Piero Ottone, il “Corriere” e PPP. Ricordi e riflessioni

Piero Ottone, storico direttore del “Corriere della Sera” dal 1972 al 1977, racconta a quasi 92 anni la sua esperienza di grande giornalista, sorretto dalla regola aurea di dar conti dei fatti, non delle opinioni, e di offrire ospitalità alle voci libere, come fu quella di Pasolini. E’ noto infatti che agli scritti del polemista “corsaro” Ottone diede spazio al tempo della sua guida del giornale-ammiraglia della stampa italiana, oltre che portavoce ufficiale della borghesia. Le parole di Ottone sono consegnate ora ad una videointervista visibile al link http://video.corriere.it, mentre qui di seguito è riportato l’articolo di Antonio Ferrari che, insieme a Davide Casati e Alessia Rastelli, ha incontrato Ottone e ne ha raccolto i ricordi e  le riflessioni, attente anche alla realtà contemporanea e in particolare al declino dell’Occidente, lento ma inevitabile, secondo l’illustre intervistato.

Ottone, la passione delle regole
di Antonio Ferrari, in collaborazione con
Davide Casati e Alessia Rastelli

www.corriere.it – 3 giugno 2016

A vederlo seduto sul sofà, lo sguardo attento che scruta i suoi colleghi e che, per qualche istante, si alza per cercare nuova ispirazione nelle acque del mare che circonda la sua casa di Camogli, offre davvero l’immagine del riposo del guerriero. Di sicuro quest’immagine non gli piace, in quanto non si sente a riposo e neppure si considera un guerriero.
Piero Ottone, il direttore che ha segnato indelebilmente l’ultimo mezzo secolo abbondante di storia del giornalismo italiano e che sta per compiere 92 anni, continua a ritenersi un semplice spettatore che ha avuto la fortuna di fare il mestiere più affascinante, perché il giornalismo è la vera palestra della curiosità, senza limiti, senza gabbie di appartenenza, e senza paura. Racconta: «Quando mi sussurravano: “Sei direttore del “Corriere della Sera” da 10 giorni e già c’è chi trama contro di te”, mi veniva da sorridere. Primo perché non conosco direttore che sia stato immune da trame e da complotti, persino subito dopo la sua nomina; secondo perché non me ne importava nulla. La sera andavo a dormire tranquillo e sereno. E se mi avessero cacciato il giorno dopo, pazienza. Non avrei sicuramente sofferto, perché non sono mai stato divorato dall’ambizione».

Piero Ottone
Piero Ottone

Chi ha avuto la fortuna di averlo come condottiero, come il più anziano di noi tre, non può che confermare. Ottone è stato l’interprete di una stagione probabilmente irripetibile. Anglofilo, di cultura liberale, ha rappresentato davvero la prima grande scossa a un giornalismo ingessato, incapace di interpretare la realtà, vittima di preconcetti e di ottuse chiusure. Al “Secolo XIX”, che diresse prima di arrivare al “Corriere della Sera”, dove nel passato si era distinto come uno dei migliori inviati speciali, dovette faticare per far capire che i comunisti erano una realtà di Genova e del Paese e che bisognava ascoltarli: magari per poi criticarli aspramente. «Abituiamoci a pensare che non hanno la coda».
Adesso, il direttore ha accolto e inghiottito qualche riflessione amara, forse inevitabile. Essendo un convinto seguace di Oswald Spengler, lo storico tedesco che un secolo fa prevedeva e spiegava l’inevitabile declino dell’Occidente, ritiene che la nostra civiltà stia vivendo il suo epilogo. Lento ma inesorabile, come l’epilogo di tutte le civiltà che l’hanno preceduta. Il suo pessimismo della ragione vede un’Italia avvitata nei suoi limiti. In fondo è scettico perfino sull’unità di un Paese che non ha mai saputo curare i propri difetti. Capace di seguire l’uomo forte o affascinante (Ottone conferma di aver ammirato, da ragazzo, Benito Mussolini), senza capirne per tempo i limiti. Il direttore racconta l’avventura di un leader onesto come Enrico Mattei, vigoroso rappresentante di un’evidente contraddizione: uomo di Stato e insieme condottiero privato di un’azienda, l’Eni, di cui non possedeva neppure un’azione. Questa anomalia si confonde con altri esempi, «con Berlusconi, e adesso con Renzi, che ha modeste capacità di visione politica, ma ha una grande energia».
Ottone non è stato sedotto dalle nuove tecnologie e dai social media. Ci ha detto: «Credevo che il buon Dio avesse ancora un po’ di pazienza, e prima di permettere la diffusione di telefonini e altre diavolerie aspettasse la mia scomparsa. È stato dispettoso. Ha deciso prima. Lo dico scherzosamente, perché di tecnologia avanzata non capisco nulla. Se mi chiedete se vedo, per i giornali, un futuro di carta o di web, rispondo che ritengo il web inevitabilmente vincitore. Ma si potrebbe fare qualcosa per prolungare l’agonia della carta. Comunque, le regole del buon giornalismo, per me, sono sempre le stesse: i fatti separati dalle opinioni. Sì, lo so, ora mi chiederete del mio “Corriere” e di Pasolini in prima pagina».

