Ungaretti e Pasolini in dialogo. Un saggio di Antonella Tredicine

Riceviamo da Antonella Tredicine un bel saggio che rintraccia sottili fili di collegamento tra Ungaretti e Pasolini e, entro l’immagine del buio e della luce comune a entrambi, li legge come autori esemplari della ricerca di verità umana e di sacralità da affidare al potere salvifico della parola poetica.
Il saggio è già uscito sul numero 20 della rivista “Euterpe”, la cui redazione ringraziamo insieme all’autrice per il consenso alla pubblicazione.

Per assenza di luce.
Dialogando con Ungaretti e Pasolini

di Antonella Tredicine

 

Complici della notte moltiplicandone gli equivoci
(Ungaretti, Monologhetto)

La luce è frutto di un buio seme
(Pasolini, L’umile Italia)

Rileggendo Ungaretti e Pasolini ho potuto constatare come la parola, ossessivamente presente nella loro poetica, sia “uomo”, declinato in “umano, umanità”, spesso accostata a discorso-morale-libertà-etica-impegno; alla poesia spetta la responsabilità di “far ritrovare all’uomo le fonti della vita morale che le strutture sociali corrompono [la sua missione è quella di riaffermare] la dignità della persona umana”. (1)
I versi in esergo indicano come la poesia, che si apre all’etica della possibilità di un’ontologia del presente, trovi la sua condizione in tre ragioni interrelate: il coinvolgimento del lettore nell’attivare il verso; la necessità disorientante dell’oscurità; l’incompiutezza della scrittura percepita come frammento di un divenire, un linguaggio mai sistemico ma ogni volta reinventato. Questo contributo muove dalla convinzione che la Poesia di Ungaretti e Pasolini, nata dalla consapevolezza delle macerie valoriali del presente, è intessuta della funzione generatrice dell’assenza (del sacro, della luce, della parola) attraverso quella capacità del poeta di “vedere l’invisibile nel visibile”.
La metafora della luce è largamente usata in Occidente per esprimere il concetto di comprensione e di conoscenza, appunto un’illuminazione nel buio dell’ignoranza. Tuttavia i Nostri rivelano “la tirannia della luce” del Tempo del Consumo in cui il linguaggio verbale è tecnicizzato e sterilizzato, la lingua logorata dall’uso, mercificata, e la poesia relegata ad un ruolo subalterno in quanto non utile ai fini produttivi.

Se Ungaretti avverte l’afasia

L’uomo, mi pare, non riesce più a parlare. C’è una violenza nelle cose [che] gli impedisce di parlare, […] di nominarle. […] Tutto si accumula sullo stesso piano [e] forma una specie di buio dove non si distinguono neppure i connotati del proprio tempo perché il tempo va avanti con una velocità che non è di misura umana (2)

Pasolini denuncia il pericolo del nostro tempo, quello più inquietante, dato dal non avvertire più la

mancanza del senso della sacralità della vita degli altri, e la fine di ogni sentimento nella propria. (3)

“Spinti là dove ‘l sol tace”, Ungaretti e Pasolini hanno percepito, drammaticamente, l’assenza del sacro e, nello stesso tempo, hanno avuto il coraggio di alzare lo sguardo proprio lì, “nel buio inenarrabile [dove solo è possibile] risillabare le parole ingenue” (Ungaretti, Nelle vene). Rievocare il sacro non significa ricostruire una perfezione scomparsa ma accogliere un’interrogazione persistente che, misura delle cose, ci aiuta ad indagare la cieca complessità del presente. L’arcaico, non esterno né estraneo alla modernità, rende leggibile la società consumistica che ha trasformato i corpi in “stupidi automi adoratori di feticci” (4) attraverso una disperata volontà dialogica fondata sulla messa in discussione delle consuete e consunte rappresentazioni, sulla necessità del dubbio e di continui interrogativi. Dalla constatazione dell’assenza del sacro nell’intollerabile presente, manipolato dalla religione del tempo, nasce la denuncia di quelle “mutazioni antropologiche” che hanno portato all’omologazione culturale, che ha manipolato la diversità, incapsulandola, rendendo impossibile anche solo nominare il sacro perché le sue tracce sembrano sparite nel cuore degli uomini.

Senza trascurare “il vivente pensare e sentire del passato”, laddove Pasolini denota il

rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali [espresso da quel] culturame venduto accanto alle merci e alle parole nel Mercato del Tempio.

