Le ultime foto di Pier Paolo Pasolini, testamento chiaroscuro di un gigante
Splendere richiede più coraggio che lustrini. Libera lo sfolgorio palpitante di luce propria, tale da far impallidire crisi di valori, lusinghe del consumismo e mistificazioni dell’immaginario. Distilla l’antidoto ideale ai veleni del mondo, elaborati dai ‘campioni dell’infelicità, la mutria cretina e la serietà ignorante’ che Pier Paolo Pasolini ci esorta a combattere con Lettere Luterane e barlumi di lucida poesia, trasformate in percorso espositivo illuminante. Ti impediranno di splendere. E tu splendi invece, Pier Paolo Pasolini, usa la sua dichiarazione sovversiva pubblicata nel 1975 sul Corriere della Sera, come guida di un percorso espositivo deciso a fendere le tenebre dei tempi e degli animi che non cambiano mai, con il testamento del corpo e dell’opera di Pasolini. Frammenti di film, di poesia e cronaca, di corpo, impresso nelle fotografie scattate da Dino Pedriali negli ultimi giorni di vita dello scrittore, del regista, del poeta e dell’uomo più privato. Il corpo di un personaggio scomodo e di un’opera intellettuale corsara, messi completamente a nudo da uno degli esperimenti artistici condotti da Alda Fendi con la fondazione che ne porta il nome e ne eleva l’approccio all’arte nei tre piani della Rhinoceros Gallery di Roma, con la complicità di un direttore artistico come Raffaele Curi. Il fulcro del polo d’arte e cultura contemporanea che respira nei sei piani dell’omonimo palazzo seicentesco, riportato alla luce nel ventre della Roma Imperiale, dalla ristrutturazione all’avanguardia dell’archistar Jean Nouvel, in sintonia con l’anima della città eterna. A suo agio con il passare dei secoli che vivono il contemporaneo, splendendo su caos e incuria.
“T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece” (Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane)
Ti impediranno di splendere. E tu splendi invece (fino al 20 settembre 2020), torna a schiudere le porte del polo artistico di Palazzo Rhinoceros, con i barlumi di luce del progetto espositivo della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti, concepiti per trasfigurare ombre e luci dell’opera pasoliniana, insieme a quelle dei piani espositivi della galleria e ogni angolo del palazzo. Sin dal buio della prima sala e l’oscurità che abbraccia l’entrata e le forme scultoree imponenti del rinoceronte che da nome, forza e anticonformismo a tutto, rischiarate dalle lucciole dell’installazione curata da Raffaele Curi. Un ritorno poetico della luce dell’arte con le lucciole scomparse dalle campagne, paragonate da Pasolini al periodo di oscurità, non solo intellettuale, che stava investendo l’Italia, palesato in un articolo pubblicato il primo febbraio 1975 sul Corriere della Sera (esposto nella terza sala), così difficile da ignorare oggi.
La luce della stanza successiva è impressa nel corpo dell’intellettuale, strappato agli ultimi giorni di vita da ogni scatto di Dino Pedriali. Il giovanissimo fotografo e assistente di Man Ray, che impara a fotografare il buio da Nickolas Muray e il nudo maschile seguendo l’amico Pier Paolo, lo inquadra lungo le strade di Sabaudia, i margini della città e della sua opera, fin nelle stanze private della torre-rifugio di Chia, scoperta vicino a Viterbo durante i sopralluoghi per Il Vangelo secondo Matteo. È lo stesso Pasolini a invitarlo a scattare i frammenti più iconografici della disperata archeologia umana di un libro nero come Petrolio. Il corpo più intimo e solitario di Pasolini, emerge tra appunti e annotazioni, le pagine dattiloscritte degli Scritti corsari, la lettera ad Alberto Moravia e gli schizzi del Maestro Roberto Longhi. Specchietti e progetti che esplorano il tessuto della natura umana e dell’Italia, dilaniata dal consumismo, i complotti di potere, le stragi impunite e gli omicidi misteriosi. Nomi, cognomi e tutto il rumore del suo scabroso con-tributo al vero, pubblicato postumo (e incompleto) solo nel 1992. Per molti la vera causa del suo brutale omicidio.
