Il mito di Edipo, Pasolini e un romanzo di Orhan Pamuk

Non senza sorpresa si può trovare traccia di un legame tra Pasolini e uno scrittore per molti versi agli antipodi come il romanziere turco Orhan Pamuk,  nato a Istanbul nel 1952, oggi uno degli autori  più letti e tradotti al mondo,  Premio Nobel per la letteratura nel 2006 che lo insignì – si legge nella motivazione – per la  «ricerca dell’anima melanconica della sua città natale» e lo scavo  nei «nuovi simboli dello scontro e dell’interrelazione delle culture». I suoi romanzi (da citare almeno  Il mio nome è rosso, Neve e Il museo dell’innocenza),  sono ambientati in Turchia, tra passato e presente,  e ruotano intorno a storie e personaggi che si interrogano sulla propria identità e sui rapporti tra le generazioni, indagano e mettono in questione la storia e la cultura di cui fanno parte, si dibattono tra tradizione e modernità, Islam e laicità.
Sono i temi portanti che percorrono l’opera di Pamuk, perlopiù ambientata a Istanbul o nei suoi dintorni, l’amata città natale a cui nel 2003 lo scrittore ha dedicato uno splendido libro di memorie, Istanbul. I ricordi e la città, raccontando il complesso rapporto tra oriente e occidente che essa incarna. Istanbul vi appare come un crocevia e un ponte tra l’Europa e l’Asia, una città che ha incontrato i grandi viaggiatori occidentali ottocenteschi, come Nerval, Gautier e Flaubert, e si è confrontata con i loro giudizi, spesso sedotti dal esotismo. È una città che conserva l’identità orientale, ma allo stesso tempo invidia le qualità e i successi dell’occidente. Soprattutto Istanbul, afferma Pamuk, è dominata da una particolare tristezza, che i turchi chiamano hüzün e di cui in qualche modo vanno orgogliosi.

Orhan Pamuk
Orhan Pamuk

In modo più indiretto Istanbul e i grovigli della Turchia moderna filtrano anche nell’ultima opera dello scrittore, La donna dai capelli rossi (Einaudi, 2016), in cui appunto ci si imbatte in una citazione pasoliniana che ci piace evidenziare. L’intreccio del romanzo trova il suo scioglimento  solo in prossimità dell’epilogo, quando al lettore viene rivelato come il libro che ha per le mani sia stato scritto, innanzi tutto, per argomentare la difesa al processo per parricidio di cui è imputato il personaggio di nome Enver, figlio di una clandestina notte d’amore. A consumarla, tanti anni prima, l’allora diciassettenne Cem, protagonista del romanzo e sua voce narrante, e la bellissima attrice dai capelli tinti di rosso  Gülcihan, quasi il doppio degli anni di lui, che prima di concedersi a Cem era stata a lungo l’amante del padre di lui.
Satura di coincidenze e di concatenazioni strette come le trappole del destino, la trama è scritta dunque dal figlio assassino per ricostruire la cornice e la genesi del suo delitto, ma viene affidata alla voce narrante di suo padre, che all’epoca in cui tutto ebbe inizio, la metà degli anni Ottanta, era un ragazzo intento a mettere da parte qualche soldo per l’università aiutando il suo mastro-rabdomante Mahmut a scavare un pozzo per l’acqua e trovando in lui quasi il sostituto del proprio padre.
Ma soprattutto, per il giovane Cem, entrare in contatto con la donna dai capelli rossi significa penetrare in un vortice di avvenimenti  che lo porteranno molto più a fondo e più lontano, verso il mito e in particolare verso la mitografia dei rapporti tra genitori e figli che attraversa la cultura occidentale e orientale. Il romanzo di Pamuk attinge così a piene mani da questa tradizione narrativa, tra Edipo re e l’epopea  persiana del Libro dei re, in un  celebre episodio del quale, a differenza della tragedia sofoclea, è un padre, Rostam,  ad ammazzare il figlio Sohrab .
Tutta questa vicenda di padri perduti, cercati, ritrovati e assassinati, di tradizioni morenti e di feroci tradizioni ancestrali che riemergono, è deliberatamente narrata attraverso un confronto con il mito di Edipo che le fa da sfondo. Mito fondativo  la cui eco chiama in causa, appunto, il film Edipo re di  Pasolini, oggetto di un’analisi interessante, anche se appena accennata, per cogliere secondo Pamuk le modalità diverse delle tradizioni figurative d’Oriente e d’Occidente. Riportiamo qui il brano dal romanzo, leggibile alle pagine 162 e 163 dell’edizione einaudiana. (a.f.)

"La donna dai capelli rossi" di Orhan Pamuk. Copertina
“La donna dai capelli rossi” di Orhan Pamuk. Copertina

«[…] la questione autentica era che in Europa, continente che godeva di una cultura e di una tradizione figurativa più ampia e ricca, i dipinti su Edipo non raffiguravano scene basilari quali il parricidio o il rapporto con la madre. I pittori europei forse riuscivano a pensare a queste scene a parole e a coglierne il senso, ma non erano in grado di visualizzare  ciò che invece avevano elaborato  verbalmente,   riproducendolo in un dipinto.  Perciò raffiguravano solo l’istante in cui Edipo risolve l’enigma della Sfinge. Al contrario, nei paesi islamici dove la pittura è arte rara, poco amata e quasi sempre proibita, la scena dell’assassinio di Sohrab per mano di Rostam vanta migliaia di entusiastiche illustrazioni.
A infrangere questa regola è stato Pier Paolo Pasolini, cineasta italiano ma anche scrittore, poeta e pittore, con il film Edipo re. Durante la settimana dedicata al cinema di Pasolini a Istanbul, organizzata con il patrocinio del consolato d’Italia, rimasi scioccato nell’assistere alla proiezione della pellicola. Il giovane attore che recita nel ruolo di Edipo abbraccia, bacia e fa l’amore con sua madre, una donna bellissima e più matura di lui, impersonata da Silvana Mangano. Sul salone ligneo della Casa d’Italia, che pullulava di cinefili e intellettuali di Istanbul, scese un profondo silenzio di fronte alla scena di sesso tra madre e figlio.
Il film di  Pasolini era stato girato in Marocco, in un vecchio e fatiscente castello rosso, sullo sfondo di paesaggi caratterizzati dalla terra rossa.
– Vorrei rivedere questo film rosso, -dissi.- Forse potremmo trovare il dvd…
– Anche i capelli di Silvana Mangano, così bella e affascinante, erano rossi nel film, – disse mia moglie».