Intervista ai registi di “In un futuro aprile – Il giovane Pasolini”, Francesco Costabile e Federico Savonitto

Di seguito l’intervista ai registi del docufilm In un futuro aprile – Il giovane Pasolini, Francesco Costabile e Federico Savonitto, realizzata da Federica Pirola, studentessa del corso di laurea magistrale in Editoria, comunicazione e moda dell’Università degli Studi di Milano, laureata in Linguaggi dei media all’Università Cattolica di Milano. Collabora con www.ilforo.eu e www.megliounlibro.it.

Federico Savonitto è nel suo giardino – presumibilmente in Toscana, a giudicare dal paesaggio – , e sta aspettando che si colleghi su Skype Francesco Costabile. «Mi potevo mettere una camicia» commenta nell’attesa, ma il suo maglione verde va benissimo, gli spiego. Ecco che da Bologna sentiamo qualche rumore in sottofondo: «Fra? Ci sei?», chiede il mio interlocutore, « Si eccomi, ci siamo», risponde l’altro.
L’intervista può cominciare.

I due registi di In un futuro aprile – Il giovane Pasolini, presentano così il loro docu-film uscito il 2 novembre, in occasione dei 45 anni dalla scomparsa del grande regista a cui è dedicata l’opera.
Il film, prodotto da Altreforme e distribuito dalla Tucker film, è nato da un’ idea di Remigio Guadagnini e ha visto coinvolti Francesco e Federico per ragioni diverse. Il primo per la grande passione nei confronti del lavoro pasoliniano, il secondo – nativo di Udine – per lo sguardo friulano vicino all’humusculturale di Pier Paolo Pasolini. Entrambi conoscono bene il regista di Accattone e perciò hanno deciso di testimoniare la sua costante attualità. Confessano, con una certa umiltà, di aver realizzato «un’opera rischiosa» perchè riguarda « un monumento della poesia e del pensiero dell’Italia nel ‘900: è facile cadere nella retorica e anche nella morbosità». Ma decido di dare loro fiducia.

La lingua di Pier Paolo Pasolini: un atto sovversivo

Il paesaggio della giovinezza di Pasolini è quello friulano; la lingua con cui comunica è il dialetto. Già questo è un atto rivoluzionario, spiegano i due registi. “Gli anni Quaranta, che fanno da sfondo al documentario, sono un’ epoca in cui si poteva parlare solo in romano o in fiorentino, il resto non era concesso dal regime” (cit. Nico Naldini). Ed è così che Pasolini «ha avuto l’intuizione di scrivere in dialetto friulano quando nessuno usava il dialetto» spiega Costabile che sottolinea la rottura fra la lingua ufficiale, borghese, e quella più povera, dialettale. «È stato il primo atto linguistico per mettersi al servizio degli ultimi, della classe contadina, dei poveri» precisa Savonitto, sottolineando la portata rivoluzionaria e sovversiva del gesto giovanile di Pasolini.

Il Friuli di Pasolini e di Nico Naldini

Il friulano era la lingua della madre di Pier Paolo, originaria di Casarsa. È lì che Pasolini ha trascorso la gioventù con le borgate di ragazzi del paese, muovendosi in bicicletta da una sponda e l’altra del fiume Tagliamento, ci racconta Federico. Spesso, il futuro regista era in compagnia del cugino Nico Naldini, presente anche nel docu-film.
«È un uomo di una grande umanità e fragilità», afferma Costabile riferendosi al poeta recentemente scomparso. «Non nascondo che abbiamo avuto diverse difficoltà […] Toccare determinati tasti della sua vita per lui era anche fonte di sofferenza, non sempre si è lasciato andare, ma va bene così. Il lavoro più complesso del documentario è stata la gestione di Naldini». Questo però ha reso il docufilm ancora più
ricco, consentendo ai registi di avvicinarsi «in punta di piedi» a quel materiale prezioso e di entrare in profondità nell’universo interiore di Pasolini.

Il giovane Pasolini oggi

Proprio nell’anima pasoliniana si possono trovare delle ispirazioni anche per i giovani del XXI secolo. «Che cosa direbbe Pasolini oggi ai ragazzi?» chiedo a questo punto ai due registi.
Il primo a rispondere è Francesco, forte anche della sua esperienza di docente. «Accuserebbe i social network come principale forma di omologazione e distrazione di massa – sostiene – chiederebbe ai giovani di spegnere i telefonini e di dedicarsi alla vita reale ». Inviterebbe a «ricercare la verità», continua Savonitto, ricordando il tentativo di Pasolini di «rintracciare le reali cause di ciò che non permetteva agli
ultimi di trovare la propria identità, un proprio posto nel mondo». E ancora, Pasolini era volto «alla ricerca di quel potere più o meno nascosto che creava un certo status quo» ed è da qui che nasceva la rivoluzione per lui.

La sua lotta di allora ci riporta a quella degli ultimi di oggi, quelli più colpiti dagli effetti del Coronavirus e che forse non hanno i soldi per mangiare.

La pandemia ha colpito diversi settori, da ultimo anche quello della cultura, «l’ultima ruota del carro» commentano amareggiati i due. I cinema hanno chiuso definitivamente i battenti e il loro film è stato costretto a uscire nelle sale digitali di #iorestoinsala, la piattaforma web su cui si possono acquistare i biglietti e fruire del servizio. «Una forma di ricchezza data da una diffusione più ampia – riflette Costabile – ma dall’altra parte si perde qualcosa. La sala cinematografica è un rito, questo momento in cui si spegnono i cellulari. Ci si immerge in uno spazio buio per entrare in un immaginario, quello di Pasolini e il nostro. È fondamentale per vivere un’esperienza e far si che il cinema abbia un suo senso. A casa la fruizione è un po’ distratta, c’è chi vede il film ma poi guarda il telefonino, si fa la pasta, la frittura di calamari». Ridiamo a questa sua chiusa, anche se con una punta di dispiacere. C’è tanta speranza che lo spettacolo cinematografico riacquisti a breve la sua identità e fruibilità.

Pasolini il profeta

Il presente incerto che stiamo vivendo sembrava già scritto nelle opere di Pasolini, chiamato anche per questo “il profeta”. Francesco ricorda: «Pier Paolo aveva già previsto che la società dei consumi e capitalismo avrebbe portato non solo la distruzione dell’apparato culturale, ma anche dell’umanità. Quello che oggi stiamo vivendo sono gli effetti di una società incentrata sulla produzione, massificata».

La portata profetica del messaggio pasoliniano, l’amore per il cinema e per i viaggi in bici rendono Pasolini quello per cui è ricordato: un «corpo e un’anima desiderante».

Ringrazio i due registi per il tempo dedicato a Pasolini e interrompo la registrazione su Skype.
L’intervista è finita e non mi sono mossa dalla poltrona di casa mia, sarà così per un po’.