Il film d’esordio di Pasolini Accattone (1961) sollecita ancora l’interesse degli spettatori. È il caso delle due agili analisi che proponiamo e che, pur nella diversità dello sguardo, paiono accomunate dal riconoscimento della pietas per i derelitti del mondo quale chiave di volta della pellicola.
Pasolini e Dante / Un desiderio di luce (forse) salva anche un Accattone
di Daniela Iuppa
www.ilsussidiario.net – 15 novembre 2017
Fuori Roma, verso le montagne del Lazio meridionale, si estendono vallate luminose e boschive. Quella che culmina nel paese di Olevano Romano è stata ritratta contro un cielo soffuso di azzurro da Camille Corot in uno dei suoi viaggi italiani. E proprio alla “Serpentara” del pittore francese pensava Pasolini quando, nel 1961, scelse lo stesso luogo per girare le ultime inquadrature di Accattone: «Dovevo scegliere una vallata che, in un sogno di Accattone — verso la fine del film, poco prima della sua morte — raffigurasse un rozzo e corposo paradiso».
Una certa nostalgia di paradiso, infatti, innerva la prima pellicola del regista fin dall’apertura nel segno di Dante, i cui versi campeggiano sulla prima schermata: «l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno/ gridava: ‘O tu del ciel, perché mi privi?/ Tu te ne porti di costui l’etterno/ per una lagrimetta che ‘l mi toglie’»: è la contesa del V canto del Purgatorio tra l’angelo di Dio e lo spirito maligno per accaparrarsi l’anima di Buonconte da Montefeltro, che si salva in extremis per una “lagrimetta” in punto di morte, con buona pace del diavolo che si vede sottrarre dalle grinfie una preda creduta sicura.
Accattone sarebbe preda ben più certa, con la sua vita da niente, da mantenuto e magnaccia, senza lavoro, senza orizzonti, senza alcun orientamento morale; capace di sporcare anche l’incontro più luminoso della vita: Stella, innocente e chiara, presto avviata alla prostituzione. Ma Accattone pare pentirsi, e, per la donna amata, prova a cambiare. Ma troppa fatica il quotidiano duro lavoro, troppo pesanti quei quintali di ferro da caricare, e dopo un solo giorno Accattone decide di tornare all’extra legem.
Quella stessa notte Vittorio, questo il vero nome del protagonista, nel sonno agitato, sogna. Su uno sfondo polveroso, di sovrumano silenzio, Vittorio, come istupidito dall’atmosfera irreale, incontra i suoi amici vestiti a lutto che gli rivelano: «Accattone è morto». Allora si accoda, incredulo e smarrito, dietro alla processione, ma all’ingresso del camposanto è brutalmente fermato dal custode: «Tu non puoi entrà!». Accattone, solo, affannato, escluso, si guarda intorno, «accanito e ingenuo come un bambino», specifica la sceneggiatura, poi si arrampica sul muretto, lo scavalca e scende dall’altra parte. La camera indugia sul primo piano di Vittorio per poi offrire il campo lungo della vallata di Olevano e scendere pian piano fino a inquadrare una schiena curva che scava una buca nella terra buia.
Accattone rompe il silenzio: »A sor maè, perché nun me la fate un pochetto più in là? Non lo vedete ch’è tutta scura qui la terra?». «Me dispiace, non posso» ribatte il vecchietto; ma Accattone (e che volto Franco Citti!) incalza: «Fatemela un po’ più in là, poco poco, per favore, sor maé». «E va beene». Allora il vecchietto si sposta poco oltre, guarda, complice, Accattone e affonda il piccone nell’erba bianca di sole. La camera torna a salire sulla vallata tutta illuminata. Accattone poco dopo questo sogno (sei minuti intercorrono tra una scena e l’altra), nella rocambolesca fuga dopo aver compiuto un furto, si schianta in moto. È a terra, col sole in faccia e sussurra: «Aaaah… Mo sto bene!».
