PPP il “diverso”, anche dal movimento gay, nel libro di Nicola Mirenzi

Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale omosessuale più famoso d’Italia, non è mai diventato un riferimento del movimento gay, tanto più oggi che si discute di unioni civili. Critico anche nei confronti della coppia eterosessuale, Pasolini non ha mai invocato i matrimoni gay, e non solo per una questione di contesto storico o di mancanza della parola. La sua concezione dell’omosessualità contestava alla radice la cultura dei diritti: che, nella sua visione, è spesso una gabbia che riduce la libertà invece che allargarla. Il rapporto tra l’intellettuale e il movimento gay è ricostruito in un capitolo del libro di Nicola Mirenzi, in imminente uscita, Pasolini contro Pasolini (Lindau, pp.160), anticipato il 13 febbraio 2016 su www.huffingtonpost.it.  Un libro che potrà far discutere, anche perché racconta l’uso e l’abuso di Pasolini nel dibattito pubblico, e contesta quella speciale categoria che è stata costruita intorno all’autore, cioè il pasolinismo. 

Un estratto da “Pasolini contro Pasolini” (Lindau)
di Nicola Mirenzi

www.huffingtonpost.it – 13 febbraio 2016

"Pasolini contro Pasolini" di Nicola Mirenzi. Copertina
“Pasolini contro Pasolini” di Nicola Mirenzi. Copertina

