Il Pasolini calciatore nei ricordi del “mister” Edy Reja

In una veste giornalistica decisamente insolita, Walter Veltroni intervista per il “Corriere dello Sport”  l’allenatore di calcio Edy Reja, di origini friulane (è nativo di un paese del goriziano), oggi settantunenne e già mister del Napoli, della Lazio e dell’Atalanta. L’occasione è buona anche per rinverdire il ricordo di Pasolini, con cui Reja condivise a Grado la comune passione calcistica e, come pare di capire dalle sue parole, una tenacia caratteriale tutta friulana. Dalla conversazione estrapoliamo qui la parte che racconta questa bella storia di relazioni umane e sportive.

Veltroni intervista Reja: «Pasolini e Senna. La mia vita piena di gioia e pallone»
di Walter Veltroni

www.corrieredellosport.it – 14 gennaio 2017

 Ho conosciuto Edy Reja al Quirinale, eravamo lì per una cena in onore del Presidente Sloveno. Mio nonno, nato a Lubiana, fu torturato a Via Tasso e il presidente aveva voluto rendere omaggio alla sua memoria. Reja era lì in rappresentanza degli sportivi friulani. Parlammo un po’ e scoprimmo di avere un amico in comune, Gianni Borgna, grande tifoso laziale e grande conoscitore dell’opera pasoliniana: proprio dal poeta di Casarsa, città friulana, comincia la conversazione con Reja. Uomo sensibile e sincero, non solo grande allenatore di calcio.

Vorrei cominciare con Pasolini. Il suo ricordo?
Sono passati un po’ di anni, eravamo giovani allora. Il nostro incontro è stato a Grado, i calciatori più o meno famosi all’epoca frequentavano quella spiaggia e lui veniva ogni anno. Lì c’era un campo dove la sera giocavamo al calcio. Pasolini era un’ala destra molto veloce, dotato anche tecnicamente, qualche volta lo marcavo e qualche sgambetto glielo facevo, per fermarlo. Ne ridevamo insieme. Insomma, era molto simpatico ed era un appassionato e un competente di calcio. A Grado c’erano le famose buche per le sabbiature e ognuno aveva la sua. Mi ricordo che lui stava sotto al sole, imperterrito, in questa buca. Non era facile, mi creda, perché erano temperature altissime della sabbia, 52-53 gradi. Lui stava così una mezz’ora, mi ricordo che c’era Ninetto Davoli che gli faceva un po’ d’ombra con l’ombrello e lui, cappellino in testa, passava il tempo leggendo un libro. La sera qualche volta si cenava insieme, parlando di calcio, solo di calcio.

Pasolini in campo
Pasolini in campo

Forse vi univa anche la comune origine friulana. Terra che ha prodotto gente coriacea, nello sport, come Bearzot, Capello, Zoff, lo stesso Pizzul…
Per me la ragione sta nel fatto che questa terra è stata un po’ martoriata: ha conosciuto due guerre mondiali e noi friulani abbiamo vissuto sempre di particolari stenti, di grandi sacrifici. Abbiamo conosciuto grandi difficoltà anche dal punto di vista alimentare, perché dopo le guerre abbiamo avuto carestie, mangiare era una conquista. Non era tempo di merendine confezionate. Il pane si sudava. E allora l’educazione che ci hanno dato i nostri genitori è stata quella di considerare i sacrifici parte del nostro cammino nella vita. E’ vero, noi friulani siamo considerati gente di grande temperamento. Nello sport, per dire, tutti si spaventano per le critiche. Le critiche sono spietate sempre, ma a noi non ce ne frega niente, andiamo avanti. Mettiamo la testa nella sabbia come gli struzzi e andiamo avanti. Non sentiamo né critiche né niente, abbiamo solo ed esclusivamente un obiettivo: fare bene.

[…]