L’amara allegoria fiabesca di “Uccellacci e uccellini”, di Enzo Pio Pignatiello

Dal mensile di giugno 2017 della rivista online “Diari di Cineclub”,  diretta da Angelo Tantaro, riprendiamo una attenta scheda del film Uccellacci e uccellini, firmata da Enzo Pio Pignatiello. Al centro dell’analisi la capacità di Pasolini di trasferire nella tonalità lunare  di una favola allegorica e amara una profonda riflessione sulla crisi del marxismo e sulla indecifrabilità del mondo. 

Un Totò diverso in una favola contemporanea: “Uccellacci e uccellini” di Pier Paolo Pasolini
di Enzo Pio Pignatiello

www.cineclubromafedic.it – n. 51 giugno 2017

"Uccellacci e uccellini". Manifesto
“Uccellacci e uccellini”. Manifesto

Una favola che ha del delizioso e sorprendente: padre e figlio, in cammino sulla strada della vita, sperimentano strani incontri. Per la sua atmosfera insolita e spensierata, Uccellacci e uccellini incuriosisce, rivelandosi un film straordinario, sbalorditivo. Il temperamento autenticamente tragico di Pasolini permette allo stesso regista di evocare la Terra nel suo divenire, inerme preda di un inarrestabile degrado, che l’avvento inesorabile della società dei consumi accelera e favorisce. Nel loro incedere cadenzato i due protagonisti si imbattono nell’angoscia di chi vive nella fame e nell’ingiustizia, e discettano sul mistero della vita e della morte.
I gioiosi, provocatori, autoironici titoli del film, risuonanti della voce acuta e indimenticabile di Domenico Modugno, mostrano un cielo percorso da un nembo scuro e fuligginoso, che svela e copre, aleggiando, un barlume di luna crepuscolare. Quella stessa luna, apostrofata «vergine, intatta e giovinetta», su cui Leopardi aveva proiettato la speranza che, così lontana dal mondo e dalle sofferenze umane, ne conoscesse però l’origine e lo scopo. Quattro anni prima dell’uscita nelle sale di Uccellacci e uccellini, nel vespro della giornata di apertura del Concilio Vaticano II, anche Papa Giovanni XXIII aveva rivolto un vibrante eloquio “alla luna”, nel discorso sulle grandi questioni che inquietavano il mondo del XX secolo, a causa delle quali tutti gli uomini di buona volontà dovevano affrontare le difficili  «ore della mestizia, dell’amarezza, della sofferenza». Nella sua semplicità ed empatia, e con la sua umanità fuori dal comune, la figura di questo pontefice, eletto al soglio di Pietro proprio in quei fatidici anni Sessanta, affrontando temi quali la natura comunitaria della Chiesa e l’apertura verso i “fratelli separati”, si faceva portatore di un messaggio di pace, di fratellanza, di uguaglianza, capace di smuovere il cuore tanto dei potenti, quanto dei deboli, dei carcerati, dei sofferenti. Messaggio, questo, connaturato nella poetica di Pasolini. Ebbene, proprio la luna, ammiccando dalle nuvole, offre a Totò un pretesto per conversare con suo figlio Ninetto: Toto: «Co’  la luna nun se prende!».   Ninetto: «Chi te l’ha detto? E perché?». Totò: «Perché s’ammusa. E tocca aspettà l’alta marea».  Ninetto: «E che è st’alta marea? Da che dipende?». Totò: «È la luna che cià ‘na forza de gravità, co’ la quale l’acqua se alza…».
L’ambito spaziale è quello delle frange periferiche romane, là dove la città si innesta nelle campagne. Un viadotto in costruzione fa da emblematico sfondo, accentuando il rapporto dialettico tra il vicino e l’orizzonte, il limite e l’infinito degli spazi sterminati su cui incombe il progresso umano inarrestabile, determinando un cambio irreversibile e la distruzione definitiva di un mondo arcaico, quasi sacro e magico. I cartelli stradali indicano le distanze chilometriche delle capitali del Terzo Mondo, ma ricordano anche i nomi dei sottoproletari ormai usciti dalla storia.