La destra, la sinistra, il centro, gli estremisti, i moderati, i borgatari come i radical chic: l’hanno sventolata tutti, l’immagine di Pier Paolo Pasolini. Il movimento omosessuale no, mai. Gianni Vattimo si è spinto sino a dire che «Pasolini non sarebbe mai andato a un Gay pride, e neppure avrebbe invocato le nozze gay». Che paradosso: l’omosessuale più famoso d’Italia è diventato icona di tutti, fuorché icona gay.
C’è un ragione, certo. Il pensiero si addomestica più facilmente della vita. E, se si prendono le parole di Pasolini separate dalla sua carne, possono essere piegate a dire qualsiasi cosa. In politica, l’operazione è spregiudicata ma possibile: si taglia e si cuce, si ruba quel che serve e si butta via il resto. Ci vuole solo un po’ di pelo sullo stomaco. Nella realtà, no: non si può buttar via niente. E come la metti la metti, è impossibile deformare l’omosessualità di Pasolini sino a farla combaciare al modello della coppia gay che si è affermata.
Già gay è una parola che Pasolini non ha mai pronunciato. È vero che non si era ancora imposta nel linguaggio, ma il modo in cui viveva la sua omosessualità ha poco a che fare con la gaiezza. Mai in pace, riposato o risolto: fin dalla giovinezza, Pasolini ha considerato la sua omosessualità come qualcosa di estraneo da combattere, a cui non cedere. Solo più tardi si sarebbe lasciato andare, subendola come un dato di natura che lui non aveva scelto ma che aveva disgraziatamente scelto lui, come i capelli biondi scelgono di crescere sulla tua testa piuttosto che su quella dei tuoi compagni di classe. (…)
Che Pasolini sentisse la sua omosessualità come un tormento, può anche passare. Ma c’è un’aggravante: a Pasolini gli omosessuali non piacevano. Lui cercava solo ragazzi sotto i vent’anni, semplicemente disponibili a fare sesso con un uomo. E, per lui, questa era l’unica forma d’omosessualità possibile. O, almeno, quella prevalente. Scrive: «Un omosessuale, in genere (nell’enorme maggioranza, almeno nei Paesi mediterranei) ama, e vuol far l’amore con un eterosessuale disposto a una esperienza omosessuale, ma la cui eterosessualità non sia posta minimamente in discussione. Egli deve essere “maschio”».
Trovava i «corpi senz’anima» che cercava nelle borgate alla periferia di Roma, lontano dalla borghesia, tra quei ragazzi del popolo che erano pronti a darsi anche a un omosessuale, senza che ciò scuotesse la loro identità, scatenando crisi di coscienza. Si concedevano per gratitudine allo scrittore che gli offriva una cena in trattoria, per ripagare il regalo di un paio di jeans o mille lire. Si davano perché le donne erano loro proibite sino al matrimonio e quello era l’unico modo per avere dei rapporti sessuali. O, almeno, così dicevano.
«Mi pare di avertelo già scritto un’altra volta – spiega Pasolini a Massimo Ferretti, un giovane scrittore che aveva preso sotto le sue cure –: io mi innamoro esclusivamente dei ragazzi sotto i vent’anni, e molto ingenui, direi quasi soltanto del popolo (ingenui dal punto di vista culturale, non erotico)». Per Pasolini, i borgatari erano ragazzi liberi, non toccati dal demonio della borghesia, che appena fai una cosa ha l’ansia di catalogarti in uno schema: sei omosessuale, bisessuale, fissato, sei perverso, sei questo, sei quello. Pasolini desiderava i borgatari perché facevano ogni cosa con allegria e non conoscevano il nome di ciò che facevano. Se non hai in testa la parola omosessualità, figuriamoci se hai il problema dell’omosessualità. Ne avessero contemplato l’esistenza, sarebbero diventati immediatamente ceto medio riflessivo, smettendo all’istante di piacere a Pasolini. (…)
Ce ne sarebbe già abbastanza per segnare un scissione, una lontananza irrimediabile con l’omosessualità così come si è venuta codificando. Ma c’è dell’altro: Pasolini era promiscuo sino all’ossessione. «Sono migliaia. Non posso amarne uno», scrive in un verso dove mette a nudo la sua incontenibile vitalità e, insieme, la sua disperazione.
Quando descrive i borgatari che ama, Pasolini ricorre sempre a parole come «purezza», «innocenza», «castità». Provava un’attrazione irresistibile per l’ingenuità e la naturalezza dei ragazzi di borgata. Può sembrare un sentimento angelico, idealizzante. Ma in lui, al contrario, c’era il «gusto della profanazione, l’innocenza freneticamente cercata solo per essere poi “sporcata” dall’atto sessuale». Inseguiva la purezza per avere la possibilità di lordarla, per questo a Pasolini è impossibile avere un rapporto con lo stesso ragazzo per più una volta. «Il suo rapporto erotico con loro avveniva una volta – racconta Enzo Siciliano –, se l’incontro si iscriveva in quella cifra. Una volta avvenuto, l’amicizia che seguiva, quando seguiva, escludeva per sempre il sesso».
È come se una volta avuti, i ragazzi, perdessero la luce che l’aveva attratto. E allora Pasolini si rimetteva alla ricerca, per trovarne di nuovi e poi nuovi ancora, ossessivamente, sera dopo sera, in una corsa che si estendeva quantitativamente il più possibile. «Anch’io avevo visto, – scrive Dario Bellezza – in tanti anni di frequentazione con Pier Paolo, all’opera il suo luciferino e dolce sadomasochismo legato ad una voglia spasmodica di novità, di nuovi corpi che escludevano i vecchi, escludevano ragazzi che “già” aveva biblicamente conosciuto». Con la sola eccezione della storia d’amore avuta con Ninetto Davoli e alcuni amori adolescenziali, la cifra della sessualità pasoliniana sta in questa irrefrenabile ricerca.
Insomma, l’omosessualità di Pasolini è lontana mille miglia dall’idea della coppia gay risolta, normalizzata, che vuole sposarsi e avere figli, cioè dal modello che la maggioranza del movimento di rivendicazione gay ha adottato per farsi accogliere nella società, mostrando l’ordinarietà dell’amore tra persone dello stesso sesso. «Pasolini è oggettivamente inutilizzabile per il movimento omosessuale – mi dice Piergiorgio Paterlini, autore di Ragazzi che amano ragazzi –. Il movimento gay, a ragione o a torto, chiede uguaglianza, rivendica la normalità della condizione gay, la parità con qualsiasi altro tipo di amore e di coppia, mentre il modo che aveva Pasolini di vivere la sua omosessualità è esattamente l’opposto di quello che propone il movimento omosessuale oggi».

