Tres Poemas para Pier Paolo Pasolini, di J.C. Mestre

[In spagnolo e in italiano. Con una nota biografica sull’Autore in italiano]

Tres Poemas para Pier Paolo Pasolini

Solo perché sei morto ho potuto parlarti come ad un uomo
altrimenti le tue leggi me l’avrebbero impedito.
Pier Paolo Pasolini

I
Hubiera querido góndolas y uvas en tu frente, blanca túnica de vichí para tu cuerpo de arbusto, vomitel, árbol enorme donde tallen timbales, panderetas, músicas al tacto valiente de tu risa, tarambas, oboes y luces en la noche que te cuida, fósil de ámbar, rejalgar, cristal indefinido que gobierna adolescente. Pero ya el humo que resolvió a los príncipes es témpano dulcísimo, véspero en la tarde de los Médicis, cascabel y sedas en tu luz definitiva, vértigo ahora cuando un arpa inicia fuentes de bálsamo en la memoria, incienso en tu cenotafio de orégano y ciruelas, harina en el hojaldre sin fin, honrado jinete tan suave en el galope y hasta relincho fucsia del centauro que quiso Botticelli para llevarte a hombros a la soledad del ibis, madre comunal y sagrada que devoró el jaguar, cinta en el pelo, miel de palma y almendras en el licor de los festejos.

II
Voy a nombrarte como sol que duda entre el jazmín o la libélula, apenas aurora y ya friso de acanto que te oculta, breve fue el amor o la alimaña y ya están los evangelios anunciando fresas en tus labios, liebres, sacristanes, adobes y pulpa de manzana; quiero esta extensa geografía reducida a brote simple de cerezo y en tu oreja cultivar infiel e íntima la vida, el deseo, el goce carnal de un cielo que devore tu muerte y te devuelva intacto al ágora y al puente, al tren, al mingitorio, a las campanas y a la luna. Qué ya vienen las mariquitas de Roma tocando la marimba y las estatuas y la hojarasca y las navajas no son, Dante y el cisne de Veronés, y Venecia no se hunde por ti y no se hace inalcanzable el vértice, porque ya estamos todos sin vergüenza en el pubis de Safo, yuruma, jarabe de maíz, sustancia, hucha y alhelí, caimán y novia.

III
Y es preciso detener la resignación que como mañana blanca de domingo azuza el cárabo, devolver la alegría al alcahuete, el miedo al juez, fingir hasta el éxodo, adornar con azucena cada culpa, convidar a matrimonio, volverse cadmio, baya, ser prodigio, retallecer, rugir y hasta ocultar con velo lo jovial, ingerir jarabes que te vuelvan grillo y regreses en el canto, araña, saurio, gelatina, nivel del mar que lo inunde todo. Porque no me acostumbro, prometido, a revejecer, a regirme en el recuerdo, a reservarte el mármol como si cónsul hubieras sido, tú, hereje mayor, joya que adornó el pulgar, hierba que embosqueció la era, nunca harija, trigo, rayo que destrona, hiere, apila y excarcela. Te quiero ya tambor, voz atonal, adormidera, flauta, tubo de viento. Levanta tu cabeza, cáliz de pan, ven nómada, regresa, hágase la justicia y alegrémonos: Ecce homo.

* * *

Tre poesie per Pier Paolo Pasolini
Da “Casa della Poesia” di Baronissi-Salerno – www.casadellapoesia.com

I
Avrei voluto gondole e uva sulla tua fronte, tunica bianca di vichy per il tuo corpo di arbusto, vomitel, albero enorme in cui intagliano timpani, tamburelli a sonagli, musiche al tatto coraggioso della tua risata, tarambas, oboi e luci nella notte che si prende cura di te, fossile d’ambra, realgar, vetro indefinito che governa adolescente. Ma già il fumo che risolse i prìncipi è timpano dolcissimo, vespero nel pomeriggio dei Medici, sonaglio e sete nella tua luce definitiva, vertigine ora quando un’arpa inizia fonti di balsamo nella memoria, incenso nel tuo cenotafio di origano e prugne, farina nella pasta sfoglia senza fine, onesto cavaliere tanto soave nel galoppo e persino nitrito fucsia del centauro che volle Botticelli per portarti a spalla alla solitudine dell’ibis, madre comune e sacra che divorò il giaguaro, nastro nei capelli, miele di palma e mandorle nel liquore dei festeggiamenti.