Ungaretti afferma il compito del poeta che, smascherando l’aridità del tempo, coglie

la parola, una parola in istato di crisi […] nel buio l’alza ferita di luce […]. Ecco perché si muove la sua parola dalla necessità di strappare la maschera al reale [e] riesce ad avere accenti caldi di promessa umana.(5)

Il Poeta cerca, instancabilmente, di reintegrare il sacro, farlo risuonare con il canto nel mondo, dilatando quella zona liminale dove tutto è cominciato e può ri-cominciare; l’unica catarsi possibile alla tragedia del nostro Tempo è quella di trasformare la dicotomia Caos-Ordine in un ininterrotto discorso umano-intellettuale che può ridefinire il terreno del “buon incontro”. L’anelito al sacro è una traiettoria del pensiero, principio di ogni altro viaggio al fine di trovare non porti sicuri ma rinnovate oscurità in cui perdersi per rinsaldare legami di “umana cordialità”.
La Poesia assolve la funzione educativa di turbare il mondo, di svelare la crudeltà delle relazioni su cui si struttura la società, conducendoci in un’avventura mitica ispirata ai principi di un rinnovato equilibrio etico-civile. Il suo insegnamento “eretico” non veicola certezze, non dissolve antinomie, anzi rinnova forme di contestazione alla volgarità del presente. Dalle tracce di un passato, all’insegna della cecità, il sacro acquista il valore della mediazione, è il ponte da attraversare e da riattraversare in un’incessante memoria che è viva. La postura più opportuna non è il patetico sguardo su ciò che è perduto ma quella paradossale carica emotiva di un’avventura umana e intellettuale che solo l’assenza può generare attraverso la memoria.

La memoria nasce sì dalla coscienza di una perdita, ma come conflitto, come problema. La sua condizione genetica è sì l’assenza [che è] a sua volta il nucleo genetico di un enigma conoscitivo quindi di un’inchiesta insieme intellettuale e poetica che cerca la sua struttura formale.(6)

In un’epoca desacralizzata, la poesia può condurre ad un’antropologia del sentire fondatrice di una nuova umanità, nutrita dall’ecumene globale.

1) “La verità, per crescita di buio”
In una realtà resa opaca dalla tirannia della luce, esistono spie, indizi che consentono di attivare uno sguardo che rompe le evidenze sulle quali poggiano il nostro sapere, le nostre pratiche attivando un cantiere aperto nel quale entrare per vedere quello che gli altri non hanno visto, quel che “un borghese non immagina nemmeno”.
Contro la dittatura della luce, che è in Ungaretti “luce nera”, luce polverosa” e in Pasolini “luce nera e nemica”, luce che acceca”, “luce fatale”, bisogna tendere alla “luce giusta” del Sentimento del Tempo che può solo “trapelare”, come la parola è solo “brusio”, “palpito”, perché la notte è dimora della poesia, principio gnoseologico attraverso cui distinguere il proprio vero viso.

In quella oscurità, per dire il vero, c’era qualcosa di terribilmente luminoso: la luce della vecchia verità […] Una luce felice e cattiva (Pasolini, La Divina Mimesis)

Per l’uomo tutto poggia sempre su un dato oscuro [e si tratta] di spalancare gli occhi spaventati davanti alla crisi di un linguaggio [per] cercare ragioni di una possibile speranza nel cuore della storia stessa: di cercarle, cioè, nel valore della parola (Ungaretti, Ragioni di una poesia).

Chiedendoci dov’è la verità, lontani dalla struttura che ingloba ogni verità, la dicotomia luce-buio apre vie di fuga alla riflessione sui rapporti tra apparire ed essere, tra uomo-consumatore-automa e uomo che si riappropria della sua sacralità e la condivide con quella degli altri. Parafrasando le parole che Pasolini ha usato per Ungaretti, possiamo dire che la loro Poesia, sotto il segno dello spaesamento, interpella lungo l’arco della sua vita il lettore attraverso un insegnamento morale che si svolge “in un terreno di umana comunicatività”.
Spingersi verso ciò che è nascosto, riconoscere il peso di un’assenza, spesso più significativa di una presenza, è il gesto profondamente scandaloso di disobbedienza alla visione di un contesto scontato. Muovendo da quella “luce nera e nemica degli uomini di cultura abituati a starsene zitti nei momenti di pericolo”(7) procedere con inesausta volontà di capire e di fare convinti che anche nella più semplice delle parole si rivela il “mistero dell’altro”.
Dalla cecità di un nuovo Edipo, dalla consapevolezza e dall’assunzione di responsabilità, tornare ad essere solidali con tutti coloro che non hanno la parola, per i quali altri parlano, rappresentandoli.