Messe a fuoco, sfocature, riflessi e tagli, inquadrano Pasolini a passeggio e a lavoro, mentre legge, scrive, corregge a penna, disegna, si offre allo sguardo e si mette a nudo, davanti alla Lettera 21 della sua Olivetti e dietro la finestra della sua camera da letto. Perché, come scrive nelle pagine di Petrolio, “Essere posseduti è più divino di possedere”. Qui in modo totale, letteralmente senza vestiti né pudori, il poeta si liberara di tutto, mentre il gioco di sguardi, ombre e riflessi, tra lui, il fotografo nascosto e lo spettatore, stravolge anche il confine tra dentro e fuori, del corpo, del paesaggio e dell’immagine.
“Dino fotografami nudo, mi hanno considerato scandaloso, questa volta sì che farò un’opera scandalosa. Quello che non si capisce con la parola si capirà con la fotografia” Pier Paolo Pasolini, ottobre 1975
Molte delle fotografie scattate da Pedriali la seconda e terza settimana di ottobre nel 1975, sviluppate in fretta ma non abbastanza da essere viste da Pasolini, assassinato nella tragica notte all’idroscalo di Ostia, sono state custodite a lungo dal fotografo. Tenute lontano da critiche, censure e strumentalizzazioni del corpo straziato dell’uomo maledetto e dell’intellettuale scomodo. Il corpo di scatti, entrati a far parte del nucleo più importante della collezione di Alda Fendi e dell’ultimo esperimento artistico della sua fondazione, ci restituisce quello del poeta, mentre la sua voce pervade ogni angolo del palazzo, insieme al coro di artisti e intellettuali intervistati per il documentario Pier Paolo Pasolini. Un poeta scomodo (Teche Rai), trasmesso ininterrottamente sugli schermi che pulsano all’interno del suo nucleo centrale.
Proiezione continua del documentario ’Pier Paolo Pasolini. Un poeta scomodo’ (Teche Rai) sugli schermi che costellano le pareti del cuore di Palazzo Rhinoceros, dal pavimento del primo piano alla rampa di scale che sale fino alla terrazza ph Simona Marani
Il soave concerto arricchito da stradivario e zuffoletto di Totò e Ninetto (Davoli) per l’amatissimo Uccellacci e uccellini, con gli emozionanti titoli di testa e coda cantati da Domenico Modugno, è diffuso anche nell’ascensore che attraversa i sei piani del palazzo. Restaurato per anni dal celebre architetto francese, con una fusione di acciaio, vetro e cemento che ne rende profondamente contemporanea ogni crepa e imperfezione dell’aspetto originale e inediti i volumi degli spazi che ospitano la galleria, i 24 alloggi di The Rooms of Rome e il primo ristorante Caviar Kaspia di Roma evoluto in Entr’acte sulla terrazza con vista. Qui anche l’aperitivo è accompagnato da una stuzzicante visione dell’area archeologica dei Fori Imperiali e dei tetti della città eterna che vive a una distanza considerevole dalla storica piazza di San Giorgio al Velabro. Segnata dall’incuria del tempo e delle istituzioni, prima dell’intervento di risanamento di Alda Fendi, esteso al restauro dell’antico Foro Boario e all’illuminazione artistica permanente dell’Arco di Giano, affidata a Vittorio e Francesca Storaro. L’audio cambia solo al secondo piano della galleria, interamente dedicato alla proiezione ininterrotta della conflittualità epica e drammaticamente autobiografica del suo Edipo Re cinematografico. Uno spazio aperto, dedicato all’arte cinematografica pasoliniana di riscoprire la sacralità di corpi e luoghi mitici, anche attraverso le stampe dei suoi protagonisti, dal grande formato del primo piano dall’Edipo di Franco Citti e il Creonte di Carmelo Bene, alla luce che amplifica lo splendore dei vistosi gioielli indossati dalla Jocasta di Silvana Mangano e la Merope di Alida Valli.