Il dramma di guerra nello Yemen e a Sana’a, città cara a Pasolini

In una drammatica intervista rilasciata a Martina Morini, Anna Paolini, rappresentante dell’UNESCO per il Golfo arabico e lo Yemen, traccia un bilancio desolante della situazione dello Yemen, in cui la guerra in atto comporta non solo la perdita di vite umane, ma anche la devastazione del patrimonio culturale. Danni irreparabili in un territorio di antica civiltà e di smagliante bellezza per la salvaguardia del quale già nel 1971 Pasolini aveva lanciato un preveggente appello, girando il  documentario Le mura di Sana’a. 

Yemen: quello che l’umanità sta perdendo
di Martina Morini

www.lindro.it– 23 febbraio 2017

Terra della regina di Saba.  Frontiera tra leggende, tradizioni, storie orali e storia di civiltà. Ancora incerti sulla sua reale esistenza o meno, si narra che la regina partì da qui per andare ad incontrare a Gerusalemme Re Salomone.  Conosciuta dai romani come “Arabia Felix” o Arabia Felice, ci lascia un po’ disorientati se la guardiamo oggi.
Nel marzo 2015 comincia l’operazione “tempesta decisiva”.  A guidare la coalizione c’è l’Arabia Saudita, seguita da altri Paesi arabi e supportata logisticamente degli Stati Uniti. Nel bersaglio gli Houti, un gruppo islamico sciita, affermato nel nord del Paese e supportato economicamente dall’Iran, che si contrappone alle forze sunnite, fedeli all’ex Presidente Abdi Rabbuh Mansour Hadi il cui vice è attualmente alla testa del Paese. In termini di vite umane, le perdite sono subito enormi. Ma non è tutto.
Lo Yemen è anche altro. Qualcuno con una forte sensibilità artistica lo aveva già intuito agli inizi degli anni ’70: Pier Paolo Pasolini. Pasolini nel 1971 gira Le mura di Sana’a, un documentario per chiedere all’UNESCO di inserire la città tra i patrimoni dell’umanità e proteggerla.
«Sana’a è una grande città medievale esattamente come Spoleto, rimasta intera com’era tanti secoli fa», raccontava Pasolini, «un caso forse unico al mondo, che non ha mai subito contaminazioni dal mondo moderno, completamente diverso. La sua bellezza è irreale e quasi eccessiva, benché esaltante».
Una perla rara, in un territorio a volte aspro che si conserva fino ai giorni nostri intatto.
«Un’espressione architettonica assolutamente unica, unita a un modo di vita e di tradizioni culturali rimasto come nell’antichità» ci racconta Anna Paolini, rappresentante dell’UNESCO per il Golfo e lo Yemen. «Proprio per la sua natura geografica, che ha zone montagnose al confine con l’Oman e con l’Arabia Saudita, e sugli altri lati il Mar Rosso e l’Oceano indiano, è una comunità quasi chiusa in sé, con degli scambi, certo, ma geograficamente isolata, che ha mantenuto tradizioni molto forti. Molte poche penetrazioni e poco turismo l’hanno preservata fino ad oggi. L’artigianato, la storia orale, la musica sono tutti molto tradizionali. Quasi come Matera, è un paesaggio unico, a momenti desertico, con terrazzamenti. Credo sia questo che aveva colpito anche Pasolini».
Il suo documentario termina con una richiesta chiara: «Ci rivolgiamo all’UNESCO perché aiuti lo Yemen a salvarsi dalla sua distruzione, cominciata con la distruzione delle mura di Sana’a. Ci rivolgiamo all’UNESCO perché aiuti lo Yemen ad avere coscienza del paese prezioso che è, perché contribuisca a fermare una miseranda speculazione in un paese in cui nessuno la denuncia,  perché dia a questa popolazione la coscienza di essere un bene comune dell’umanità, e di dover proteggersi per restarlo»L’UNESCO ascolta la supplica di Pasolini solo anni dopo l’uscita del documentario, inserendo Sana’a tra i patrimoni protetti e aggiungendo negli anni altre due città: Zabid e Shibam oltre all’isola di Socotra, che è patrimonio naturale.