2) I silenzi che parlano
Nei “luminosi silenzi delle pause” si aggira l’”indefinibile aspirazione” di cercare una parola che ci rimetta, umanamente, in dialogo con gli Altri. Legati dal leopardiano percepire “infiniti silenzi”, Ungaretti e Pasolini colgono la crisi del linguaggio e la esprimono attraverso folgoranti immagini in ossimori e sinestesie: “parola muta”, “urlo muto”, “sgomento muto”, “muto sgomento”. Il silenzio è elemento topico sin dalle loro prime opere, come incapacità ad esprimersi “taccio ancora rassegnato”, spesso reso drammaticamente: “parola inespressa”; “deserto / orribile”, “spazi ignoti”, “silenziose primule”; espresso da sinestesie “silenzio acceso”,  “cieco silenzio”, “muti campi”, “borghi muti / tra le mute campagne”, “muto universo”; sinestesie unite ad ossimoro “l’odore come urlo silenzioso”, “coro / disarmonico, cieco”, “suoni / impediti”; urlato in domande esistenziali “io ho gridato?” “Grideremo / ancora in tempo / Io non so più parlare?”.(8)
Impossibilità di dire, di anche solo pensare l’eventualità di un “suono” che dia voce all’inespresso:

Sarebbe così facile svelare
questa luce o quest’ombra… Una parola:
e l’esistenza che in me esiste sola
sotto le voci che ogni uomo inventa
per avvicinarsi a verità
fuggenti, sarebbe espressa, infine.
Ma questa parola non esiste.(9)

O forse esiste proprio nel silenzio, nella capacità di ascoltare ciò che questo rivela

E nel silenzio restituendo va,
A gesti tuoi terreni
Talmente amati che immortali parvero,
Luce.(10)

E’ in quell’afasia che il Poeta legge la sua storia e, leggendola, manifesta la sua richiesta di riconoscimento personale: “Tutto è muto / Grida un fanciullo, sogno?, grida o canta / grida nei muti campi, sono vivo, / grida un fanciullo”.(11)
Nei silenzi soffocati rileggiamo l’assenza che diviene fortemente presente: silenzi che spesso parlano più di ogni altra parola:

Il silenzio avviluppa continuamente il linguaggio. Il silenzio oppone resistenza alla comprensione razionale del linguaggio, dato che alimenta le ombre che mettono in discussione e frustrano la logica che l’interesse strumentale vorrebbe imporre […]. Il silenzio non è sinonimo del nulla: è una domanda sita nell’intreccio del linguaggio.(12)

Se tuttavia ascolto nel rumore
che sale dal rione, un suono un poco
più terso […]
l’indicibile mia vita
mi si disegna, per  un solo istante…
E non so sopportarla…Ma un giorno
ah, un giorno, urlerò, a quella vista,
sarà un urlo la rivelazione…(13)

In questi tempi bui di rinnovate forme di poteri di immagini in piena luce, di accelerate dipendenze, di un’”umanità in eccesso” a cui trovar posto perché non sia troppo visibile, il silenzio degli ultimi può illuminare per contrasto il modo di vivere della maggioranza e farci andare oltre il senso comune del mondo. Sospendere il senso: con questa epigrafe Pasolini sintetizzava, in Empirismo eretico, quella che credeva essere la nuova descrizione dell’impegno, del mandato dello scrittore per trovare una parola che, ungarettianamente, “tenda a risuonare di silenzio o nel segreto di un’anima […] parola che si protende per tornare a meravigliarsi della sua originaria purezza”.(14)
Un viaggio nell’alto silenzio notturno delle parole, memori con il Poeta che “il bene è come il ciclo notturno, come la notte e non il giorno, come fu la notte delle stelle a insegnare all’uomo la strada dell’umanità [ammonendolo a] non solo tenere fisso lo sguardo nel buio dell’epoca ma percepire questo buio come qualcosa che lo riguarda e lo interpella più di ogni luce”.(15)
Dialogare con Ungaretti e Pasolini, attraverso l’esercizio paziente dell’ascolto e dello sguardo, ci insegna a guardare e a sentire in modo diverso, promuovendo la vera conoscenza scaturita dal carattere fluido e dinamico di ogni incontro che, svelando l’Uomo, ci permette di riconoscerlo parte necessaria alla globalità del mondo.

