Un ricordo di Tonuti Spagnol, il poeta di Versuta allievo di Pasolini

«Io ài apena cutuardis ains, e  se seben q’a par di no, tal çaf i ài mil penseirs. Il pì gros par me al è qel di vuardà, di scrutà, par fà in manera di lavorà mancul q’i pos in tal çamp». (1)
Comincia così il raccontino in friulano Jo i soi un contadinùt mus  [Io sono un contadinello asino], che compare nello «Stroligut» del 1945, la rivistina promossa in Friuli da Pasolini fin dall’aprile 1944. E per davvero, come si premurava di sottolineare in nota tale Pieri Fumul, che altri non è se non lo stesso Pasolini, quelle parole si dovevano a un ragazzetto di quattordici anni, un enfant prodige che dopo quell’attacco, con rapidi e freschi tratti, raccontava le sue  ingegnose  furbizie per  sottrarsi alle fatiche del lavoro contadino dei grandi e rifugiarsi nelle tante fantasie bambine che gli frullavano in testa.

Pier Paolo Pasolini con i suoi "zuvinìns" di Versuta. Foto di Elio Ciol
Pier Paolo Pasolini con i suoi “zuvinìns” di Versuta. Tonuti Spagnol è il secondo a sinistra della prima fila. Foto di Elio Ciol

Il  “frut” e narratore imberbe in questione era Antonio Spagnol o, meglio, Tonuti Spagnol, figlio di poveri mezzadri che, nel minuscolo villaggio di Versuta, a un tiro di schioppo da Casarsa,  campavano di stenti nella malora della campagna. La sorte volle che nel piccolo borgo decidesse di risiedere sul finire del 1944 Pasolini, un poeta vero, animato anche dalla passione pedagogica, che raccolse ben presto intorno a sé gli adolescenti  cui la guerra, ancora nel colmo della ferocia, impediva la frequenza regolare alla scuola. E così Tonuti, all’epoca studente di primo anno ai corsi professionali di  “Avviamento al Lavoro”, entrò a far parte della cerchia di “Muse a piedi scalzi” che il maestro Pasolini educò a Versuta al piacere della conoscenza e dello studio e di cui valorizzò, come scrisse, il «filone d’oro» della vocazione poetica.
Lo stesso  Tonuti, convinto a cambiare scuola e a optare per la Licenza Media, dette una svolta al destino cui le origini sociali ed economiche potevano inchiodarlo. Iniziò a coltivare la scrittura di prose e poesie in friulano, a portare alla luce della parola la delicatezza del suo animo sensibile, a impegnarsi negli studi. Una via ormai tracciata, tanto che in seguito, lasciata Versuta nel 1948 e trasferitosi insieme al cognato nel paese di S. Primo sul lago di Como per un impiego agricolo presso un’azienda, riuscì a conseguire con caparbietà il diploma di Scuola Magistrale, grazie a studi per corrispondenza e, si immagina, a tante ore notturne rubate al sonno e trascorse sui libri.
Da lì, per il giovane Tonuti, di cui la cultura e un maestro eccezionale avevano favorito il riscatto, iniziò una carriera in ascesa, costellata di tanti successi professionali che lo videro infine ai vertici dirigenziali di una importante compagnia  assicurativa e che, nel 1985, furono aureolati dall’onorificenza di “Maestro del Lavoro” conferita dal Presidente della Repubblica.
Lo stesso, a ben vedere, accadde anche al fratello più piccolo di tre anni, Dante, lui pure contagiato dal valore dello studio, sottratto alla prospettiva della dura vita contadina e poi diventato sacerdote e, dal 1970 al 1994, missionario in Kenya, oltre che autore in friulano di poesie (Un Cristian pal Mont) e di due testi teatrali (Alis di Colomba e La not dai muars).

"Vui di rosada" di Tonuti Spagnol. Copertina
“Vui di rosada” di Tonuti Spagnol. Copertina

Mentre don Dante è scomparso nel 2008, Tonuti si è congedato dal mondo il 5 novembre 2017, a pochi giorni di distanza da quel tragico 2 novembre in cui, quarantadue anni prima, perse brutalmente la vita il suo vecchio maestro Pieri Fumul, alias Pasolini, che gli aveva cambiato la vita e gli aveva fatto da amorevole guida.
Ma, forse, dalla bellezza incantata dei giorni dell’adolescenza a Versuta Tonuti non si era mai veramente staccato e ne conservava nella timidezza gentile dei modi quasi un’ombra di malinconica riconoscenza. Di quel mondo lontano resta traccia nostalgica anche nei versi, friulani e italiani, che  Spagnol ha continuato a scrivere pure dopo, nella maturità, versi raccolti già nel 1985 da Amedeo Giacomini nel libro La Cresima e Il Timp piardut (Ed. Concordia sette) e di recente, nel 2015, nell’antologia Vui di rosada curata da Sergio Clarotto per le edizioni della Società Filologica Friulana in collaborazione con il Centro Studi Pasolini di Casarsa.
Quest’ultimo libro fu presentato nel 2015 proprio a Versuta, che per l’occasione si vestì a festa per rendere onore al suo ritrovato poeta compaesano, autore di idilli sentimentali sul paesaggio friulano in versi di  «straordinaria limpidezza», come scrisse Andrea Zanzotto per la produzione giovanile di quell’allievo esemplare di Pasolini. Chi c’era ricorda che allora, in mezzi ai suoi vecchi amici, per quanto rimasti in pochi e tutti con i capelli bianchi, Antonio era ritornato Tonuti, emozionato e felice, come per un recupero dell’origine lungo il filo mai spezzato del ricordo di un’antica gioia.
Ricuart [Ricordo] si intitola anche la poesia  di Spagnol con cui piace ora concludere, cedendo la parola al poeta. Uscì nel 1947  su «Quaderno romanzo», ultimo numero con titolo mutato degli «Stroligut»,  e, riletta oggi, si fa spia di una precoce sensibilità quasi leopardiana, consapevole cioè che la felicità giovanile si accende di colori proprio perché è ombreggiata dal presagio della transitorietà e dalla coscienza che, in seguito, la si potrà rievocare solo con la parola della memoria. (a.f.)

Ricuart

Co i eri pìssul!
jeh se dis bèas
zujavi al nìssul
là pai pras.

Trimulàvin li fuejs
trimulavi ancia jò,
me pari al fèva zèis
e jo invensi no.

No ghi pensavi a nuja,
a disevin i gardelìns:
CHEL LÀ AL È UN FRUT CH’AL ZUJA
JOT SE VUJ LUSINS.

Son passàs chei dis
a è passada chè ligrìa
barlumièris frèidis
denànt la fantasia.

Eri inglussàt tal bras
di me mari ch’a à dita:
TI PROVARÀS CUI PIÈS FANGAS
TAL GRIN DA LA VITA.

Ricordo
Quand’ero piccolo! O che giorni felici, giocavo all’altalena in mezzo ai prati.
Trepidavano le foglie, trepidavo anch’io, mio padre faceva cesti e io invece no.
Non pensavo a nulla, dicevano i cardellini: quello là è un fanciullo che gioca, guarda che occhi lucidi.
Son  passati quei giorni, è passata quella gioia, miraggi freddi davanti alla fantasia …
Ero tutto tiepido in bracco a mia madre, che ha detto: proverai, coi piedi infangati nel grembo della vita.

(1)
Io ho appena quattordici anni, e sebbene sembri il contrario, in testa ho mille pensieri. Il più grande per me è quello di guardare, di scrutare, per fare in modo di lavorare meno che posso nella campagna.