Pasolini a Sana'a
Pasolini a Sana’a

Quello che faceva tremare il sangue nelle vene a Pasolini era la speculazione edilizia. Cosa direbbe oggi di fronte alla spietatezza di bombe a grappolo e bombe intelligenti?
Secondo una stima non completa, in continuo aggiornamento, sarebbero 40 i siti archeologici distrutti o danneggiati. Anna Paolini ci racconta che «dall’inizio del conflitto, nel 2015, ci sono state distruzioni volontarie e “collaterali”, nel senso che non hanno colpito direttamente il sito ma si sono create distruzioni come effetto secondario. È il caso, per esempio, di Baraqish,  dove la spedizione italiana del professor De Maigret aveva riportato alla luce il tempio».  Il tempio di Baraquish ci parlava del IX o X secolo a.C., delle carovane cariche di aromi e spezie che partivano alla volta di Siria e Egitto. Ci parlava della seconda città per importanza del Regno Mineo.
«All’interno di questa cittadella fortificata straordinaria, non resta quasi più niente. L’obiettivo erano gli edifici della spedizione che erano fuori, ma per lo spostamento d’aria è crollato tutto. Il danno è stato irreparabile».
Volontario o involontario, conta poco nella stima delle perdite. Alla fine dei conti resta un sito ridotto in macerie.
«Ovviamente poi ci sono elementi di altro tipo come il caso di Al-Quasimi, all’interno di Sana’a che è stato volutamente centrato, vicino all’orto-giardino, il famoso Bustan. Erano stato mirato un edificio e ne sono crollati cinque. Abbiamo di tutto, danni da terra, danni da aria e, come tutti i casi di conflitti armati, ci sono moltissime perdite. Un problema molto grande sono i  villaggi, che hanno i centri storici con architetture meravigliose. Nel momento in cui ci sono le battaglie terrestri tutto viene distrutto. A Dhamar, città nel sudest del paese, abbiamo l’esempio di un museo centrato in pieno. Al suo interno reperti risalenti all’epoca preislamica e islamica sono ormai polverizzati».
Dhamar è polverizzato, ma lo è anche la diga di Marib, simbolo dell’ingegneria idrica dell’epoca dei Sabei (I sec.a.C.),  bombardata più e più volte, nonostante non rappresenti una minaccia imminente. Ci ricorda un altro triste esempio a cui la stampa portò maggiore attenzione: Mosul in Iraq, con la famosa vandalizzazione a opera dell’ISIS.
«Non penso che ci sia la stessa logica di Mosul all’interno dello Yemen, o quanto meno non così aspra. Strade, ospedali, scuole, pozzi, porti, depositi d’acqua e di benzina sono stati distrutti per mettere in ginocchio il Paese come accade nei conflitti, ma per me è molto differente. I risultati sono tremendi, ma le ragioni sono diverse».
Eppure i sauditi hanno tra le mani una lista di “no-hit-zone”, compilata dall’UNESCO, con le coordinate dei siti protetti. Nonostante questo «due giorni fa c’è stato un bombardamento aereo a Zabid, altra città che rientra nel patrimonio protetto dall’UNESCO,  a un km. dal centro storico. L’obiettivo era un ufficio governativo, ma anche qui le vibrazioni hanno fatto danni all’interno del centro. Il rischio è aggravato dal fatto che la maggior parte dei centri storici sono dei patrimoni. È come l’Italia: ogni centro è un gioiello».

