Iniziativa di rilievo nazionale al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa, dove, sabato 17 marzo alle ore 18, sarà inaugurata la mostra fotografica “Con parole di figlio”, costituita da cinquanta scatti realizzati perlopiù nel 1960 da un protagonista del fotogiornalismo degli anni ’50 e ’60, il napoletano Federico Garolla, classe 1925, scomparso nel 2012 a Milano, la città dove visse nell’ultima parte della vita.
L’importanza dell’esposizione, che durerà fino al 15 luglio, è attestata dal prestigio dei nomi che, con il presidente Piero Colussi, l’assessore regionale alla cultura Gianni Torrenti e il sindaco di Casarsa Lavinia Clarotto, interverranno al taglio del nastro: lo scrittore e cugino di Pasolini Nico Naldini, il grande fotografo Uliano Lucas, la curatrice d‘arte Tatiana Agliani e Isabella Garolla, responsabile dell’archivio del padre.
E appunto in collaborazione tra questo ricco archivio e il Centro Studi la mostra espone per la prima volta in assoluto l’insieme delle immagini che Garolla realizzò a Pasolini nel 1959 e soprattutto nel 1960, in un biennio di transizione che vide il poeta sperimentatore febbrile di forme espressive, al punto di passaggio tra l’impegno letterario, fino ad allora prevalente, e l’imminente lavoro nel cinema, inaugurato nel 1961 dal capolavoro di Accattone. Scatti esemplari, sul piano estetico e documentario, come tutti quelli realizzati da Garolla nella sua carriera, intensa fino agli anni ‘70, quando, prima di diventare editore di cataloghi d’arte, fu collaboratore dell’«Europeo», poi inviato speciale di «Epoca» e «Le Ore» e in seguito fotografo freelance per i maggiori settimanali italiani, come «Tempo Illustrato», «L’Illustrazione Italiana», «Oggi», e per i rotocalchi stranieri, come «Paris Match», «Colliers», «Stern».
Ora il prezioso dossier iconografico pasoliniano – dichiara con soddisfazione Piero Colussi – «entrerà a far parte dell’archivio fotografico del Centro, già impreziosito dalle fotografie, tra gli altri, di Mario Dondero, Mimmo Cattarinich, Danilo De Marco, Roberto Villa e Letizia Battaglia. Il mio grazie va dunque a tutto lo staff che ha consentito questo nuovo traguardo: il gallerista milanese Carlo Madesani, primo motore anni fa di tutta l’operazione, Patrizio De Mattio, per il progetto allestitivo, Cesare Genuzio, per le stampe, Angela Felice e Isabella Garolla, per la curatela con me del catalogo, Marco Salvadori e Elisa Miglioranza, per l’assistenza».
È la Roma del 1960 il fondale sfaccettato in cui Pasolini è colto dalle immagini, come il soggetto principale di un racconto illustrato della sua vita di quel periodo, sbrigliata in tanti e diversi capitoli. Sono tre, in sostanza, le sezioni che articolano il percorso della mostra, dislocato negli spazi di Casa Colussi. Al pianterreno, compare un Pasolini quasi bifronte: da un lato, è fissato in sintonia con la società delle lettere del suo tempo, in rilassatezza amicale al fianco di Moravia e di Calvino nel consueto ritrovo serale al Caffè Rosati di piazza del Popolo; dall’altro, è sorpreso quando ama immergersi nelle borgate di Centocelle e del Quarticciolo, ora per partecipare alle partitelle di poveri ragazzetti, ora per perlustrare quelle periferie straccione con la compagnia di alcune guide improvvisate del posto e come per dei sopralluoghi già consapevoli del futuro travaso sullo schermo.
È poi nella mansarda che, in una terza sezione, si concentrano il cuore e il senso della mostra, che non a caso deve il suo titolo ad alcune parole prese dalla straziante poesia “Supplica a mia madre”. Là, in una carrellata di ventidue scatti, Pasolini è immortalato con la madre Susanna, nell’interno della casa di via Carini 45, nel quartiere di Monteverde, dove la coppia si trasferì nel 1959, dopo le precedenti abitazioni nella poverissima Rebibbia e poi nel piccolo appartamento, di poco più decoroso, di via Fonteiana. Sono frammenti di intimità affettiva, vita domestica, impegno solitario al tavolo di lavoro, cui la madre
“lodoletta” assiste come una tenera vestale, madre protettiva del tormentato figlio poeta. Frammenti in cui occhieggia anche uno spicchio del passato friulano di Pasolini, se i mobili neri della casa sono gli stessi che ora arredano Casa Colussi e lì ritornarono quando nel 1963 Pasolini lasciò via Carini per trasferirsi all’Eur.
Una vita d’artista, dunque, immortalata nel trittico di una sorta di giornata ideale –tra pubblico e privato, all’aperto e al chiuso delle pareti di casa-, con il risultato finale di uno straordinario reportage che l’occhio di Garolla ha saputo costruire con meravigliata adesione. Chissà quanto spiazzata poi –lui che era un elegante gentiluomo d’altri tempi e un fotografo della bellezza e dell’alta moda – da un poeta che amava impolverarsi tra le baracche degli ultimi e tirare quattro calci al pallone con i pischelli malandrini delle periferie.
Federico Garolla (Napoli, 1925 – Milano, 2012) è un giornalista ventenne che collabora al «Mattino» e al «Domani d’Italia», tra i maggiori quotidiani della sua città natale, quando viene chiamato a Milano da Arrigo Benedetti. Il soggiorno lombardo segna il suo passaggio al fotogiornalismo: realizza centinaia di reportage per prestigiose testate italiane( «L’Europeo», «Tempo Illustrato»,« L’Illustrazione Italiana», «Oggi») e straniere («Paris Match», «National Geographic», «Colliers», «Die Stern»). Successivamente è inviato speciale per «Epoca» e «Le Ore», mentre nel ‘56 fonda la rivista «Foto Italia» e ne diventa il primo direttore. Contemporaneamente coglie la vita culturale italiana in una serie di “fotografie racconto” che ritraggono pittori scrittori, musicisti, attori e attrici di cinema e teatro, ma anche la gente comune che sta attraversando gli anni del dopoguerra, con un occhio sempre attento alle tematiche a sfondo sociale. Oggi, la figlia Isabella gestisce l’archivio che raccoglie le foto scattate nella lunga carriera dal padre, che ha lavorato alla catalogazione fino al 2012.
Il catalogo della mostra