“Decameron” come “affresco di tutto il mondo”. Un’analisi di Simona Russo

Con l’occasione dell’anniversario della nascita di Pasolini, avvenuta il 5 marzo 1922, Simona Russo dedica una sua analisi al film Decameron e al significato implicito nella originale rilettura pasoliniana del capolavoro trecentesco di Boccaccio. Riprendiamo il breve contributo da  www.pontilenews.it.

Pier Paolo Pasolini: “l’affresco di tutto il mondo”, dall’umanesimo alla lotta di classe
di Simona Russo

www.pontilenews.it – 5 marzo 2016

Il 5 marzo del 1922 nasceva uno dei più grandi maestri del cinema italiano, Pier Paolo Pasolini. Ricordiamo il suo lavoro attraverso l’analisi di una delle sue ultime e più suggestive creazioni, la rivisitazione cinematografica del  Decameron  di Giovanni Boccaccio del 1971. Pasolini interpreta un allievo di Giotto, che esausto ed estasiato contempla l’affresco di una Madonna infelice (una Mangano carnale ed eterea) ai cui piedi si apre, tra inferno e paradiso, una profonda voragine che condanna le classi subalterne allo sfruttamento.
Il film, che riprende nove novelle del capolavoro boccaccesco, tra cui Andreuccio da Perugia, Masetto da Lamporecchio, Ser Ciappelletto e Lisabetta e Lorenzo, è un’illustrazione cinematografica libera e ispirata, nella quale la trasposizione dell’opera letteraria porta il segno profondo dell’intellettuale, scrittore, linguista e poeta Pasolini.

"Decameron" (1971)
“Decameron” (1971)

Come già accaduto con il Vangelo secondo Matteo, Pasolini tiene conto del “senso comune”  del testo, ossia del racconto al di fuori del suo spazio temporale. Per Alberto Moravia [“l’Espresso”, 11 luglio 1971, ndr.], Il Decameron pasoliniano è espressione di tutto ciò che sfugge alla moda, alla corruzione dei secoli e al momento storico: il regista si appropria del «senso comune» dell’opera, rappresentando una realtà priva di moralismi e, soprattutto, dell’auto-celebrazione di non averne. La Napoli popolare diviene il tessuto connettivo del film, nel quale si esclude ogni ambientazione esotica, aristocratica e borghese. La favella toscana dei ragazzi scampati alla peste si estingue a favore di un dialetto napoletano contemporaneo, aggressivo e realistico. Il meccanismo cinematografico che sostituisce la cornice boccaccesca diviene la firma dell’adattamento pasoliniano, del progetto ambizioso di un “affresco di tutto il mondo” [così in una lettera al produttore Franco Rossellini della primavera del 1970, ndr.]: un universo normalmente scandaloso dove letteratura e realtà si confondono.
La vita contadina, libera dal perbenismo e dalla cornice umanistica che la racchiude, è dominata da sentimenti ingenui e sinceri. Nonostante le numerose denunce per pornografia, il nudo di Pasolini si spinge sino ai limiti del possibile, mostrando per la prima volta sullo schermo, l’atto sessuale come un semplice gesto dei corpi, naturale, goffo e verosimile: «(…) purtroppo tutto il mondo intorno a me, e lo vedo senza polemica, sia dalla parte della borghesia, sia dalla parte dei rivoluzionari, cioè quelli che contestano la borghesia a tutti i livelli, scivola spaventosamente verso forme irreali, verso modi di essere completamente irreali. Finiscono per lasciare spazio a mostruosità linguistiche ed espressive, che hanno come ultimo risultato di eliminare quella che effettivamente è la realtà in pratica: i corpi non ci sono mai» [“Giorni – Vie nuove”, n. 26, 19 luglio 1972].
L’affresco di Pasolini si è compiuto, nel corso della sua carriera, tramite diversi registri linguistici, che dal cinema alla letteratura hanno rappresentato con sguardo critico le contraddizioni della modernità. La Trilogia della vita si compie attraverso epoche remote, nel rimpianto di un passato ingiusto ma reale. Le classi popolari del Decameron, che migrano dalle campagne toscane agli angusti vicoli di Napoli, sono libere da ogni condizionamento piccolo-borghese e sono il frutto di un’attenta analisi dei cambiamenti sociali del nostro Paese, dell’attualità incompresa di uno dei maggiori intellettuali del XX secolo.
La profetica peste pasoliniana è la società dei consumi e le sole classi sociali che ancora resistono all’indottrinamento televisivo e alla distruzione dei valori sono quelle che parlano ancora il dialetto, sono le borgate periferiche degli eroi pasoliniani, dove la lotta per la liberazione, come ogni rivoluzione che si rispetti, passa anche per la conquista della libertà, libertà sessuale e di pensiero.