Venezia, settant’anni di scandali in Mostra
a cura di Fabio Fusco, 27 agosto 2013
Dal nudo di Hedy Lamarr alle ‘vergogne’ di Fassbender, dai diavoli di Ken Russell al ‘fantasma’ di Joao Pedro Rodriguez, ripercorriamo i film che hanno segnato la Mostra del cinema di Venezia tra polemiche, scandali (veri o mancati) o fenomeni di costume.
Se poi il festival in questione si svolge in Italia, un paese nel quale ci si scandalizza spesso per cose di poco conto, senza però indignarsi davvero per questioni gravi, allora il gioco è fatto: a volte basta un nome a suscitare scalpore – ad esempio quello di Alberto Moravia, come vedremo – oppure una sequenza suggestiva, o semplicemente le chiacchiere messe in giro dai press-agent per sollevare un polverone.
Nei settant’anni di vita della Mostra del Cinema di Venezia gli scandali non sono affatto mancati, e ad eccezione di un paio di decenni, si tratta di episodi che ‘raccontano’ in maniera efficace il periodo in cui sono avvenuti, svelandone gli aspetti più oscuri o i limiti del livello di apertura mentale generale.
Hedy Lamarr nuda in una celebre scena di Estasi (1933). Appena un anno di vita, e la Mostra si infiamma con un nudo femminile diventato poi leggendario, quello di Hedy Lamarr in Estasi di Gustav Machatý, la storia di una donna che sentendosi trascurata dal marito inizia una relazione con un giovane incontrato nei pressi di un lago. Ed è proprio la sequenza in cui la bellissima attrice fa il bagno nuda, oltre a quella in cui si concede al suo amante a far discutere. Siamo in pieno regime fascista, e nella questione interviene persino Mussolini, che esige una visione privata del film, ma alla fine resta colpito dalle grazie della diva di origine austriaca, che sarà ricordata soprattutto per questo film e le scene di nudo, ma non per il suo importante contributo alla scienza.
Negli anni Quaranta la Mostra torna ad essere una manifestazione completa – e non di facciata – solo a partire dall’immediato dopoguerra, e arriva agli anni Cinquanta senza troppi clamori, ma con la voglia di ricominciare a vivere e sognare, grazie anche alle prime grandi star americane che approdano in Laguna. In questi anni a movimentare un po’ le edizioni della kermesse ci sono Ingmar Bergman con il suo Donne in attesa – che nel ’53 scandalizzò alcune signore del pubblico, forse perché descriveva in maniera schietta e senza falsi pudori l’universo femminile – e Louis Malle che invece fece parlare di sé per Les Amants, che nell’edizione del ’58 ottenne anche un premio.
In netto contrasto con il decennio precedente, gli anni Sessanta sono quelli delle contestazioni studentesche, che rischiarono di compromettere lo svolgimento del Festival nel 1968. Lo stesso anno in cui Pier Paolo Pasolini presentò il suo Teorema, che fu contestato sia dalla critica di sinistra che di destra, ma soprattutto dalle gerarchie ecclesiastiche, che puntarono l’indice sul sottotesto religioso. Il film fu sequestrato per oscenità, e sia Pasolini che i produttori furono denunciati e successivamente assolti.
Ad oggi risultano incomprensibili le accuse di oscenità nei confronti di un film del quale ricordiamo sicuramente una certa tensione erotica che pervade tutta la pellicola, ma soprattutto gli intensi e magnetici primi piani di Laura Betti – che infatti fu premiata con la Coppa Volpi – ma Teorema non è l’unico film di Pasolini, tra quelli presentati a Venezia nell’arco di questo decennio, che andò incontro a problemi simili. Nel 1961 infatti, era già toccato a Mamma Roma beccarsi una denuncia per oscenità (poi archiviata), e pochi anni dopo anche Il Vangelo secondo Matteo suscitò un dibattito piuttosto aspro, considerato che il regista solo pochi mesi prima era stato condannato per vilipendio alla religione di stato per un altro film.
Tra una provocazione pasoliniana e l’altra, a far gridare preventivamente allo scandalo, nel 1962, ci si mette anche Stanley Kubrick che porta a Venezia la sua Lolita. Le cronache dell’epoca riferiscono di una grande agitazione e fermento tra associazioni cattoliche e di genitori, ma dopo la proiezione del film – che si rivelò meno scabroso rispetto al romanzo di Vladimir Nabokov – le polemiche si ridimensionarono (anche se il film, in ogni caso, andò incontro a diverse censure prima dell’uscita in sala). Qualche anno dopo, nel 1967, fu un’altra iconica figura femminile cinematografica ad agitare le acque della Laguna: la Bella di giorno di Luis Buñuel, l’algida Severine interpretata da Catherine Deneuve, che conquistò anche un Leone d’Oro.
