Claudia Cardinale. Il fascino malinconico della diva
di Tonino De Pace
www.sentieriselvaggi.it – 15 aprile 2013
Ha compiuto 75 anni il 15 aprile un’attrice, come poche, contrassegnata da una originaria e indomita forza espressiva che riversa integralmente nei suoi personaggi. La sua bellezza selvaggia ha incantato Pasolini e altri illustri autori del cinema italiano. La sua serietà professionale l’ha fatta diventare una diva, ma sempre fisiologicamente distante da qualsiasi intrigo e capriccio, dentro un percorso che non ha mai utilizzato la bellezza quale passaporto per il futuro.
Ammantata di un fascino segreto e di uno sguardo intenso che tradisce una natura riservata, timida, ai limiti della paura, la italo-tunisina Claudia Cardinale ha costituito una presenza non occasionale, ma necessaria nel cinema italiano. I suoi percorsi sono stati largamente differenti da quelli di Sofia Loren (1934), che ha assunto il ruolo di guida dell’attorialità femminile durante gli stessi anni, oppure da quelli di una Silvana Mangano (1930), rapita da un cinema appartato e dentro le evoluzioni culturali più innovative, o, ancora, da quelli della Lollobrigida (1927), ingabbiata in una popolanità eccessiva e mai del tutto diventata popolarità.
Le esperienze d’attrice della Cardinale incrociano il cinema italiano in quel punto preciso in cui, uscito dal neorealismo, imboccava la strada della commedia all’italiana che ancora, nelle mani di un Monicelli all’apogeo della sua ispirazione, era ancora commedia italiana, sagace e insostituibile, corrosiva e aristocraticamente cinica, dentro un gergo popolare comprensibile e immediato. Era l’alchimia magica di I soliti ignoti (1958). In questo film al quale ogni spettatore, noi compresi, resta legato da un affetto antico e inconsumato, Claudia Cardinale mette in mostra la sua bellezza un po’ selvaggia, che fa innamorare Renato Salvatori improbabile delinquente, perfino dentro una banda scalcagnata come quella degli “ignoti”. È quasi il suo esordio, se non contiamo il primo film in assoluto, uscito nello stesso anno, I giorni dell’amore di Jacques Baratier.
Da quei due film un’incalzante attività travolge la giovane attrice: nel 1959 escono Il magistrato di Luigi Zampa, La prima notte-Le nozze veneziane di Alberto Cavalcanti, Tre straniere a Roma di Claudio Gora, Vento del sud di Enzo Provenzale e, infine, Un maledetto imbroglio di Pietro Germi. Proprio quest’ultimo film ha segnato il progresso dell’attrice, segnalato da Pasolini in una sua bella recensione in cui scrive così: «Quegli occhi che guardano solo con gli angoli accanto al naso, quei capelli neri spettinati […], quel viso di umile, di gatta, e così selvaggiamente perduta nella tragedia». L’incontro con Germi fu decisivo.
In una sua vecchia intervista Claudia Cardinale ha confessato che fu proprio il regista genovese a renderla consapevole delle proprie qualità. Da quella consapevolezza è partita per conquistare uno dei più originali e controversi registi italiani. Rocco e i suoi fratelli (1960) è l’affresco di una sconfitta collettiva, all’interno di un disastro di un singolo povero uomo. È Luchino Visconti a mettere in scena la tragedia di Rocco, ed è Visconti, forse il più intellettuale regista italiano di quegli anni, quello che ha trasposto con rabbiosa determinazione le pessimistiche riflessioni politiche dentro un cinema così imprevedibile che spazia dalla geometria teorica di La terra trema alle decadenze morali di L’innocente, a valorizzare ed esaltare le qualità della Cardinale. Il loro sodalizio sarebbe proseguito qualche anno più tardi, nel 1963, ma ancora nel 1965. Il Gattopardo, da Tomasi di Lampedusa, è forse il film attraverso il quale il grande pubblico identifica l’attrice. La sua radiosa bellezza e quella leggera ardita arroganza del ruolo di innamorata riescono a scolpire il personaggio nella memoria.
