Con Pasolini, anche Mario Schifano a Sarzana tra le firme di “12 dicembre”, di Benedetto Marchese

Tra le firme del documentario recentemente restaurato 12 dicembre (1972),  realizzato da “Lotta Continua” su soggetto e sceneggiatura di Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi, ci fu anche quella di Pasolini, che tuttavia, come è noto, scelse di non comparire apertamente nei titoli di coda.  Nel film fu inserito anche uno spezzone girato a Sarzana da Mario Schifano, pittore, regista e militante al fianco di vari  gruppi extraparlamentari di sinistra degli anni Settanta. Nello spezzone era documentata la frustrazione degli ex- combattenti della Resistenza davanti agli esiti dell’Italia uscita dalla guerra: un capitolo filmico che è stato richiamato all’attenzione a seguito della recente morte di Pino Meneghini, storico, scrittore, giornalista e profondo conoscitore della memoria della città di Sarzana. E appunto nel 2015, per l’occasione del quarantennale della morte di Pasolini, egli stese una breve nota anche  sulle riprese realizzate a Sarzana da Schifano: l’articolo  uscì il 2 novembre 2015 sulla testata «Città di La Spezia», che ora ne ha richiamato  il testo in ricordo del suo autore.

Pasolini, Schifano e i partigiani di Sarzana
di Benedetto Marchese

www.cittadellaspezia.com – 2 novembre 2015

Tra l’intervista alla vedova Pinelli, la rivolta di Reggio Calabria e i morti delle cave di Carrara c’è anche un po’ di Sarzana con lo scontento degli ex partigiani “traditi” dalle scelte e dalle decisioni del Partito Comunista nel dopoguerra. Ritratti della realtà operaia e politica dell’Italia poco dopo la strage di Milano e la misteriosa morte dell’anarchico milanese, inseriti da Pier Paolo Pasolini nel documentario 12 dicembre realizzato con Lotta Continua e pubblicato nel 1972. Una collaborazione, quella, tra l’intellettuale di cui oggi ricorre il quarantesimo anniversario della morte e il collettivo extraparlamentare, che per quanto inizialmente inattesa portò invece alla composizione di un viaggio politico e sociale in un periodo storico caratterizzato da tensioni, lotte operaie, povertà e appunto il malcontento di alcuni ex combattenti “traditi” dopo la Resistenza.
Sul documentario recentemente restaurato è stata ormai chiarita anche la chiara paternità di Pasolini grazie al ritrovamento di una registrazione, nella quale lui stesso spiega: «C’ho lavorato, l’ho montato io, ho scelto io le interviste ma non ho messo la regia, perché gli avvocati  che l’hanno visto mi hanno detto che era pericolosissimo, che mi avrebbero  messo in prigione. E allora abbiamo trovato una formula per cui il mio nome ci fosse, perché chi voleva capire capisse, ma formalmente non potessero procedere contro di me. Io ho girato circa un sessanta per cento, ma l’ho  montato tutto io. Però – e questo è il punto – non ci ho messo la mia  ideologia. Da una parte ho messo quella che è la realtà, dall’altra ho fatto dire le loro idee a questi di Lotta Continua».

"12 dicembre". Lo spezzone girato a Sarzana
“12 dicembre”. Lo spezzone girato a Sarzana

Nei crediti iniziali si legge infatti «da un’idea di Pier Paolo Pasolini», mentre soggetto e sceneggiatura sono attribuiti a Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi, anche se, come detto, lo scrittore e regista girò in prima persona alcune sequenze. La parte sarzanese venne invece affidata a Mario Schifano, altro protagonista di primissimo piano della cultura italiana dagli anni Sessanta in avanti. Straordinario pittore (ma anche regista), che fu a lungo sostenitore e finanziatore di Lotta Continua e che a Sarzana girò la scena in un’osteria di via della Pace gestita allora da un certo Bastian. Pochi minuti che davanti al bancone riprendono seduti attorno ad un tavolo un giovane Andrea Ranieri, che in merito «a Stato e partiti che non riescono a mettere nell’illegalità il fascismo» replica con una battuta sullo «Stato che è fascista», e i partigiani Ernesto Parducci, “Martin” Isoppo e Magnolia detto “Gas”, oggi tutti scomparsi.
«Quando siamo andati ai monti eravamo un nucleo di gente pura che lottava per un ideale, – dicono gli ormai ex combattenti – volevamo realmente cambiare la situazione, ma è stato un inganno, una truffa. Hanno venduto quello che era il movimento partigiano». Una frustrazione per quello che non è stato dopo una stagione di lotta sanguinosa anche in Val di Magra, ben spiegato anche da “Martin”: «Quando tornai a casa nel maggio del 1945, mi dissero: “Cerchiamo di fare l’Italia con un altro sistema democratico e avanzato, con le riforme, senza tirannia o monarchia”. Ma le cose non erano cambiate, – osserva – cominciavano le lotte, gli scioperi, cominciavano di nuovo a sparare, mi dicevo: “Che Repubblica abbiamo fatto quando ci sono morti, la polizia che spara e Togliatti che concede l’amnistia ai fascisti?”. Che Repubblica abbiamo fatto, dicevo fra me e me, ma loro mi rispondevano: “Un passo alla volta, un passo alla volta, un passo alla volta”. Passi che sono sempre stati fatti nello stesso posto, tanto che per conto mio dove il Partito Comunista mi diceva di fare quei passi c’è un buco di due metri».