A San Vito al Tagliamento gli atti del primo processo a Pasolini

Gli archivi del Comune di San Vito al Tagliamento, paese friulano a un passo da Casarsa della Delizia, hanno acquisito per donazione (e per consultazione solo a uso degli studiosi)  gli atti processuali relativi allo scandalo di Ramuscello del 1949, che a Pasolini costò non solo una infamante accusa, ma anche la perdita del lavoro nella scuola e l’espulsione dal Pci, con conseguente fuga a Roma. Questo gesto di liberalità è stato compiuto dagli eredi dell’avvocato sanvitese  Bruno Brusin, che fece parte del collegio difensivo e fu decisivo nel determinare l’assoluzione dell’imputato nel processo celebrato a Pordenone nel 1952.  
Dà conto della notizia il giornalista Andrea Sartori sul “Messaggero Veneto” del 7 dicembre 2016. 

Al Comune di San Vito il fascicolo del processo a Pasolini
di Andrea Sartori

http://messaggeroveneto.gelocal.it/ – 7 dicembre 2016

Fu la prima vicenda che portò gravi accuse a Pier Paolo Pasolini, che uscì assolto a tre anni dai fatti dal punto di vista processuale, ma devastato sotto il profilo personale. A difendere Pasolini per i cosiddetti “fatti di Ramuscello” di fine estate 1949 fu l’avvocato sanvitese Bruno Brusin, scomparso a 94 anni nell’agosto 2015: l’erede del legale ha donato il fascicolo processuale al Comune di San Vito.
Su quella vicenda si è scritto molto, in quanto fu il primo “scandalo” che travolse l’intellettuale, che allora risiedeva a Casarsa. Tanto che, espulso dal Pci prima ancora che il processo avesse inizio e sospeso dall’insegnamento alla scuola media di Valvasone, Pasolini fuggì dal Friuli a Roma.
Soltanto nella capitale venne raggiunto dall’assoluzione in appello, nel 1952, dopo la condanna in primo grado nel 1950. Il faldone raccoglie tutti gli atti, a partire dal verbale dei carabinieri della stazione di Cordovado, che raccoglieva le testimonianze “di paese” circa l’episodio del quale fu protagonista con alcuni ragazzi a Ramuscello, oggetto dell’incriminazione per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minori.
Si passa poi agli atti della pretura di San Vito e quelli dell’appello, nella stessa sede, con appunti e sottolineature. Determinante fu l’azione di Brusin: da un lato non ci fu alcuna denuncia da parte delle famiglie dei ragazzi, dall’altro due di questi ultimi e Pasolini furono assolti in appello per insufficienza di prove.
Ma al di là dei fatti in sé, la reputazione di Pasolini era compromessa e su questo punto si sono scritte numerose pagine, nelle quali si intersecano presunti complotti politici e morale dell’epoca (in relazione all’aspetto dell’omosessualità e non solo).

Il faldone con gli atti del processo per i fatti di Ramuscello
Il faldone con gli atti del processo per i fatti di Ramuscello