Pasolini sostiene che il suo Accattone sia una tragedia, perché di certo nessuna speranza può essere rintracciata nel gesto meccanico e superstizioso del Balilla che si fa il segno della croce di fronte alla morte dell’amico. Vero. Ma a me Accattone, invece, riempie di speranza. Lo stesso autore afferma: «In Accattone vi è una misera luce di coscienza che arriva con la morte». E chi lo dice che non basti questa «misera luce»? Anche se nell’ultimo respiro, anche se nel contrattare un posto al sole per la propria tomba. Chi lo dice che il desiderio di luce, fino alla fine, ostinato, «accanito e ingenuo come un bambino», non sia esso stesso l’abbrivio della Luce?
“Accattone”
di Gordiano Lupi
www.futuro-europa.it – 15 novembre 2017
«Cinematografia sgrammaticata» era una definizione che lo stesso Pier Paolo Pasolini dava del suo cinema, più vicino alla pittura, ai campi visivi di Giotto e di Masaccio, ai manieristi come il Pontormo che al senso moderno del cinema. Lo sfondo è lo scenario sul quale si muovono i personaggi, quasi sempre primo piano contro primo piano, ma anche tra carrelli e panoramiche.
Accattone nasce come cinema di attori non professionisti, celebrando uno straordinario Franco Citti nel ruolo della sua vita, che recita in maniera spontanea un ruolo perfetto per la sua espressività. Sergio Citti aiuta Pasolini nella scrittura dei dialoghi, in quel romanesco che lo scrittore friulano ancora non padroneggia, pure se vive a Roma dal 1950, dopo la fuga dal Friuli. Il film esce per merito di Alfredo Bini – che produrrà altri lavori di Pasolini – tra polemiche e assurdi divieti di proiezione in sala, osteggiato persino dal Festival di Venezia che l’accetta solo fuori concorso. Il Ministro dello Spettacolo in persona – Folchi – impone un assurdo divieto ai minori di anni 18 (anziché di sedici) e solo con questa grave limitazione permette l’uscita in sala.
La trama si riassume in poche righe, ma non è la cosa più importante, mentre fondamentale è l’afflato di amore e compassione che unisce Pasolini ai borgatari della periferia romana, un mondo popolato da ladruncoli, piccoli malfattori, prostitute e magnaccia. Accattone è un nullafacente che vive in borgata alle spalle della prostituta Maddalena, che dice di amare. Un giorno la donna viene arrestata, dopo aver subito violenza da una banda di napoletani, e condannata a scontare un anno di galera. Accattone si invaghisce di Stella, in un primo tempo pensa di mandarla a battere come Maddalena, sembra innamorarsene, ma solo come può provare sentimenti un tipo come lui. Accattone tenta persino di lavorare ma non riesce a superare il trauma e la derisione degli amici nullafacenti che bevono vino e passano il tempo al bar. Per mantenere la sua donna decide di fare il salto di qualità nella scala del crimine e di debuttare come ladro, ma il suo primo furto gli costa la vita in un incidente automobilistico. “Mo sto bene”, sono le sue parole terminali rivolte al compagno di sventura che lo soccorre.
Accattone è un perdente, un uomo che dalla vita prende il niente che gli offre, che vive di espedienti e della cosa più bassa concessa a un uomo – sfruttare la sua donna –, che si invaghisce di una cosa, ma la passione dura un istante, poi tutto torna come prima. Accattone ha pure un figlio, al quale ruba una catenina per fare un regalo a Stella, e un’ex moglie che non lo vuole più vedere, perché sa che sa fare solo il mantenuto, non è certo il padre ideale per suo figlio. Nonostante tutto, Pasolini descrive con linguaggio secco e asciutto, privo di retorica, un mondo marginale popolato da persone che non sembrano umane per quanto mancano di possibile redenzione.
Lo stile cinematografico è essenziale, con pochi movimenti di macchina, molti primi piani, brevi zumate, momenti che sembrano prelevati dal cinema muto e dalla miglior cinematografia sovietica. Colonna sonora di Bach, rivisitata da Rustichelli, che adatta La passione secondo San Matteo come sottofondo sinfonico delle gesta di un piccolo malfattore di borgata. Il film è fotografato in un gelido bianco e nero da Tonino Delli Colli; Leopoldo Savona e Bernardo Bertolucci aiutano il poeta nella sua prima regia cinematografica; Nino Baragli realizza un montaggio dai tempi perfetti e Flavio Mogherini una scenografia realistica.