Totò e Ninetto in "Uccellacci e uccellini"
Totò e Ninetto in “Uccellacci e uccellini”

Insomma, una tensione inarrestabile fra città e campagna, centro e periferia, nuovo e antico, sottende al vagare dei due personaggi, anch’essi sottoproletari, i quali tutt’a un tratto si imbattono in uno strano compagno, un corvo parlante, che li interroga sulla ragione del loro viaggio e su quale ne sia la meta. Totò e Ninetto, disincantati e quasi indifferenti, non gli rispondono e restano vaghi. Ma la sintesi di un’intervista di Mao Tse Tung, concessa a Edgard Snow, messa come epigrafe a inizio del film, ha di fatto già risposto esaurientemente al sibillino interrogativo del nero pennuto: «Dove va l’umanità? Boh!».  Sin dalle prime battute, Uccellacci e uccellini si presenta come un film tutto giocato sulla metafora e sui simboli, una sorta di apologo umoristico in cui la realtà è incessantemente mutata nella propria dimensione figurale, allegorica, favolistica. Nel paesaggio funebre di una borgatella bianca e bigia, dove il sole pare più pallido e triste, Totò e Ninetto appaiono fra i curiosi fermi attorno alla casa dove due coniugi sono morti asfissiati dal gas. Il viaggio interminabile comincia, dunque, con questo senso tragico che «la morte è tanto», e Totò non esita a sentenziare: «Per un ricco morire è come pagare il conto alla vita. Paga, sì, ma la vita gli ha dato qualche cosa. Invece il poveraccio paga e dalla vita non ha avuto niente. Che fa il poveraccio? Passa da una morte all’altra morte».
Il vagabondaggio dei due “picari” viene affiancato dal corvo parlante – con la voce, fantastica nella sua cadenza emiliana, e dunque “rossa” per eccellenza, di Francesco Leonetti –,  personificazione dell’ideologia e rappresentazione dell’intellettuale di sinistra degli anni Cinquanta, l’intellettuale laico e borghese, che incalza Totò e Ninetto con mille domande, parlando e parlando, nel tentativo di convincerli con la saggezza delle sue parole. Tra l’altro, narra loro un apologo duecentesco, durante il quale l’azione si trasferisce in pieno Medioevo, e il set davanti a una basilica romanica di Tuscania, nel viterbese. I due frati giullareschi, Fra Ciccillo (lo stesso Totò) e il novizio Fra Ninetto (Ninetto Davoli) predicano agevolmente il Vangelo agli uccellini, ma solo con difficoltà riescono a farsi capire dai falchi e dai passeri, tant’è che, alla prima occasione i falchi, dimentichi del messaggio evangelico, tornano a ghermire i passeri. San Francesco invita i desolati Ciccillo e Ninetto a ricominciare da capo.
Marxismo e Cristianesimo a confronto, dunque, due “chiese”, una laica e l’altra religiosa, ma con più di qualcosa in comune, ad esempio un’istanza di amore e un anelito all’uguaglianza, realtà che Pasolini vede già compendiate in quella classe della società – o, meglio, in quella condizione dell’esistenza – che è il proletariato. Se già il titolo del film, Uccellacci e uccellini sembra indicare, in metafora, il confine fra un gusto lirico e fiabesco (gli uccellini) e uno grottesco e provocatorio (uccellacci), è palese la simbologia propria del pensiero marxista, che divide il mondo in oppressori ed oppressi. Ma tale ideologia pare ormai soltanto un discorso moralistico, incapace di far presa sulle coscienze dei proletari. Tutto il pessimismo disfattista di Pasolini, tipico di questa fase del suo cinema, si rivela prepotentemente nell’abisso che separa l’astrattezza ideologica, inutilmente esortativa ed ammonitiva del corvo – alias intellettuale borghese comunista – e la concretezza fisiologica degli impulsi del corpo dei due vagabondi – alias proletari e sottoproletari.
