Morto Enzo Golino, giornalista e critico militante. Importanti i suoi contributi su Pasolini

All’età di 88 anni se n’è andato ieri a Roma Enzo Golino, giornalista culturale, critico militante e scrittore. Nel 1962 era entrato in Rai dove avrebbe lavorato fino al 1975 occupandosi di spettacolo e cultura. Alla fine di quell’anno Eugenio Scalfari lo coinvolse nella nascita del nuovo quotidiano La Repubblica, che sarebbe andato in edicola il 14 gennaio del 1976, affidandogli la responsabilità delle pagine della cultura. Dopo poco più di un anno si trasferì al Corriere della Sera chiamato da Piero Ottone a dirigere la sezione cultura: abbandono che Eugenio Scalfari visse come una sorta di tradimento. Dopo alcuni anni rientrò a Roma dove lavorò come vicedirettore per molti anni all’Espresso, riprendendo anche la collaborazione con Repubblica e il Venerdì. Lunga la lista dei suoi libri di sociologia e critica letteraria, basti ricordare: Cultura e mutamento sociale (1969), Letteratura e classi sociali (1976), Parola di Duce. Il linguaggio totalitario del nazismo e del fascismo (2010), Dentro la letteratura (2011).

Enzo Golino, in particolare, si dedicò allo studio e all’analisi dell’opera di Pasolini, ponendo l’accento per primo fin dagli anni Ottanta, insieme ad Andrea Zanzotto, sulla centralità della tensione pedagogica nella biografia e nella sua opera, mal sopportando il “pasolinificio” che aveva fatto dello scrittore friulano un’icona buona per tutte gli usi. Vanno ricordati a questo proposito: Pasolini: il sogno di una cosa. Pedagogia, eros, letteratura dal mito del popolo alla società di massa (1985) e Tra lucciole e Palazzo: il mito Pasolini dentro la realtà (1995).

Enzo Golino collaborò a più riprese con il Centro Studi Pasolini: l’ultima volta fu in occasione del convegno Pasolini e la pedagogia, che si svolse a Casarsa nel novembre del 2013 con la direzione di Angela Felice e Roberto Carnero. Il suo intervento di apertura del convegno Pasolini pedagogo di massa, pubblicato nel 2015 nell’omonimo volume edito da Marsilio nella collana Ricerche, si concludeva con questa mirabile sintesi: “Un fatto è certo: nessuno, come Pasolini, è riuscito a raccontare se stesso e l’Italia dal dopoguerra alla metà degli anni Settanta in un romanzo di formazione totale che avesse tanta capacità di rappresentazione visionaria e di tensione eretica”.