Omaggio ad Alfredo Bini alla Mostra del Cinema 2015 di Venezia

Nella produzione cinematografica italiana il nome di Alfredo Bini (1926-2010) occupa un posto non trascurabile, sebbene la sua attività più conosciuta e apprezzata sia circoscritta agli anni ’60. Bini inizia la propria attività proprio nel 1960, fondando la casa di produzione Arco Film e realizzando Il bell’Antonio di Mauro Bolognini, tratto dall’omonimo romanzo di Vitaliano Brancati. Sin da questo primo lavoro emerge la personalità ribelle del produttore, sordo persino ai richiami del Ministro dello Spettacolo Alberto Folchi che tenta di dissuaderlo dall’affrontare un argomento rischioso come quello dell’impotenza maschile. Ma il nome di Alfredo Bini è noto soprattutto per la lunga e intensa collaborazione con Pier Paolo Pasolini, che fa esordire nel 1961 con Accattone e del quale produce tutti i film sino a Edipo re del 1967. Bini difende le sue opera pubblicando nel 1969 un saggio dall’emblematico titolo Appunti per chi ha il dovere civile, professionale e politico di difendere il cinema italiano. La parabola umana e professionale di Bini segue le sorti del cinema italiano. Gli ultimi anni sono vissuti nella solitudine e nell’amarezza. Questa è la storia di uno dei nostri produttori più coraggiosi e liberi, cui alla Mostra 2015 del Cinema di Venezia rende omaggio un documentario in concorso, firmato da Simone Isola.
Ne dà conto su “il Manifesto” del 29 agosto 2015 Silvana Silvestri in un articolo da cui estrapoliamo una parte.

Pasolini sul set di "Accattone" (1961. Produttore Alfredo Bini
Pasolini sul set di “Accattone” (1961). Produttore Alfredo Bini

Le avventure della produzione, la coerenza militante
di Silvana Silvestri

http://ilmanifesto.info – 29 agosto 21

Alfredo Bini, che resterà per sem­pre famoso nella sto­ria del cinema come pro­dut­tore di Paso­lini, negli ultimi anni della sua vita fu anche assi­duo col­la­bo­ra­tore di “Alias”. Di que­sto non parla il bel docu­men­ta­rio Alfredo Bini, ospite inat­teso di Simone Isola (distri­bui­sce Isti­tuto Luce Cine­città) che sarà pre­sen­tato alla Mostra di Vene­zia tra i docu­men­tari dedi­cati alla sto­ria del cinema nella sezione “Venezia Clas­sici”, ma vogliamo ricor­dare que­sta col­la­bo­ra­zione per­ché tra le nostre carte dovrebbe esserci anche un suo scritto, un trat­tato che all’epoca ci sem­­brò pura fol­lia: il futuro del cinema attra­verso la dif­fu­sione satel­li­tare. Era sem­pre avanti.
Tutto que­sto acca­deva negli ultimi anni della sua vita quando, impo­ve­rito e senza più pro­getti che si potes­sero attuare, fu accolto un giorno del 2001 con ami­che­vole sim­pa­tia e soste­gno che si rive­lerà dura­turo da Giu­seppe Simo­nelli, padrone del Motel Magic di Mon­talto di Castro. Rac­conta Simo­nelli che si trovò di fronte que­sto sim­pa­tico signore di una certa età che aveva tro­vato la ser­ra­tura cam­biata nella casa di Capal­bio, pra­ti­ca­mente but­tato fuori di casa, e gli chiese una stanza per due o tre giorni, poi per più tempo, e lui, che aveva capito in che acque si tro­vava, gli mise a dispo­si­zione una depen­dance. Lì visse fino alla sua morte e, nelle scene finali del documentario, si vede che tutte le sue cose, le sue carte, foto­gra­fie e oggetti sono state con­ser­vate con cura, come vivesse ancora lì.
Riper­cor­rere la sua vita e le sue avven­ture faranno entrare lo spet­ta­tore della Mostra nel clima per­fetto per poter capire cosa si muo­veva in que­gli anni die­tro la mac­china pro­dut­tiva e per cono­scere un per­so­nag­gio ecce­zio­nale. Il pro­dut­tore di un tempo degno di que­sto nome aveva come arma segreta il suo fascino, il suo fiuto, la sua capa­cità di con­vin­zione e di creare dal nulla. Così riu­sciva a con­vin­cere chiun­que, come rac­con­tano innu­me­re­voli aned­doti («avanti i leoni!») che le mae­stranze si tra­man­dano. «Il segreto dell’arte del cinema è l’arte di tro­vare i soldi per fare cinema», afferma in modo lapi­da­rio Ber­nardo Ber­to­lucci in aper­tura del docu­men­ta­rio. La cen­sura e poi una serie di delu­sioni por­ta­rono infine Alfredo Bini ad allon­ta­narsi dal cinema e da tutto negli ultimi dieci anni della sua vita.
Sem­pre ele­gante con il suo sopra­bito e quell’aria «da livor­nese pieno di vita­lità e di alle­gria», entra nel cinema nel dopo­guerra, arri­vato a Roma alla sta­zione Ter­mini dove un capo-­com­parse lo assolda come «egi­zio» (per­ché era alto, men­tre sce­glieva gli etiopi tra quelli bassi) per un film in costume, poi fa il tro­va­robe fino a diven­tare in breve diret­tore del Tea­tro Ate­neo. Nel frat­tempo si lau­rea in medi­cina. Esor­di­sce nella pro­du­zione con grande cla­more con un film visto come un affronto alla viri­lità nazio­nale, Il bell’Antonio di Bolo­gnini, uno degli scan­dali che pun­teg­giano la sua car­riera, data l’allu­sione all’impotenza del pro­ta­go­ni­sta del romanzo di Bran­cati inter­pre­tato da Mar­cello Mastro­ianni. Ma non si trat­tava solo di discus­sioni; arrivò una let­tera del mini­stro [si trattava di Alberto Folchi, Ministro dello Spettacolo, ndr.] che gli comu­ni­cava che, essendo il film disdi­ce­vole per il popolo ita­liano, non avrebbe mai avuto il visto di cen­sura e la nazio­na­lità ita­liana. Natu­ral­mente Bini andò avanti lo stesso.