Tornati uomini del Duemila -e pure così vicini ancora, nel loro sottosviluppo da Terzo Mondo, a quelli del Medioevo-  il padre e il figlio della favola contemporanea si esprimono con gli istinti primari, ora violando una proprietà privata per espletare i loro bisogni corporali, ora raccogliendo la prostituta Luna, il cui nome richiama evocativamente  il dialogo iniziale del film: «Eh, Luna, Luna, che me fai fa’!», dice Totò. E Luna: «’Namo quaggiù …. Ce sta un bel posto, che ce sta tutto fieno tajato … Co’ un profumo che nun ce se crede…. […] Che te sei magnato oggi a pranzo?». «Boh, …manco avemo magnato…». «Io ho pranzato a casa de mi’ sorella… ‘Na fettina co’  gli spinaci in padella …. Te l’avevo detto, io, lo senti che odore?». «Uh, uh», fa Totò annusando Luna dal basso verso l’alto.
Tra gli istinti primari, gli unici consentiti «a coloro che sopravvivono a se stessi, senza neppure la coscienza di essere al mondo» (Piero Spila, Pier Paolo Pasolini, Roma 1999, p.55), oltre agli stimoli del corpo, rientrano anche l’odio per i più deboli ed il servilismo verso i potenti. Non a caso, Totò e Ninetto si comportano con gli altri ora come sfruttatori, ora come sfruttati: infieriscono su una contadina che non può pagargli l’affitto di un cascinale di campagna mezzo diroccato, mentre si prostrano di fronte ad un loro ricco creditore e ai suoi cortigiani esasperatamente intellettuali. Di colpo irrompe nella favola proprio la Storia con le esequie di Togliatti, fra il pianto di donne e operai, gente che leva il pugno chiuso o si fa il segno della croce, in una parentesi altamente emotiva fatta da pezzi di repertorio inseriti nel film.
È il tramonto di un’epoca, la percezione profonda delle trasformazioni del nostro Paese e della società nazionale, «la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni Cinquanta […]  patita e vista da un marxista, dall’interno; niente affatto però disposto a credere che il marxismo sia finito»: sono le parole dell’autore all’uscita del film, col quale Pier Paolo Pasolini precedette di qualche tempo proprio quella rivolta del  ’68 che marchiò a fuoco la crisi di un certo modello dell’intellettuale impegnato. Il funerale di Togliatti è il punto culminante di Uccellacci e uccellini, ed è anche la fine del corvo, il quale, dopo breve tempo, è “consumato” dai due affamati pellegrini. Mangiato per fame, dice Pasolini, ma anche assimilato, inserito nella propria esperienza. Totò: «io me lo magno, sa’!». Ninetto: «Che?». Totò: «Tanto si nun se lo magnamo noi se lo magna qualchedun altro! Tanto che sta a ffa’, me pare pure matto!». Ninetto: «Sì, sì, ciài  raggione … Quanto m’ha stufato! Così se impara a impicciasse de l’affari dell’altri. E come se lo magnamo?». Totò: «Come l’antichi, che buttavano le  cocce e magnavano i fichi!».  Ninetto: «Eh!». Totò: « Eh, mannaggia  li pescetti!  Eeeeh! […] Sgnarf …».

