Franco de Gironcoli: medico e poeta friulano amato da Pasolini

Franco de Gironcoli (1892-1979), goriziano di nascita, urologo di fama europea e poliglotta, “diede alla letteratura in friulano uno dei «picchi» più alti, alla scienza medica italiana un nuovo campo di applicazione, e al “felibrismo” della Piccola Patria il tesoro della sua cultura storica e politica” (Gianfranco Ellero, La vere storie dal Friùl. Contade di un vieli ai zovins – Franco De Gironcoli poeta e storiografo, 2013). Pasolini e de Gironcoli si incontrarono per la prima e unica volta il 21 ottobre 1945 al Congresso che la Società Filologica Friulana tenne a San Daniele. Ecco il ritratto che il poeta goriziano traccia del Casarsese sul “Corriere del Friuli” nel novembre 1976.

“Dallo sguardo mite e generoso, dall’espressione simpatica, dalla voce vellutata, un poco impacciato forse per la nuova conoscenza, mi colpì subito per la sua intelligenza, per la sua preparazione filologica, per la sua illuminazione sulla poesia friulana. Posso dire che la nostra amicizia nacque subito, un’amicizia che attraverso un’interessante corrispondenza durò fino al 1951”.

Dopo quell’incontro e la lettura dei due libriccini pubblicati a Treviso nel 1944 Vot poesiis e nel 1945 Altris poesiis, Pasolini considerò de Gironcoli un classico e lo accolse nelle preziose antologie dell’Academiuta di lenga furlana: E l’è restade un’olme apparve sullo Stroligut dell’agosto 1946, Cuintriciant nel Quaderno romanzo del 1947.

In una lettera del 3 novembre 1945 da Versuta Pasolini scrive “[…] Ho letto con vivissimo piacere i suoi due libriccini. Vorrei scriverle a lungo; ma iniziare un discorso, un colloquio, è così difficile, perché tutto è sproporzionato all’enorme silenzio che lo precede. Il silenzio deve rompersi a poco a poco, ed io ho sempre un grande timore (in queste cose così delicate) che una incapacità di comunicare, un’eccessiva presenza del corpo turbino dei rapporti che nascono da ragioni poetiche […] Riuscirà una simpatica poetica a sostituire una naturale amicizia? E parlo di amicizia perché mi risuona sempre nelle orecchie quella parola che io e i miei amici ci diciamo sempre e che anche Lei ha detto a San Daniele, félibrige.” Un mese dopo il 7 dicembre Pasolini confida a de Gironcoli la propria insoddisfazione per come l’ambiente culturale friulano interpreta la sua azione poetica: “Non colgono il fatto principale per cui il mio friulano (ed il suo) è un linguaggio senza storia, sradicato dalle abitudini, una specie di Lete, al di là dal quale troviamo una pace momentanea ma in sé assoluta. Io mi auguro moltissimo che lei lavori, che sia presto per darci una nuova piccola raccolta; la sua è una voce che mi rassicura, l’unica in tutto il Friuli.”

Ammirazione che trova spazio in una recensione alle due raccolte poetiche pubblicata nel quotidiano Libertà il 14 aprile 1946: “[…] Il fare dei nomi per il Gironcoli  (che si professa non letterato e che ora col finire della «quiete desolata e paurosa della guerra» dice di non sapere più che cosa sia poesia) potrebbe parere un vezzo critico. Ma per E l’ è restade un’olme un nome, quello di Montale, mi vien troppo spontaneo […]”. Molte delle lettere che Pasolini indirizzò al poeta goriziano andarono verosimilmente perdute dopo la morte di Helma Brock, la vedova. L’ultima di queste lettere è datata marzo 1951 e Pasolini così risponde all’invito ricevuto per partecipare il 12-13 maggio 1951 alla festa organizzata da Chino Ermacora nel Castello di Gorizia in onore di Franco De Gironcoli: “Non potrò essere a Gorizia per l’omaggio purtroppo. Non so neanche dove sarò fra dieci o quindici giorni. In Friuli (lei saprà dei miei rovesci) non potrò più tornare; a Roma non posso più stare perché chi finora ci ha mantenuto non vuole più farlo. Scusi la brutalità del mio referto; è l’ossessione che straripa in tutti i modi e da tutte le parti”. È uno dei momenti più bui nella vita di Pasolini e sua madre dopo la fuga a Roma.

Sempre in quell’anno Franco de Gironcoli per iniziativa di Gino Strada raccolse per le Edizioni di Treviso i versi dei due precedenti libretti del 1944 e del 1945 nel volume Elegie in friulano, con in appendice l’articolo Amarezza di Gironcoli già pubblicato su Libertà.
Il 30 agosto 1951 su Il Popolo di Roma Pasolini recensì molto positivamente questo volume in un articolo intitolato Ai margini di Babilonia: “È molto difficile incontrarsi, nelle letture dialettali in un libro come questo di Franco de Gironcoli (F.d.G.: Elegie in friulano, Edizioni di Treviso, 1951). C’è tanta asciuttezza nei suoi ritmi elementari, nelle sue piccole quartine perdute in mezzo alla pagina, nate a stento si direbbe, ma intere, tutte d’un pezzo, che quanto di volgare solitamente intorbida i testi in Volgare – rispetto alla koinè letteraria – pur senza una sua poetica viene tutto depositato nel fondo; ne risulta un libretto onesto e delizioso, impacciato e squisito. […] In queste poesie, scritte come casualmente dal ’43 al ’45 – diciotto in tutto, e molto brevi – il fondo sentimentale è unico, indistinto si direbbe addirittura informe: da un amaro risentimento per la prosaicità del mondo a una elementare nostalgia per l’infanzia perduta insieme con la particolare Gorizia dell’infanzia” (ora anche in Pasolini. Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol 1, Meridiani Mondadori, 1999).