A Cannes (1966) , presentazione di "Uccellacci e uccellini". Da sx Rossellini, Bini, Pasolini e Ninetto Davoli
A Cannes (1966) presentazione di “Uccellacci e uccellini”. Da sx Rossellini, Bini, Pasolini e Ninetto Davoli

Il docu­men­ta­rio è movi­men­tato dai mate­riali delle Teche Rai, dalle inter­vi­ste a cri­tici e mae­stranze, regi­sti e attrici (Clau­dia Car­di­nale); così lo vediamo rac­con­tare diversi momenti pica­re­schi della sua car­riera. Momento cla­mo­roso è aver cre­duto in Paso­lini e averlo inco­rag­giato a fare Accat­tone. Infatti Fel­lini, dopo aver visto il primo girato, con­si­gliò Paso­lini di lasciar per­dere il cinema e di con­ti­nuare a scri­vere, lascian­dolo in uno stato di grande depres­sione. Il rac­conto del soste­gno con­ti­nuo dato al poeta cul­mina con il più straor­di­na­rio dei titoli di testa del cinema ita­liano, un inci­pit can­tato da Modu­gno e musi­cato da Ennio Mor­ri­cone che tutti cono­scono [l’allusione riguarda il film Uccellacci e uccellini, ndr]: «Alfredo Bini / pre­senta / l’assurdo Totò / l’umano Totò / il matto Totò / il dolce Totò / nella sto­ria / Uccel­lacci Uccel­lini / rac­con­tata da Pier Paolo Paso­lini.… ».
Seguire la vita di Alfredo Bini è come tor­nare a rive­dere tempi oscuri anche se ric­chi e glo­riosi del nostro cinema, dove emer­ge­vano in primo piano le bat­ta­glie poli­ti­che, i per­so­naggi dall’aneddotica ster­mi­nata (si sco­prirà come alla fine Fel­lini boi­cottò varie volte il lavoro di Bini, non ultimo il rapido cam­bio di pro­dut­tore per il Saty­ri­con). Con il suo ini­mi­ta­bile humour Gre­go­retti, che fece parte del famoso Ro.go.­pa.g, il film a epi­sodi con Ros­sel­lini, Godard, Paso­lini e lui stesso, ne svela altri par­ti­co­lari. Un docu­men­ta­rio tenero e bat­ta­gliero.

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Alfredo Bini, ospite inat­teso
documentario realizzato con il contributo dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
in concorso alla 72.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2015)
nella sezione “Venezia Classici” 

con Valerio Mastrandrea, Claudia Cardinale, Gianni Bisiach, Bernardo Bertolucci, Giuliano Montaldo
Ugo Gregoretti, Don Backy, Bruno Torri, Piero Tosi, Enrico  Lucherini, Manolo Bolognini

sceneggiatura Simone Isola
fotografia Davide Manca

regia Simone Isola