II
Ti nomino come sole che dubita tra il gelsomino o la libellula, appena aurora e già fregio di acanto che ti nasconde, breve fu l’amore o la bestia e stanno già i vangeli annunciando fragole sulle tue labbra, lepri, sagrestani, mattoni crudi e polpa di mela; amo questa estesa geografia ridotta a semplice germoglio di ciliegio e nel tuo orecchio coltivare infedele e intima la vita, il desiderio, il piacere carnale di un cielo che divori la tua morte e ti restituisca intatto all’agorà e al ponte, al treno, all’orinatoio, alle campane e alla luna. Che già vengono le coccinelle da Roma suonando la marimba e le statue e il fogliame ed i coltelli non sono, Dante ed il cigno di Veronese, e Venezia non affonda per te e non diventa irraggiungibile il vertice, perché siamo già tutti senza vergogna nel pube di Saffo, yuruma, sciroppo di mais, materia, salvadanaio e violacciocca, caimano e fidanzata.

III
Ed è necessario fermare la rassegnazione che come domani bianco di domenica aizza l’allocco, restituire l’allegria al ruffiano, la paura al giudice, fingere fino all’esodo, adornare con giglio ogni colpa, invitare a matrimonio, diventare cadmio, bacca, essere prodigio, rigermogliare, ruggire e persino occultare con velo il gioviale, ingerire pozioni che ti trasformano in grillo e ritorni nel canto, ragno, sauro, gelatina, livello del mare che inondi tutto. Perché non mi abituo, lo giuro, a invecchiare, a reggerti nel ricordo, a riservarti il marmo come se fossi stato console, tu, eretico maggiore, gioiello che adornò il pollice, erba che imboschì l’era, mai friscello, grano, raggio che detronizza, ferisce, ammucchia e scarcera. Ti voglio già tamburo, voce atonale, papavero, flauto, tubo a fiato. Alza la testa, calice di pane, vieni nomade, ritorna, sia fatta giustizia e stiamo allegri: Ecce homo.

Traduzione di Raffaella Marzano

[info_box title=”Juan Carlos Mestre”]poeta e artista visuale, è nato nel l957 a Villafranca del Bierzo (Spagna). Cantastorie visionario, con la sua fisarmonica sa creare immagini nelle quali realtà e invenzione si intrecciano creando atmosfere incantate. Quella di Mestre è una voce di insolita profondità, guidata dalla necessità etica dell’ultimo faro dell’utopia: la poesia. 
Ha pubblicato, tra i tanti volumi Antífona del Otoño en el Valle del Bierzo, Premio Adonais di poesia nel 1985; “La poesía ha caído en desgracia”, Premio Jaime Gil De Biedma 1992. “La tumba de Keats”, scritto durante la sua permanenza in Italia come borsista dell’Academia de España in Roma, ha ottenuto il Premio Jaén nel 1999. In quell’anno a Mestre viene attribuita una Mención de Honor nel Premio Nacional di Grabado de la Calcografía Nacional e nel 2002 ottiene lo stesso riconoscimento alla VII Bienal Internacional de Grabado de Orense. Nel 2009 ha ricevuto il prestigioso Premio Nazionale di poesia per la raccolta “La casa roja”. Nel 2011 la casa editrice Calambur pubblica “La visita de safo y otros poemas para despedir a Lennon” e nel 2012 “La bicicleta del panadero”. Juan Carlos Mestre ha preso parte per Casa della poesia nel 2005 a “Il cammino delle comete (Pistoia), Incontri internazionale di poesia di Sarajevo. Nel 2009 a “Napolipoesia nel Parco” e “VersoSud” (Reggio Calabria). Nel 2010 e nel 2012 a “Letture Mediterranee” (Baronissi e Salerno). Casa della poesia sta organizzando la pubblicazione in Italia di un’antologia delle sue poesie dal titolo “Le stelle a chi le lavora”.[/info_box]