Il Corvo in "Uccellacci e uccellini"
Il Corvo in “Uccellacci e uccellini”

L’intellettuale diventa martire della propria causa ideologica. «Lo sguardo tristemente va a quello che resta, un po’ di penne, le zampette, il becco, cenere e ossicini mentre i due riprendono il cammino, per la strada bianca tra la terra e il cielo. Camminano, facendosi sempre più lontani e piccoli, laggiù, nel sole, lungo la loro strada: come in un film di Charlot, mentre sullo sfondo si levano e atterrano grandi reattori» (G.B. Cavallaro, in «Bianco e Nero», a. XXVII, nn. 7-8 del 1966, pp. 77-80). Un film che comincia da una morte e giunge ad una ulteriore dipartita, all’amara e atroce constatazione della fine di un periodo della nostra storia, ma forse anche alla consapevolezza che «gli uomini andranno avanti, nel loro immenso futuro, prendendo dall’ideologia comunista quel tanto che può esser loro utile nell’immensa complessità e confusione del loro andare avanti» (Mao Tse Tung).
Mentre si moltiplicano le conoscenze scientifiche e le ideologie si frantumano, Pasolini sceglie di raccontare l’incomprensibilità del mondo, ma anche di testimoniare il suo malessere e il suo disagio personale, con una intuizione formidabile: adoperare il comico Totò in versione tragicomica. Pasolini utilizza l’attore come un materiale linguistico e ne sfrutta tutte le risorse espressive: la clownerie, la snodatura del corpo, le smorfie, i lazzi verbali, ma anche la sua dolcezza, l’essere uno come tanti – personaggio quasi quotidiano, familiare – la sua disperata malinconia. Con Uccellacci e uccellini, Totò, dopo una anticamera di teatro durata quarant’anni e dopo aver girato oltre 100 film passati accuratamente inosservati sotto il naso della critica, conobbe un improvviso plebiscito, guadagnando tutt’assieme, in una sola stagione – l’ultima della sua vita – tre premi che lo consacrarono “miglior attore” per i critici italiani del Nastro d’Argento, per i giurati del Festival di Cannes e per i critici internazionali del Globo d’oro. Con la guida sapiente del grande regista Pier Paolo Pasolini l’arte comica di Totò ritrova lo sberleffo e la smorfia tragica, rimasti per anni sepolti nel mucchio delle donnine in sottoveste e nella pochezza delle situazioni, disseminati in un mare di film mediocri e di commediole minori. A ben guardare, sono molti, nella lunga carriera dell’attore napoletano, i momenti di forte amarezza. Dagli sguardi dell’accompagnatore di Yvonne la Nuit, alle smorfie del padre di famiglia, costretto ad alloggiare i suoi in un cimitero, in Totò cerca casa; dalle sorprese dell’”osservatore” di Napoli milionaria ai silenzi di Salvatore Lojacono che, scoperte le ipocrisie del nostro mondo, preferisce cercare un po’ di dignità in carcere nel rosselliniano Dov’è la libertà?; dalle considerazioni umanistiche del piccolo imbroglione di Guardie e ladri, alle lezioni del “maestro” dei Soliti ignoti. Eppure nel poveraccio, lamentoso e felice, crudele e candido di Uccellacci e uccellini che, dall’esistenza, ha appreso un unico insegnamento – è bene badare a stare il meglio possibile – la grande carica tragica di Totò, partendo dai manichini da opera dei pupi e dalla commedia dell’arte, si sviluppa a tal segno da riuscire a riassumere, con il candore e la forza incisiva propri dell’attore partenopeo, tutto il mistero della vita.
«Non scelgo mai un attore per la sua bravura di attore, cioè non lo scelgo mai perché finga di essere qualcos’altro da quello che egli è, ma lo scelgo proprio per quello che è. Volevo un personaggio estremamente umano, cioè che avesse quel fondo napoletano e bonario, e così immediatamente comprensibile, che ha Totò. E nello stesso tempo volevo che questo essere umano così medio, così “brava persona”, avesse anche qualcosa di assurdo, di surreale, cioè di clownesco, e mi sembra che Totò sintetizzi felicemente questi elementi» (Pier Paolo Pasolini). Ancora una volta Pasolini aveva colto nel segno.

[idea]Scheda del film[/idea]Uccellacci e uccellini (1966)
Regia, Soggetto e Sceneggiatura Pier Paolo Pasolini
Durata 88’
Incasso 173.000.000 (valore attuale: 4.274.000.000) – spettatori: 606.442
Produttore Alfredo Bini per Arco Film
Direttore della Fotografia Mario Bernardo e Tonino Delli Colli
Musiche Ennio Morricone
Montaggio Nino Baragli
Sceneggiatore Dante Ferretti
Direttore di Produzione Fernando Franchi
Aiuto Regista Sergio Citti
Fonico Divo Cavicchioli
Interpreti: Totò (Totò Innocenti/frate Ciccillo), Ninetto Davoli (Ninetto/frate Ninetto), Femi Benussi (Luna), Rossana Di Rocco (un’amica di Ninetto), Renato Capogna e Pietro Davoli (due canaglie), Rosina Moroni (donna del casolare), Lena Lin Solaro (Urganda), Gabriele Baldini (il dentista dantista),
Riccardo Redi (l’ingegnere)