Sono gli anni del legame con Cristaldi, punta avanzata e illuminata della produzione cinematografica italiana, figura coraggiosa di imprenditore a metà tra esigenze commerciali e sguardo lungimirante. Ma il produttore torinese costituisce un pezzo importante e controverso della sua vita. Un rapporto impari che la vede nei panni della bella attrice compagna del magnate in un ruolo subalterno e insoddisfacente. Nel 1965 ancora con Visconti realizza Vaghe stelle dell’orsa, dramma femminile, intimo e disperato che pesa tutto sulle sue spalle ma che le dà l’opportunità di fornire una prova appassionante per un film che, nonostante il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema, soffre di una schematizzazione eccessiva dei personaggi. Ma certo nessun appunto può essere mosso al lavoro di Claudia Cardinale che con intensità racconta l’intimo disastroso dramma della protagonista Sandra.
La sua vita privata ha pesato molto sulla sua carriera d’attrice, fin da quando per una gravidanza, nata da un legame tenuto segreto, avrebbe voluto abbandonare la carriera. È forse da queste vicende, o almeno ci piace immaginare così, che nascono gli alterni caratteri dei suoi personaggi, cui è connaturata una bipolarità insistita. Le donne della Cardinale vivono sempre una intensa drammaticità, che esalta quel velo di profondo e inespresso dolore interiore che sembra portarsi dietro, ma sono sempre ricchi di comunicatività e comunque ironici e divertiti. Un suggestivo e stimolante contrasto con la (giustamente) ostentata bellezza e con un retaggio malinconico che ha sempre accompagnato la natura dell’attrice.
Sono questi sentimenti, profondamente propri, che segnavano e arricchivano i suoi film. Ne è paradigmatico esempio La ragazza con la valigia (1961) di Valerio Zurlini, un film in cui il personaggio di Aida sembra in parte ripercorrere le proprie vicende personali. Da questo film è nata l’amicizia con Zurlini, regista attento alla sensibilità femminile e della Cardinale in particolare. La carriera dell’attrice, che in questi giorni compie i suoi settantacinque anni, è stata segnata da questi rapporti di fedeltà e di amicizia ai registi che hanno incrociato il loro percorso con il suo. Da Germi a Zurlini a Leone, da Bolognini a Comencini e per finire al sentimentale rapporto con Pasquale Squitieri. In questa lunga teoria di registi, generi, personaggi, arricchiti dalle protagoniste delle storie televisive e, di recente anche da quelle interpretate per il teatro, si è mossa, continuando nel percorso, la multiforme e avvincente carriera di Claudia Cardinale. Attrice, come poche, contrassegnata da una originaria e indomita forza espressiva che riusciva a riversare integralmente ai personaggi, dalla determinata Mara di La ragazza di Bube (1963), per la direzione di Luigi Comencini allo sguardo smarrito della calabrese Carmela mentre arriva in Australia in Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (1971). Questi i modi espressivi, raccolti dentro semplici gesti, silenziosi sguardi, dell’attrice, anche quando i suoi personaggi, con l’ironia sempre discreta, giocano, al contrario, sui tabù sessuali, come nel film di Zampa, oltre dieci dopo i fasti di Carmelina di I soliti ignoti. Ma la sua statura d’attrice la portava a varcare con agilità i confini italiani e tra le tante produzioni straniere va sicuramente ricordata quella di Fitzcarraldo (1982) di Werner Herzog che le permette di partecipare ad uno dei folli progetti cinematografici del regista tedesco.
È a metà degli ’70 che avviene l’incontro con Pasquale Squitieri. I guappi del regista campano è del 1974 e dopo quel film prese avvio la loro storia d’amore che felicemente oggi prosegue.
Impossibile, a questo punto, elencare i film di Claudia Cardinale, che con una certa frequenza si è dedicata anche alla televisione; si tratta piuttosto di ricordare che la sua storia d’attrice rappresenta tra le cose migliori che il cinema italiano è riuscito a realizzare. Rappresenta, d’altra parte, anche l’internazionalizzazione dell’attorialità italiana, soprattutto insieme alla Loren. Proprio questa sua curiosità l’ha portata negli ultimi anni a lavorare intensamente con produzioni estere, ma con autori di grande rilievo, De Oliveira e Trueba per fare qualche esempio, o piccole produzioni italiane.
Claudia Cardinale ha rappresentato a pieno titolo un cinema italiano nel contempo erede di un passato glorioso, ma anche innovativo, nel pieno delle trasformazioni di un Novecento pieno di ribollenti suggestioni, sempre con una serietà professionale tale da farla diventare una diva, ma fisiologicamente sempre distante da qualsiasi intrigo e capriccio, dentro un percorso che non ha mai utilizzato la bellezza quale passaporto per il futuro.