Restano atti di grande valore storico, chiesti dal Comune a Brusin quando era ancora in vita: la valenza sta in uno dei passaggi chiave nella vita di Pasolini e al contempo in una causa nella quale l’avvocato sanvitese dimostrò la sua capacità. Brusin rispose al Comune che avrebbe preso in considerazione la possibilità. Poi il sindaco Antonio Di Bisceglie si è messo in contatto con gli eredi, in particolare con l’esecutore testamentario Teodolindo Pavan, marito di Laura Brusin, una dei due nipoti – figli del fratello Nino – dell’avvocato.
Pavan, che ora è pure amministratore di sostegno della moglie di Brusin, Luciana Giacomini, ha concesso la donazione: il Comune l’ha accolta. Destinerà il fascicolo all’archivio comunale, disponibile per gli studiosi.
«L’avvocato difese prima di tutto un amico – racconta Pavan –: lui, Pasolini e i sanvitesi Federico De Rocco e Vinicio Vadori si frequentavano ai tempi dell’università. Era orgoglioso di averlo difeso; conoscendolo capiva come fosse stato “tradito” in quegli eventi. Brusin allora era tra i due o tre avvocati presenti a San Vito».
E per il legale era motivo d’orgoglio l’aver evidenziato in aula l’aspetto principe per il quale Pasolini e i ragazzi furono assolti dall’accusa di atti osceni in luogo pubblico: «L’ambiente, un giardino, era sì aperto – ricorda Pavan – ma era chiuso da una siepe».
Nato a San Vito il 6 ottobre 1920, Brusin dopo le scuole dell’obbligo studiò dai salesiani a Mogliano, poi al liceo Tito Livio di Padova. Arruolatosi nel 1940 nel 71º Reggimento di fanteria della divisione Puglie, nonostante non vedesse da un occhio, partecipò alla campagna di guerra greco-albanese.
Al rientro si iscrisse all’università di Padova e incontrò Pasolini, intrecciando una solida amicizia. Nel 1946, dopo la laurea, aprì uno studio a San Vito.
Nel 2008 fu insignito della toga di diamante per il 60º anno di attività. Grazie alle sue battaglie riuscì a ottenere l’istituzione della sede distaccata del Tribunale a San Vito, operativa sino al 2012.
«Un bene di altissimo valore storico e simbolico, perché riguarda Pier Paolo Pasolini e un episodio legato alla terra sanvitese. Esprimiamo gratitudine e riconoscenza all’esecutore testamentario dell’avvocato Bruno Brusin per un atto di grande liberalità e significato civico».
Così il sindaco di San Vito Antonio Di Bisceglie ha ringraziato il donatore del fascicolo processuale sui “fatti di Ramuscello”, Teodolindo Tavan. Nessuna intenzione da parte del Comune, ora, di spettacolarizzare una vicenda che ebbe di per sé origini controverse.
Né i relativi atti giudiziari: il fascicolo non sarà, infatti, esposto in musei o sale pubbliche sanvitesi.
«Una volta proceduto con l’archiviazione agli atti comunali, sarà a disposizione degli studiosi e degli appassionati della vita e delle opere di Pasolini – precisa il primo cittadino – per gli approfondimenti che riterranno opportuni dal punto di vista storico. Una vicenda che dimostrò la grande capacità forense dell’avvocato Bruno Brusin».

[idea]I fatti[/idea]La vicenda giudiziaria dei cosiddetti “fatti di Ramuscello” a carico di Pier Paolo Pasolini prese le mosse da un verbale dei carabinieri di Cordovado datato 15 ottobre 1949, un mese e mezzo dopo la festa di Santa Sabina di fine agosto, anche se alcune  testimonianze e gli stessi verbali dell’Arma parlano del 30 settembre.
Incriminato di corruzione di minori (denuncia poi ritirata) e atti osceni in luogo pubblico, Pasolini fu difeso da un collegio difensivo del quale faceva parte l’avvocato Bruno Brusin, che già frequentava l’allora insegnante residente a Casarsa dai tempi degli studi universitari.
Secondo l’accusa, Pasolini si era appartato con quattro ragazzi, dei quali uno sotto i 16 anni, nel corso della sagra. La conseguente azione giudiziaria fu la prima di un’umiliante trafila di accuse per Pasolini. L’intellettuale era già allora un bersaglio appetibile, sia dai democristiani locali sia dal “suo” Pci. La federazione locale del partito, ancor prima del processo, procedette con l’espulsione per «indegnità morale», comunicandola su “l’Unità” del 29 ottobre 1949.
Nel 1950, la pretura di San Vito condannò Pasolini e due dei ragazzi per atti osceni.
Nel 1952, l’assoluzione in appello per insufficienza di prove sugli atti osceni, mentre non si procedette (in un caso perché il fatto non costituiva reato, nell’altro per mancanza di querela) per corruzione di minori.
Determinante fu l’abilità dell’avvocato Bruno Brusin. Ma per Pasolini, raggiunto dall’assoluzione mentre era già a Roma, fu una vicenda devastante: era fuggito con la madre nella capitale, tra l’altro dopo aver subito anche l’esonero dall’insegnamento nella scuola media di Valvasone.

*Fotografia in copertina: Valvasone, Pier Paolo Pasolini con i colleghi della Scuola Media, 1947-’49