Molti critici hanno detto che Accattone è un film che non ha niente a che vedere con il neorealismo. In parte concordiamo, perché la parte onirica durante la quale il protagonista sogna la sua morte, il suo funerale, la sepoltura al sole, i corpi dei malfattori napoletani trucidati e seppelliti da macerie è fantastica e visionaria. Ma è anche vero che l’attenzione con cui la macchina da presa di Pasolini segue (pedina, per dirla con Zavattini) il protagonista lungo le strade polverose di un’estate romana bruciata dal sole, nella borgata composta di baracche, case diroccate e macerie è evidente eredità del neorealismo.
[idea]Info[/idea]”Accattone”
Regia: Pier Paolo Pasolini.
Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Collaboratore ai Dialoghi: Sergio Citti
Aiuto Regia: Bernardo Bertolucci. Assistenza alla regia: Leopoldo Savona
Montaggio: Nino Baragli. Fotografia: Tonino Delli Colli
Musiche: Johan Sebastian Bach. Coordinamento Musicale: Carlo Rustichelli
Direttore di Produzione: Marcello Bollero. Ambientazione e Scenografia: Flavio Mogherini
Ispettore di Produzione: Eliseo Boschi. Arredatore: Gino Lazzari. Truccatore: Cesare Biseo
Segretaria di Edizione: Lina D’Amico. Operatore alla Macchina: Franco Delli Colli
Assistente Operatore: Gioacchino Sofia. Fonico: Luigi Puri. Microfonista: Manlio Magara
Negativi e Positivi: Ferrania
P. 30. Stabilimento Sviluppo e Stampa: Istituto Luce. Teatri di Posa: Incir De Paolis
Doppiaggio e Sincronizzazione Stabilimenti: Titanus. case di Produzione: Arco Film – Cino Del Duca
Produttore: Alfredo Bini.
Genere: Drammatico. Durata: 120’.
Interpreti: Franco Citti (Accattone), Franca Pasut (Stella), Silvana Corsini (Maddalena), Paola Guidi (Ascenza), Adriana Asti (Amore); Amici di Accattone: Luciano Conti (Il Moicano), Luciano Gonini (Piede d’Oro), Renato Capogna (Il Capogna), Alfredo Leggi (Pupo Biondo), Galeazzo Riccardo (Il Cipolla), Leonardo Muraglia (Mommoletto), Giuseppe Ristagno (Peppe il Folle), Roberto Giovannoni (Il Tedesco), Mario Cipriani (Balilla), Roberto Scaringella (Cartagine), Silvio Citti (Sabino), Giovanni Orgitano (Lo Scucchia), Piero Morgia (Pio); I Napoletani: Umberto Bevilacqua (Salvatore), Franco Bevilacqua (Franco), Amerigo Bevilacqua (Amerigo), Sergio Fioravanti (Gennarino), Adele Cambria (Nannina); Adriano Mazzelli (il cliente di Amore), Mario Castiglione (Mario), Dino Frondi (Dino), Tommaso Nuovo (Tommaso), Romolo Orazi (Suocero di Accattone), Massimo Cacciafeste (Cognato di Accattone), Francesco Orazi (il Burino), Mario Guerani (il Commissario), Stefano D’Arrigo (il giudice istruttore), Enrico Fioravanti (primo agente), Nino Russo (secondo agente), Edgardo Siroli (primo farlocco), Renato Terra (secondo farlocco), Emanuele di Bari (Sor Pietro), Franco Marucci (Franco), Carlo Sardoni (Carlo), Adriana Moneta (Margheritona), Polidor (Becchino), Danilo Alleva (Iaio), Sergio Citti (il cameriere),
Elsa Morante (una detenuta)
Doppiatori: Paolo Ferrari (Franco Citti), Monica Vitti (Paola Guidi)