Sana'a
Sana’a

Lo Yemen non partiva comunque da un buona situazione. Era già uno tra i Paesi più poveri della penisola e occupava il 154º posto – su 187 posizioni – nell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite. «La maggior parte delle merci sono importate e il fatto che i porti siano bombardati vuol dire che anche l’OMS e WFP non possono portare beni. L’economia agricola si mantiene in vita, ma tutto il resto è importato, e la situazione è disperata. Non c’è l’attenzione mediatica su quello che sta veramente succedendo: la malnutrizione, la mancanza di lavoro, il fatto di  non potersi curare. Il 30% degli ospedali è fuori uso».
A questo triste bilancio si aggiunge la notizia del 16 febbraio, del bombardamento saudita di un funerale a Sana’a che distrugge un altro ospedale di Medici senza Frontiere, causando nove morti tra cui un bambino. «È chiaro che il target sono le infrastrutture. Se le infrastrutture sono in ginocchio, il Paese collassa».
E non è tutto. Alla distruzione per mano esterna si aggiunge anche quella che arriva dall’interno, da una popolazione che si vede distrutti i porti, gli ospedali, le riserve d’acqua, le scuole ma che possiede beni rarissimi, per i quali non si fa fatica a trovare acquirenti. «Nel caso della Siria è palese la vendita di oggetti archeologici che sostentano il terrorismo attraverso canali internazionali. È un rischio che corre anche lo Yemen. Le grandi collezioni che sono nella Hadramawt sono in buone condizioni, ma i manoscritti sono, in molti casi, in collezioni private e c’è il rischio che vengano venduti. Pochissimi giorni fa alla dogana svizzera sono stati trovati beni culturali che provenivano dalla Siria e dallo Yemen».
A questo si aggiunga poi l’azione di gruppi affiliati ad Al Qaida a cui lo Yemen non è nuovo. «Abbiamo avuto moltissimi casi nella Hadramawt dove Al-Qaida ha distrutto i mausolei religiosi attorno alle città anche l’anno scorso. I vuoti nella governance del Paese vengono subito presi dai terroristi. Anche a Shibam c’è stata l’esplosione di un’automobile all’interno del centro storico che non ha fatto morti ma moltissimi danni agli edifici».
Shibam è una cittadina nel sud caratterizzata da uno stile architettonico assolutamente unico. Le sue costruzioni, come nella maggior parte del Paese, sono realizzate con mattoni in argilla cruda e raggiungono altezze vertiginose tanto da farle guadagnare il nome di Manhattan del deserto. «I locali hanno cercato di far fronte ai danni.  C’è un pericolo che ci siano infiltrazioni oltre le due parti del conflitto. La  Hadramawt non è stato colpito dal conflitto se non da atti terroristici».

Sana'a
Sana’a

Nonostante la scarsa eco che ha tra i media occidentali, ci sono stati diversi sforzi da parte dell’UNESCO per  portare il dramma dello Yemen a conoscenza di tutti. «Quest’anno c’era un padiglione dello Yemen alla Biennale d’architettura, curato dal Museo veneto per i beni culturali. Abbiamo inoltre realizzato United for Heritage, un’ iniziativa che si occupa di mettere in luce tutto il patrimonio che stiamo perdendo nei conflitti come quello in Siria e in Yemen.  Hanno aderito i maggiori musei d’arte al mondo, tra cui il Louvre, il Metropolitan Museum of art, lo Smithsonian, il British Museum ed altri, mettendo in focus le loro collezioni sullo Yemen, oggetti che avevano già ma a cui è stato dato maggior rilievo, spiegando anche la situazione attuale con pannelli esplicativi all’interno delle sale. Il nostro interesse è proprio porre l’accento sul valore incredibile del patrimonio. Non solo parlare delle cose negative, ma far capire perché è importante che tutta l’umanità si preoccupi di quello che sta succedendo in Yemen».
Non ci sono rifugiati nelle nostre città a ricordarci il dramma di quello che succede nelle loro terre e l’attenzione mediatica è bassa, o quasi nulla, ma quello che stiamo perdendo appartiene a tutti noi. «Ci vorrà tantissimo prima di riuscire a recuperare qualcosa. Il patrimonio non è una risorsa rinnovabile. Nonostante le nuove tecnologi,e il patrimonio che arriva a noi una volta che è distrutto è perso per sempre. E persa con lui è tutta la memoria storica».