Ferdinando Camon. Un dialogo a distanza con PPP

Ferdinando Camon, narratore della “crisi” italiana secondo le sue parole, discute a distanza con Pasolini sulla fine “inevitabile” del mondo contadino, scomparso con le sue lucciole. Un sogno dolce o un’utopia che per Camon erano predestinati alla sconfitta, nel vano tentativo di fermare la storia, andata in un’altra direzione. Un peccato che non ci sia Pasolini a controbattere su ciò che intendeva per «significato del rimpianto».
Nel 1965 e nel 1969 Ferdinando Camon realizzò due belle interviste a Pasolini,  poi confluite nei libri Il mestiere di poeta e il mestiere di scrittore, editi rispettivamente da Lerici nel 1965 (poi Garzanti, 1982) e da Garzanti nel 1973.Oggi sono leggibili anche in Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, “Meridiani” Mondadori, Milano 1999, pp. 1580-1590 e pp. 1626-1646.

Pasolini, il nostro imam integralista
di Ferdinando Camon

http://mattinopadova.gelocal.it – 11 dicembre 2015

S’è parlato di Pasolini mercoledì sera (9 dicembre 2015, ndr), a Este. Se ne parlerà sabato prossimo, a Montagnana. È un proliferare di commemorazioni, specialmente nel Veneto. Pasolini ha detto qualcosa d’importante? Sì, certo, ha detto molte cose importanti. Anche per il Veneto? Soprattutto per il Veneto. Ma “molte” non significa “tutte”. Alcune delle cose che ha detto erano sbagliate, anche sul Veneto.
Per esempio questa: lui amava il Veneto (e il Friuli, sua patria spirituale, perché vi era nata sua madre) com’era prima della fase industriale, la fase del boom economico, il Veneto-Friuli della civiltà contadina, dialettale, del lavoro, del risparmio, della famiglia patriarcale, che riuniva più generazioni, figli genitori nonni, in cui i più anziani avevano autorità sui più giovani, e dunque i nonni su tutti. La civiltà dei pozzi, dei piedi scalzi, dell’Angelus, dei funerali con la bara in spalla, e le case senz’acqua. Quando si comprava lo stretto necessario. Poi è venuta la civiltà dello spreco.
Era una bella civiltà, quella? Per Pasolini, bellissima, viverci dentro era una grazia, il Veneto-Friuli di allora (nel Friuli Pasolini aveva trascorso l’infanzia) era un paradiso. In realtà, per chi ci viveva dentro, quella era una civiltà atroce, e uscirne è stato una grazia.
Pasolini sognava una durata perenne della civiltà contadina, separata dalla civiltà borghese: quella sarebbe stata un’oasi di sanità morale, questa è un’area di malattia morale, e gli uomini malati della alienazione della storia si sarebbero salvati rifugiandosi nelle aree fuori-storia.
Ma era possibile, un futuro così? No, era un’utopia. Ed era questo che sognavano, gli uomini delle aree contadine, del Nord e del Sud? No, loro sognavano l’approdo alla civiltà borghese, i termosifoni, l’utilitaria, la tv, la vacanzetta al mare. Sognavano l’integrazione.
È un problema antico, chiuso, dimenticato, che non ci riguarda più? Al contrario, è il problema più incombente del nostro tempo, perché è il problema degli ultimi del mondo che vengono qui: vengono da civiltà miserabili, da case senza servizi, villaggi senza sanità, senza scuole, l’unica cosa che hanno è la religione, esattamente come il Veneto e il Friuli di allora. In quella civiltà i migranti muoiono di fame, di miseria, di malattie, di solitudine. Venendo qui e integrandosi, sperano di salvarsi. Ci vorranno più generazioni, com’è stato per il Veneto e il Friuli, e in questo passaggio dalla civiltà della penuria alla civiltà dei beni perderanno tutto quello che adesso hanno: un Dio, una fede, un’idea di marito, di moglie, di figli. Perderanno la loro civiltà. Come noi abbiamo perso la nostra. Gli imam integralisti li invitano a conservare la loro civiltà e a rifiutare la nostra. Pasolini è stato il nostro imam integralista, che ci invitava a non lasciare l’antica civiltà. Ha perso, era inevitabile e giusto che perdesse.
Il suo libro più citato è Scritti corsari, una raccolta di articoli di giornale irruenti, violenti, polemici, contro la Democrazia Cristiana, contro la superficialità e la corruzione della Chiesa, contro le mode giovanili, contro i consumi… L’articolo più citato è il famoso Discorso delle lucciole, in cui Pasolini rimpiange il tempo pre-industriale, popolato di lucciole, e impreca contro l’industrializzazione, che le ha distrutte. Termina dicendo: «Io darei tutta la Montedison per una lucciola». Lui sì. Ma quanti operai sono d’accordo? Siamo in tempo di moria d’industrie, e tutti gli operai anelano a vederle rinascere. Non sognano lucciole. Sognano la triade lavoro, stipendio, pensione.
Pasolini sognava, un sogno delizioso di straziante dolcezza. La gente vuole vivere, e la vita è crudele, ma non ce n’è un’altra.

Ferdinando Camon
Ferdinando Camon

[info_box title=”Ferdinando Camon” image=”” animate=””]romanziere, scrittore e poeta, è nato nel 1935 in un piccolo paese della campagna veneta. Il suo primo romanzo uscì in Italia con una appassionata prefazione di Pier Paolo Pasolini, e fu subito tradotto in Francia per interessamento di Jean-Paul Sartre. Camon si definisce un “narratore della crisi”: ha raccontato la crisi e la morte della civiltà contadina (nei romanzi Il quinto stato, La vita eterna, Un altare per la madre, premio Strega, Mai visti sole e luna; e nelle poesie Liberare l’animale, premio Viareggio, e Dal silenzio delle campagne), la crisi che si chiamò terrorismo (Occidente), la crisi che porta in analisi (La malattia chiamata uomo, La donna dei fili, Il canto delle balene) e lo scontro di civiltà, con l’arrivo degli extracomunitari (La Terra è di tutti). I suoi romanzi più recenti sono La cavallina, la ragazza e il diavolo (premio Giovanni Verga) e La mia stirpe (2011, premio Vigevano–Mastronardi). E’ tradotto in ventidue paesi. Le sue opere sono pubblicate anche in edizione per ciechi, in Italia e in Francia. In Francia, Gallimard ha tradotto tutta la sua opera narrativa e le poesie Dal silenzio delle campagne.[/info_box]