La poesia “difficile” di Saba nella lettura di Pasolini, di Federica D’Alfonso

Su “Giovedì” del 12 marzo 1953 Pasolini pubblicò un saggio dedicato alla poesia di Umberto Saba, poi confluito in Passione e ideologia (1960) con il titolo, leggermente mutato rispetto alla prima uscita, di  Saba: per i suoi settant’anni.  Con quello scritto Pasolini non solo rendeva omaggio al compleanno del vecchio poeta triestino, nato nel 1883, ma soprattutto ne esaltava i versi, sottraendoli alla marginalità in cui per anni la critica novecentesca, legata al gusto ermetico, li aveva relegati e sminuiti, come frutti facili  di una cultura  arretrata e provinciale. Al contrario, per Pasolini, la poesia di Saba era tra le più impervie del secolo e, dietro l’apparenza della scorrevolezza formale e della chiarezza lessicale,  celava una psicologia complessa e dolorosa, capace di violentare anche le parole più comuni  in sottili, raffinate  trame di sensi ambigui, infidi e segreti.  Con questa acuta analisi Pasolini  contribuì a segnare  una svolta nella critica sabiana, sempre più orientata nel dopoguerra a valutare l’autore del Canzoniere come una grande voce poetica  del Novecento italiano, uno «psicoanalitico prima della psicoanalisi», secondo la limpida formula di Gianfranco Contini.
Pasolini e Saba sono intrecciati anche da Federica D’Alfonso in un agile articolo apparso su www.fanpage.it del 24 agosto 2017 per l’occasione della  ricorrenza della morte del poeta triestino, avvenuta a Gorizia sessanta anni fa, il 25 agosto 1957. (a.f.)
 

60 anni fa moriva Umberto Saba, il poeta “più difficile” del Novecento
di Federica D’Alfonso

www.fanpage.it  – 24 agosto 2017

Il 25 agosto del 1957 muore, in una clinica di Gorizia, Umberto Saba. Scrivendo di lui, Pier Paolo Pasolini lo definirà «il più difficile dei poeti contemporanei», perché difficili, complessi e ambivalenti sono i sentimenti che il poeta ha raccontato nei suoi versi più famosi. Parlare della vecchia rima “fiore-amore”, delle donne, della guerra e della propria città natale non è semplice: trovare, come ha fatto Saba, l’infinito nel quotidiano, è ciò che ha reso la sua voce una delle più intense del Novecento.

Il Canzoniere, il “romanzo” di una vita
Più di quattrocento poesie scritte nell’arco di mezzo secolo: Il Canzoniere racconta una vita intera, passata attraverso i turbamenti di un’infanzia malinconica, orfana negli affetti fondamentali, che matura, forse troppo in fretta, attraverso la poesia. Alcuni critici hanno affermato che si potrebbe leggerlo come un romanzo: perché nei versi di Saba è racchiusa tutta l’esperienza esistenziale di un uomo.
C’è la guerra, che per Saba coinciderà con i primi sintomi di un malessere psicologico che lo accompagnerà per tutta la vita, ma anche la vita quotidiana delle borgate triestine, specchio di un’umanità ultima e, per questo, autentica. Ci sono le donne, e il racconto dell’affetto mancato per quella madre “mesta” e dell’amore infantile per la “lieta” balia Peppa, e ancora la Poesia, forte, diretta, “semplice” nella sua complessità interiore.

[…]
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.

Una verità nascosta nei versi dedicati alla moglie («annunciavi un’altra primavera») e alla balia, figura che richiama la fanciullezza perduta e sempre invocata: «sono passati quarant’anni. Il bimbo è un uomo adesso, quasi un vecchio, esperto di molti beni e molti mali».
Ma, soprattutto, c’è Trieste, altra fondamentale donna della sua vita: per Umberto Saba la città è molto più che uno sfondo per le proprie poesie; è un corpo vivo, fremente, attraversato dai suoi stessi turbamenti:

[…]
tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.

Umberto Saba a Trieste
Umberto Saba a Trieste

Una poesia “difficile”

Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.

Per molto tempo al nome di Umberto Saba si è affiancato l’aggettivo “facile”. Fu Pasolini, a metà degli anni Cinquanta, a smentire quell’interpretazione che lo voleva come uno dei prosecutori e “volgarizzatori” del lirismo petrarchesco: la poesia di Saba è tutt’altro che facile, proprio perché indaga nel profondo quella rima “cuore- amore” che niente ha di superficiale o scontato. Pasolini lo definì «il più difficile dei poeti contemporanei», proprio per la sua capacità di tracciare corrispondenze e significati laddove gli altri vedono solo «quotidianità».
Sono i quartieri popolari e le folle di prostitute, marinai, «vecchi che bestemmiano» e «giovani impazzite d’amore» che vivono e popolano alcune delle sue poesie più belle, affilate come lame che incidono chirurgicamente la superficie delle cose per andare ancora più giù: verso l’interiorità più profonda del sé e della propria esperienza di vita.

[…]
Prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore, sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.