Traguardato il mezzo secolo di esistenza, la 52.ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, in programma dal 2 al 9 luglio 2016, seguirà la formula peculiare che questa manifestazione storica sa ancora riproporre per farsi vetrina di una riflessione cinematografica sempre volta al futuro. Lo dimostra anche la sezione Concorso Pesaro Nuovo Cinema. Premio Lino Micciché che conta otto tra opere prime o seconde sottoposte a una giuria presieduta da Roberto Andò.
L’Italia sarà rappresentata da Per un figlio di Suranga Deshapriya Katugampala, regista originario dello Sri Lanka, emerso qualche anno fa con la webserie Kunatu. Tempeste ambientata nella comunità cingalese a Verona, che con quest’opera esplora il nesso tra conflitti identitari e generazionali attraverso il rapporto tra una madre e un figlio.
La retrospettiva principale del Festival è dedicata quest’anno all’algerino Tariq Teguia (1966) di cui saranno proiettati tutti i film, mentre un altro percorso che non si vuole retrospettivo bensì “prospettivo” è quello che il Festival dedica al valore del romanzo popolare nel cinema italiano contemporaneo, a partire dal volume Romanzo popolare. Narrazione, pubblico e storie del cinema italiano negli anni duemila di Pedro Armocida e Laura Buffoni (Marsilio, 2016):un tema che sarà sviluppato attraverso una tavola rotonda con registi, sceneggiatori, scrittori, studiosi e critici e la proiezione di alcune coppie o tris di film tra passato e presente, come Noi credevamo di Mario Martone o Senso di Luchino Visconti.
Il Festival conferma anche la sua grande attenzione al cinema sperimentale con sezioni come “Satellite”, panoramica non competitiva sulla produzione audiovisiva italiana a bassissimo budget che proporrà lavori di artisti giovani o meno giovani, gruppi e collettivi.
Ad Adriano Aprà è affidata invece la sezione “Critofilm. Cinema che pensa il cinema” che, oltre a un ebook gratuito ricco di contributi teorici e bibliografici, porterà a Pesaro lavori di diverso formato e durata, tutti caratterizzati dall’idea di proporre una riflessione sul cinema attraverso il suo stesso linguaggio, una diversa forma di critica e storia del cinema. In questa sezione si vedranno anche due documentari con cui il Festival di Pesaro continua a tributare il suo omaggio al cineasta e poeta Pasolini. Si tratta di Appunti per un critofilm su Pasolini (1966) di Maurizio Ponzi, che fu assistente di Pasolini nel 1966 per l’episodio La sequenza del fiore di carta, e di Le ceneri di Pasolini di Pasquale Misuraca (1993).
Quest’ultimo film, coprodotto da Alla srl. e Rai tre, è un’autobiografia audiovisiva di Pier Paolo Pasolini, ottenuta attraverso il montaggio ritmico delle più importanti interviste rilasciate da Pasolini fino a pochi giorni prima della morte, alternate da una selezione delle scene più significative dei suoi film e documentari, da riprese documentarie sui set, registrazioni delle letture pubbliche di alcune poesie e immagini dei suoi dipinti e disegni.
Di recente, sul “Manifesto” del 2 luglio 2016, lo stesso Misuraca ha commentato quel suo lontano lavoro, ricavandone lo spunto per una riflessione generale sulla figura e le caratteristiche del grande artista, che è tale quando sa conciliare sensibilità e raziocinio. Casi rari, di cui, a detta di Misuraca, Pasolini offre il paradigmatico esempio.
La leggenda dell’artista viscerale
di Pasquale Misuraca
http://ilmanifesto.info – 2 luglio 2016
Ho realizzato il film-documentario Le ceneri di Pasolini (nel 1993-4), che sarà proiettato di nuovo e rotondamente discusso alla 52.ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro (2–9 luglio 2016) con l’intenzione di criticare la leggenda dell’artista viscerale. Questa leggenda (l’artista pensa con le viscere) fa il paio con la leggenda della donna uterina (la donna pensa con l’utero).
È vero, l’artista e la donna sono esseri viventi particolarmente sensibili. Sentono, prima di comprendere e capire. Ma bisogna aggiungere: per fortuna.
«L’elemento popolare “sente”, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa”, ma non sempre comprende e specialmente “sente”. I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non che il pedante non possa essere appassionato, anzi; la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo e la demagogia più sfrenati. L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed esser appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere)». (Gramsci, Quaderni)
La leggenda dell’artista viscerale è stata costruita da intellettuali che “sanno”, ma non sempre comprendono e “sentono”.
Pasolini è stato vittima, in vita e in morte, di questa ostinata leggenda, che continua a circolare in tutte le sfere sociali, e persino tra gli artisti – che spesso se ne vantano: come se questa presunta questa presunta visceralità certificasse l’origine divina della loro professione.
Naturalmente, i singoli artisti sentono, comprendono, capiscono, in maniere e misure singolarmente diverse. Pasolini, per esempio, sentiva e comprendeva e capiva al sommo grado.
Veniamo al ritmo del film-documentario. Come tutti gli autori ho un ritmo compositivo, che informa tutte le mie opere. Le ceneri di Pasolini è un documentario saggistico, che vuole descrivere in maniera filologica, e raccontare in forma autobiografica, Pasolini autore e uomo, e quindi il mio ritmo si deve intrecciare fino a sposarsi col suo ritmo. Se voglio spiegare, dispiegare, la figura, il modo di essere, di fare arte di Pasolini, devo tenere concretamente presente il suo proprio ritmo. «Il ritmo è la compiuta astrazione del contenuto». (Ejzenštejn)
Nel film-documentario Pasolini dice che, sebbene sia ritenuto un essere umano e un artista tendenzialmente triste, egli è invece di natura gaia. Un uomo gaio, cioè sereno, gioioso, vivace, entusiasta, euforico, repentino, allegro.
Partendo anche da questo, ho pensato conseguentemente al continuo interesse di Pasolini nei confronti del dionisiaco, dell’arcaico, del primitivo, del selvaggio, dell’ancestrale, del «meraviglioso barbaro», come lui stesso un giorno lo ha definito.
E così, lavorando al documentario, a un certo punto mi sono ricordato di un testo musicale di Béla Bartók che s’intitola ed è Allegro Barbaro. L’ho assunto come motivo conduttore di questo film-documentario, che perciò è tutto strutturato da questo ritmo, non soltanto quando questa musica torna, ma anche quando manca. Pasolini era un allegro barbaro a tempo pieno, quando scriveva e quando mangiava, quando filmava e quando giocava.
[idea]Info[/idea]52.ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro
dal 2 al 9 luglio 2016
luoghi delle proiezioni: Teatro Sperimentale (sala Grande e sala Pasolini), Centro Arti Visive Pescheria, Palazzo Gradari, Piazza del Popolo di Pesaro
biglietto gratuito
*Foto in copertina: © Vittorio La Verde