Grande riscontro di spettatori e critica per Terra che non sa, lo spettacolo di teatro-danza diretto da Sarah Lanza, a cura della Compagnia Daf – Teatro dell’Esatta Fantasia, che ha registrato il tutto esaurito al debutto del 15 gennaio 2016 presso la Sala Laudamo, ridotto del Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Si tratta del secondo appuntamento della trilogia “Progetto Parola Pasolini”, inserito nell’ambito di “Laudamo in Città” 2015/16, che è stato riproposto anche per altre tre repliche, dal 22 al 24 gennaio 2016.
In scena la famiglia Banks (Luca D’Arrigo, Patrizia Ajello, Massimo Bonanno e Veronica Capodici) che rappresenta il modello familiare occidentale in contrapposizione al nucleo africano costituito da un uomo e una donna (Alessio Bonifacio e Ilaria Tartaglia), i cui destini sono mossi dai due “testimoni” pasoliniani Michele Falica e Antonio Vitarelli. Nello spettacolo, oltre all’uso sapiente delle musiche, i movimenti e il corpo costituiscono il linguaggio e la traduzione della condizione umana odierna, uno studio che Sarah Lanza ha condotto basandosi sulle preferenze pasoliniane in fatto di tendenze e contaminazioni sonore: dallo stile classico con Mozart e Bach a quello swing, scanzonato e grottesco. Importanti anche le citazioni che rivelano l’interessante ricerca teatrale sul pensiero di Pasolini, restituito con brani tratti da Teorema, Edipo re, Appunti per un’Orestiade africana e la sceneggiatura del film La ricotta.
La clessidra, che costituisce la parte centrale delle scene create da Giulia Drogo, è il simbolo del tempo che scorre e del deserto che cresce e decresce, metafora attraverso la quale si condensano le vite dei personaggi.
Qui di seguito, a firma di Domenico Colosi, una attenta recensione del lavoro che il pubblico si augura di rivedere ancora.
Pasolini e un paese di giovani
di Domenico Colosi
www.tempostretto.it – 16 gennaio 2016
Cronache della famiglia Banks, secondo atto. Il palco diviso simmetricamente da una clessidra, due silenziosi narratori-demiurghi ad ispirare le due scene contrapposte: il risveglio felice della famigliola borghese, le sevizie subite dai migranti nei campi di concentramento libici. Inizia ad agitarsi lo spirito di ribellione: i figli del benessere insoddisfatti delle costrizioni della morale, i profughi pronti a seguire il proprio destino di rifugiati al di là del mare. Urla, paradossi, sovrapposizioni e ribaltamenti fino ad un finale idilliaco nella penombra del palcoscenico. Finti moralismi e meditate pietà televisive messe all’angolo, all’orizzonte un paese per giovani.
Le inquietudini, il soffocamento e il senso di repressione della morale borghese, le sofferenze della fuga per approdare alla sensuale libertà della danza: Terra che non sa spezza e ricompone attraverso i canoni del teatro-danza orgogli e fragilità di due mondi contrapposti fino a farli giungere alla soavità del reciproco riconoscimento, con i pregiudizi sconfitti e relegati in fondo al palco in una posa riecheggiante la Cacciata dal Paradiso di Masaccio. Facile incorrere in didascalismi e banalità quando, prendendo le mosse da un’opera compiuta come quel Teorema di Pasolini ispiratore dell’intero progetto già inaugurato con il primo lavoro “Vento da Sud Est”, si decide di varare un ponte immaginario tra il passato e le complessità del presente: Sarah Lanza aggira gli ostacoli con leggerezza, evitando con attenzione la dicotomia bene-male per proiettarsi su una visione quasi documentaristica dei fatti in un crescendo di lirismo che culmina in un finale forse eccessivamente consolatorio.
In mezzo, ben amalgamate con i motivi che carsicamente riemergono nel corso dello spettacolo, le citazioni da Accattone o le cristologie della Ricotta e del Vangelo secondo Matteo ad esaltare un discorso solo apparentemente in continuità con il primo atto firmato da Angelo Campolo: superiore, in questo caso, la prova dei giovani attori sulla scena, apparsi in ogni frangente perfettamente aderenti alla parte (da sottolineare in questo senso le interpretazioni di Patrizia Ajello e del narratore Michele Falica) in una gestualità sempre sapientemente controllata.
Capitolo a parte per la colonna sonora, scelta accuratamente tra le preferenze dello stesso Pasolini con alcune incursioni moderne: dal Requiem di Mozart per il risveglio della famiglia borghese (con applauso a scena aperta da parte del pubblico della Laudamo) a Bach, passando attraverso canti africani e l’irresistibile Minor Swing di Django Reinhardt, perfetta nel valorizzare le movenze splastick nella scena delle stereotipate attività quotidiane dei Banks. Conclusione riservata a Francesco De Gregori con L’infinito, scelta probabilmente stridente se compiuta dopo aver regalato all’intero contesto un opportuno senso di straniamento con le evocative composizioni di Brian Eno e Arvo Part.
Il grigio e il rosso a dividere i due gruppi, monocromie pronte a dar vita alle necessarie contaminazioni per aprire un nuovo fertile dialogo tra culture. Ribaltare, dunque, in ottimismo quella che per Pasolini era solo rassegnazione per un mondo proteso verso la cancellazione di ogni identità: scelta personale e coraggiosa quella di Sarah Lanza, forse imposta dallo spirito dei tempi; nessun tradimento, ma il semplice aggiornamento di un tema che accompagnerà ancora per lungo tempo le valutazioni politiche dell’Occidente.