Gay Pride. La bandiera arcobaleno
Gay Pride. La bandiera arcobaleno

Pasolini aveva conosciuto il movimento omosessuale americano. Non quello italiano, che si consolida negli anni ottanta. Però, fece in tempo a scontrarsi con il suo nucleo embrionale. “Caro Pasolini, non ci siamo proprio” gli scrissero i gay dei “Fuori!” per polemizzare con gli articoli che scriveva. E se questo sia solo un assaggio dello scontro che ci sarebbe stato tra Pasolini e il movimento gay italiano non lo possiamo sapere. Quel che sappiamo è che Pasolini vedeva in ogni avanzare dei diritti la coda maligna della tolleranza capitalista, che assume le diversità e la accetta per poterla controllare e ingabbiare nell’unico circo a cui dà importanza, quello dell’avere. Non sappiamo come questa sua convinzione si sarebbe scontrata con le altre convinzioni, e come e se si sarebbe modificata. Sappiamo però che subito dopo l’assassinio di Pasolini gli omosessuali usano la fine tragica del poeta per denunciare il dramma dell’omofobia. Una bella parabola. Dal «non abbiamo nulla da condividere con lui» al siamo tutti come lui.
La morte di Pasolini sì che è diventata gay friendly. La memoria di quella notte all’Idroscalo di Ostia, le legnate, i pugni, i calci nei testicoli, la macchina che gli passa sopra e gli fa esplodere il cuore: l’ultimo brandello di vita ha associato Pasolini a molti altri omosessuali finiti come lui, l’ha innalzato a vittima iconica e utile alla causa della lotta – giusta, ovviamente – all’omofobia.
La vita no. La vita di Pasolini non ci sta nello schema dell’omosessualità codificata. Il mondo omosessuale italiano Pasolini l’ha contestato, e l’ha contestato proprio nel merito di come viveva la sua omosessualità. Quando scrisse la sua raccolta antologica Amore, romanzi e altre scoperte, Mario Fortunato escluse gli scritti di Pasolini non solo per ragioni letterarie («Non ho mai amato i suoi romanzi e li trovo francamente illeggibili») ma anche per «una considerazione extra letteraria», ancora più importante della prima, tanto da giustificarne l’esclusione da una raccolta di scritti. «Pasolini ha messo in luce – ha spiegato Fortunato – quell’aspetto colpevolizzante dell’omosessualità che piace tanto ai cattolici. Io non sono cattolico (non sono nemmeno battezzato) e non mi sento colpevole. Aggiungo che Pasolini è stato un esempio distruttivo per i ragazzi omosessuali del nostro Paese: ha assommato in sé una serie di segni negativi. Penso al rapporto complicato con la famiglia, alla violenza, alla morte tragica. Sono cose che atterriscono e basta».
Il più accurato nello smontare e a rimontare lo stile di vita di Pasolini, decretandone l’estraneità alle magnifiche sorti e progressive dei diritti gay, è però Giovanni Dall’Orto, altro riferimento culturale del mondo omosessuale. Che scrive: «La sua concezione della sessualità fu quant’altro mai tradizionale, addirittura reazionaria, per certi aspetti. In tutta sincerità – afferma –, è impossibile presentarlo come un militante gay, e questo per una ragione molto semplice: gli mancava l’orgoglio della sua omosessualità».
Ecco il punto: Pasolini era privo di gay pride. Per lui, l’omosessualità era «un fatto privato». Pubblico era l’uso che ne faceva per tirarsi fuori dalla società borghese e contestarla alla radice. Pasolini non parla nemmeno di omosessualità: si definisce sempre «diverso», insiste sulla sua «alterità», si separa dalla comunità degli eguali e si rintana in compagnia dei più diseredati del mondo, «i negri, gli ebrei, gli omosessuali». È una formula che ripete spesso, questa, quando vuole descrivere la sua condizione: si associa a quella di tutti i perseguitati della terra, proclamando la sua indipendenza assoluta, la sua totale estraneità alla società borghese che contesta e a cui si oppone, così, dalle fondamenta della sua esistenza.
L’omosessualità gli serve per uscire dal cerchio della società buona e giusta, per depurarsi dal peccato di essere, in realtà, borghese. È il modo in cui mette in regola le sue carte per poter parlare a nome di tutti gli esclusi del mondo. Pasolini compie il movimento esattamente contrario a quello che compiono gli omosessuali che rivendicano diritti: mentre questi puntano a essere riconosciuti uguali a tutti gli altri, lui utilizza la sua omosessualità per rivendicare con orgoglio di essere diverso.

[info_box title=”” image=”Nicola Mirenzi” animate=””]fa il giornalista. Sul quotidiano Europa, ha curato la prima rubrica di recensioni musicali in 140 caratteri, Tweet&Shout. Prima di cominciare a scrivere sui giornali ha suonato il sax in una banda di paese e la chitarra in un paio di gruppi rock ‘n roll. Per fortuna si è accorto in tempo che non funzionava abbastanza. Si è laureato a Roma. Ha vissuto a Londra e a Istanbul. Oltre che di musica, si occupa di attualità e politica (cercando di tenere legate le cose). Per Fandango è autore di #Amala. Il manuale di chi tifa Inter. (Fonte www.huffingtonpost.it)[/info_box]