popolarità col tempo; l’auspicio è pertanto quello di vederle «crescere» in modo tale da consentire alla poesia pasoliniana di «attecchire» con sempre più incisività nella feconda realtà culturale nordamericana.
La vita di Pier Paolo Pasolini è stata una «life in poetry»; una contradditoria e contrastante esistenza scandita in versi che conferisce all’autobiografismo del poeta una valenza esemplare e valida, secondo alcuni, a interpretare anche la Storia. Il recente e rinnovato interesse da parte di numerosi settori della cultura nordamericana per la sua vasta e controversa produzione artistica testimonia, in definitiva, come vi sia ancora un perseverante desiderio di addentrarsi nel composito universo poetico di colui che rimane, a quarantun anni dalla sua scomparsa, uno degli indiscussi giganti del Novecento.