Se la Poesia abita un mondo che la rifiuta, come un senza fissa dimora, apprendo che il sacro non è un luogo da ritrovare ma una modalità del mio vivere, vulnerabile alle diverse umanità. E riscopro “una disposizione arcaica [ad] amare”.(16)

Note

1.G. Ungaretti, Vita di un uomo.  Saggi e interventi, Arnoldo Mondadori, Milano 1986, pp. 768, 771.
2.Ivi, pp. 842-843.
3.P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975, p. 127.
4.P.P. Pasolini, Lettere luterane, Garzanti, Milano 1976, p. 34.
5.Rispettivamente, cfr., Pasolini, Scritti Corsari, cit., pp. 24; 243, e Ungaretti, Ragioni di una poesia, in Id., Vita di un uomo. Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori, Milano 1986, pp. LXXVII-LXXVIII; LXXXIX.
6.M. Petrucciani, Il condizionale di Didone. Studi su Ungaretti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1985, pp. 48-49.
7.P.P. Pasolini, La Divina Mimesis, Arnoldo Mondadori, Milano 2006, p. 40.
8.Id., Dal diario (1945-47), Edizioni Salvatore Sciascia, Caltanisetta 1954, pp. 11; 25.
9.Id., Roma 1950, diario, cit., p. 17.
10.G. Ungaretti, Segreto del poeta, in Vita di un uomo. Tutte le poesie, cit., p. 253.
11.P.P. Pasolini, Dal diario (1945-47), cit., p. 5.
12.I. Chambers, Sulla soglia del mondo. L’altrove dell’Occidente, Meltemi, Roma 2003, p. 215.
13.P.P.Pasolini, Roma 1950, diario, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1960, p. 17.
14.Ungaretti, Ragioni di una poesia, citpp. LXXIX-LXXX.
15.Ho rielaborato da Ungaretti, Per mare interno, in Id., Il deserto e dopo, Prose di viaggio e saggi, Mondadori, Milano 1961, p. 18, e da G. Agamben, Che cos’è il contemporaneo, Nottetempo, I sassi, Roma 2008.
16.P. P.Pasolini, I diseredati sono il nostro ‘Terzo Mondo”,  in Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, I Meridiani, Milano 1999, p. 829.

Riferimenti bibliografici
Agamben, G., Che cos’è il contemporaneo, Nottetempo, I sassi, Roma 2008
Appadurai, A., Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, tr. it. di M. Moneta, M.P. Ottieri, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014
Bauman, Z., Vite di scarto, tr. it. di M. Astrologo, Laterza, Roma-Bari 2014
Chambers, I., Sulla soglia del mondo. L’altrove dell’Occidente, Meltemi, Roma 2003
Felice A., Gri, G. P. (a cura di), Pasolini e l’interrogazione del sacro, Marsilio, Venezia 2013
Foucault, M., Poteri e strategie. L’assoggettamento dei corpi e l’elemento sfuggente, a cura di P. dalla Vigna, Mimesis, Milano 2005
Hannerz, U., La diversità culturale, tr. it. di R. Falcioni, il Mulino, Bologna 2001
La Porta, F., Poesia come esperienza. Una formazione nei versi, Fazi, Roma 2013
Pasolini, P.P., Dal diario (1945-47), Edizioni Salvatore Sciascia, Caltanissetta 1954
Roma 1950, diario, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1960
–  Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975
– Lettere Luterane, Garzanti, Milano 1976
Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972
– La Divina Mimesis, Arnoldo Mondadori, Milano 2006
Per una morale pura in Ungaretti, in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. I, a cura di W. Siti e S. de Laude, Mondadori, I Meridiani, Milano 1999, pp. 19-24
– Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, I Meridiani, Milano 1999
– Tutte le poesie, tomo I e II, a cura di W. Siti, Mondadori, I Meridiani, Milano 2003
Petrucciani, M., Il condizionale di Didone. Studi su Ungaretti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1985
Tredicine, A., Pier Paolo Pasolini,” scolaro dello scandalo”, Ombre Corte, Verona 2015
Ungaretti, G., Vita di un uomo. Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori, Milano 1986
– Vita di un uomo.  Saggi e interventi, Arnoldo Mondadori, Milano 1986
– Il deserto e dopo, Prose di viaggio e saggi, Mondadori, Milano 1961

[info_box title=”Antonella Tredicine” image=”” animate=””]seguita da Laura Faranda e Alberto Sobrero, si è laureata all’Università La Sapienza di Roma in lettere e in discipline etno-antropologiche. Docente a Roma di materie letterarie e referente per l’intercultura e la scolarizzazione degli alunni Rom, è autrice di vari studi di argomento pasoliniano, in particolare sul fronte del pensiero pedagogico. Nel 2015 è uscito per  Ombre Corte (Verona) il suo saggio Pier Paolo Pasolini, “scolaro dello scandalo”.[/info_box]