Si è tenuto tra l’11 e il 12 novembre 2016 l’annuale convegno di studi organizzato a Casarsa della Delizia dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini. Per ogni edizione viene individuato un tema che permetta di perlustrare un aspetto particolare della poliedrica opera pasoliniana. Quest’anno – sotto il titolo “Scrittori al tempo di Pasolini e oggi” – si è deciso di indagare il rapporto tra l’autore friulano e gli scrittori, quelli suoi contemporanei, ma anche quelli delle generazioni successive.
Tra gli ospiti, coordinati dai curatori Angela Felice e Antonio Tricomi, si sono alternati Marco A. Bazzocchi, Giampaolo Borghello, Andrea Cortellessa, Roberto Chiesi, Filippo La Porta, Mario Pezzella, che, nella prima sessione, hanno analizzato l’interlocuzione di Pasolini con tanti autori, anche i meno scontati, quali Giorgio Bassani, Carlo Levi, gli scrittori della Scuola romana e dell’amata Napoli.
Nella seconda sessione è toccato invece ad alcuni importanti narratori italiani del presente dibattere sulle condizioni del proprio operare e sui riflessi che l’attuale civiltà del web e del visivo ha sulla stessa scrittura, spesso contaminata e “ibrida”, sensibile, più che alla tradizionale narrativa di finzione, al valore testimoniale e spesso autobiografico della parola letteraria. L’argomento è stato indagato da Edoardo Albinati (Premio Strega 2016 con La scuola cattolica), Tullio Avoledo (fresco di stampa il suo dodicesimo romanzo Chiedi alla luce), Rino Genovese (firma della rivista “Il Ponte” e autore al confine con la riflessione filosofica), Nadia Terranova (giovane autrice superpremiata per il romanzo d’esordio del 2015 Gli anni al contrario”). E poi Renzo Paris, protagonista di un focus speciale in quanto testimone di un reale rapporto con Pasolini ricostruito nel suo recente libro Pasolini, ragazzo a vita (Elliot). Qui di seguito le anticipazioni del suo intervento rilasciate in una intervista al giornalista-studioso Roberto Carnero.
Paris, Pasolini e i versi tolti da “Affabulazione”
di Roberto Carnero
http://ilpiccolo.gelocal.it/ – 11 novembre 2016
Paris, come ha conosciuto Pasolini? Ha incontrato prima i libri o lui?
Prima ho letto Ragazzi di vita, appena uscito (era il 1955 e io avevo 11 anni), e anni dopo ho cercato di conoscere l’autore. L’ho inseguito nel portone della casa moraviana di via dell’Oca, ma senza fortuna. Mi è stato presentato da Enzo Siciliano solo nel 1966 nella villetta moraviana di Sabaudia. Pasolini era comparso di pomeriggio, quando avevamo già mangiato i merluzzetti di cui Moravia andava ghiotto. Avevo 22 anni, mentre Pasolini ne aveva il doppio. Ci siamo stretti la mano sul calar del sole. Collaboravo alla nuova serie di “Nuovi Argomenti”, di cui ero anche correttore di bozze.
Che cosa le ha trasmesso Pasolini sul piano letterario e su quello umano?
Pasolini era innanzitutto un pedagogo. Mi ha consigliato subito, nei nostri primi incontri nella sua casa dell’Eur, di “dimenticare l’avanguardia”, se non volevo diventare un mostro. La mia generazione, dopo un innamoramento avanguardistico (ma delle avanguardie del primo ’900, nel mio caso) abbandonò il Gruppo 63 che voleva mettere a tacere l’io e in generale la figura del poeta a vantaggio di un concetto tautologico che veniva dai linguisti per cui “tutto è lingua”. Pasolini era contento della mia traduzione delle poesie di Corbière e Apollinaire e si incuriosì al mio romanzo Cani sciolti (1973). Quel libro, di cui è appena uscita la sesta edizione da Elliot, criticava il movimento del ’68 a caldo, proprio come aveva fatto lui. Comunque l’eredità più preziosa che mi ha lasciato è stato il dattiloscritto di Affabulazione, il suo dramma più bello, con 600 versi cancellati riguardanti l’omosessualità del personaggio del padre. Lo conservo come una reliquia.
Com’erano complessivamente i rapporti tra Pasolini e la società letteraria del suo tempo? A parte le amicizie note con Moravia, la Morante e altri scrittori, possiamo dire che Pasolini fosse inserito negli ambienti letterari del suo tempo oppure no?
Paradossalmente Pasolini nella società del suo tempo era inserito come un corpo estraneo. Fin dall’inizio non è stato accettato né dai comunisti né dai democristiani né dai fascisti, che non perdevano occasione per dileggiarlo: non ne vedevano la statura di gigante o, se la percepivano, lo invidiavano al punto da rinfacciargli le sue preferenze sessuali.
Guardando alla letteratura successiva, si tratta di un autore che ha fatto scuola, che ha avuto degli eredi?
L’unico che mi viene in mente è Walter Siti, che ha curato le opere di Pasolini nei Meridiani Mondadori. In realtà, non ha avuto eredi, proprio perché i grandi sono così, alberi isolati.