Beh, direttore, è inevitabile.
Vedete, io ho fatto l’inviato e il corrispondente dall’estero. Ho letto avidamente i giornali stranieri. Parlando con discreta proprietà l’inglese, il francese, il tedesco, e parlottando il russo, ho capito che i grandi giornali avevano la cura di offrire uno spazio, una Tribuna libera, a intellettuali o politici che la società riteneva importanti. Devo la scelta di Pasolini al mio vicedirettore Gaspare Barbiellini Amidei. Fu lui a suggerirmi il suo nome, e approvai. Finì come articolo di fondo, in prima pagina, in un giorno avaro di notizie. Quando dissi: «Abbiamo qualcosa di nostro?», Barbiellini mi raccontò dell’articolo molto duro che aveva nel cassetto. Lo pubblicai senza neppure chiedere il contenuto. Non lo lessi. Mi fidavo di Barbiellini. Certo, mi viene da sorridere. Ho l’impressione che ci si ricorderà di me solo per due cose: per Pasolini e per aver dato spazio e dignità alle previsioni meteo.

Cosa pensi della crisi dell’Unione Europea?
Non saremo mai una vera federazione. Gli Stati Uniti, per essere forti e coesi, hanno avuto bisogno di una guerra lunga e sanguinosa. Da europeista della prima ora, dico che dobbiamo comunque ricominciare daccapo, correggendo gli errori di un progetto di costruzione forse frettoloso. Se non si ricomincia daccapo, beh, temo che il rischio di uno sgretolamento sia molto serio… Mi chiedete della Brexit, e del referendum che si terrà tra poche settimane. Certo, ve l’ho già detto, sono un convinto anglofilo e non riesco a immaginare una Ue senza l’Inghilterra, ma nello stesso tempo penso che soltanto uno choc potrebbe convincere i Paesi dell’Unione a fare quel che finora non hanno fatto. Mi spiego meglio. Non intendo dire che la Brexit sarebbe un bene, ma mi spinge a pensare l’idea che gli altri Paesi dell’Ue, davanti al pericolo del definitivo collasso del progetto, farebbero qualcosa di importante. Certo, non tutti abbiamo la stessa moneta, parliamo lingue diverse, ma almeno occorrerebbe una volontà comune.

Una visione amara, direttore?
Non so se sia amara. Penso sia realistica. Anch’io ho i miei preconcetti, che affiorano seguendo i tempi della mia anagrafe. Sono contro le semplificazioni, gli insulti, ad esempio la sciocca e ottusa propaganda anti islamica di “Charlie Hebdo”. Mi colpiscono l’assenza di senso di responsabilità e la mancanza, in Italia ma non solo, di una vera classe dirigente. Anche questo mi sembra il sintomo del declino. Tuttavia, dico sempre: non abbandoniamo la speranza.

Werner Blaser, Piero Ottone , Eugenio Montale
Werner Blaser, Piero Ottone , Eugenio Montale