Dopo che aveva già suscitato un certo clamore con Nostra Signora dei turchi, nel caldissimo ’68, Carmelo Bene torna a Venezia con la sua Salomè, nel 1972 e la reazione di pubblico e critica è, se possibile, ancora più selvaggia. L’adattamento pop della Salomè firmato da Bene – coloratissimo, trasgressivo, sicuramente molto personale e quanto di più vicino ai videoclip si fosse visto fino ad allora – smuove un’indignazione generale così accesa, che si fu costretti a chiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Qualche tempo dopo, Bene ricordò che alla prima del film si era ritrovato “al Palazzo del Cinema, stipato di più di tremila bestiacce” e che riuscì ad evitare il linciaggio grazie alla polizia, ma non gli furono risparmiati gli insulti e “gli sputi dei veneziani in frac”.
Gli scandalosi protagonisti di questo periodo, saturo di provocazioni costruite a tavolino, più che di vere pellicole in grado di lasciare un segno (nell’arte come nell’immaginario collettivo) sono due: Fassbinder e Scorsese. Il regista tedesco è scomparso da appena due mesi, eppure il suo Querelle de Brest, presentato in concorso nel 1982, solleva un tale polverone mediatico – ancor prima della presentazione alla Mostra – che il direttore della kermesse si vide costretto a rilasciare un comunicato per calmare le acque, e difendere la scelta di includere il film in cartellone. Anche il presidente della giuria di quell’anno, Marcel Carné, difese il film – che nelle sale italiane uscirà con un taglio di circa due minuti su una sequenza di sesso gay – non essendo riuscito a fargli avere un premio.
Per tutti gli anni Novanta si tenta di conquistare la laguna con l’eros spinto, estremo – quello della serie “lo famo strano?” – si parla tanto di Boxing Helena con Sherilyn Fenn affettata come un cotechino da Julian Sands, di Bambola, con Valeria Marini seduta su una mortadella, e dell’altro film di Bigas Luna presentato alla Mostra, Prosciutto prosciutto, così come delle attrici nude di Tinto Brass che arrivano in gondola per fare un po’ di chiasso insieme al loro pigmalione. Ma si tratta di chiacchiere (e sesso da salumeria, come abbiamo visto) che sfumano nel nulla, e che vengono riservate anche ad altri film in odore di scandalo come Guardami – pretestuosamente ricalcato sulla storia di Moana Pozzi – o Una relazione privata di Frederic Fonteyne. Neanche l’attempato gelataio dai gusti particolari di João César Monteiro ne La commedia di Dio riesce a scandalizzare seriamente qualcuno, e a questo punto non c’è da stupirsi se qualcuno paragona la mostra di quegli anni a eventi popolari, ma meno prestigiosi come Miss Italia o Sanremo.
I primi anni Zero della Mostra si aprono con un film sessualmente esplicito e cupo, che fa discutere moltissimo e non piace a tutti. La storia di Sèrgio, netturbino gay interpretato da Ricardo Meneses, è l’unica che scuote davvero il Festival in questi anni, anche se non mancheranno certo le pellicole controverse. Il fantasma di João Pedro Rodrigues mostra il protagonista impegnato in una serie di scene che non lasciano nulla all’immaginazione, tanto sono esplicite – sesso orale in bagni pubblici, masturbazioni con ipossia, costumi in latex nero: ce n’è abbastanza per far arrossire il povero Fassbinder di Querelle – e lo stesso Meneses, a Venezia, appare un po’ frastornato, sorridente, ma certamente non abituato a gestire tanta attenzione e curiosità sulle sue performance, e d’altronde O Fantasma sarà la sua unica prova interpretativa, oltre che l’unico film capace di scuotere il Festival nella “vecchia maniera” in cui si intendeva fino a qualche anno fa.
Più che sollevare polemiche, i film degli ultimi anni hanno contribuito a rilanciare dei dibattiti molto interessanti, anche se accesi: si è parlato di eutanasia in occasione della presentazione di Mare dentro e più recentemente della Bella addormentata di Bellocchio (che tra l’altro era ricalcato sulla vicenda di Eluana Englaro, quindi un argomento ancora caldissimo sui media), si è parlato di controversie legate alla religione con i transessuali islamici di Tedium, ma soprattutto con Magdalene, del 2002 – in cui si denunciavano gli abusi subiti dalle giovani “peccatrici” ospiti dei conventi della Maddalena, in Irlanda – e più recentemente con Paradise: Faith, soprattutto per una sequenza di masturbazione con un crocefisso.
E se Bertolucci, trent’anni prima, parlava di droga, negli ultimi anni la Mostra si aggiorna affrontando il tema delle dipendenze (generiche, ma non meno insidiose) con Shame, per il quale si spende qualche battuta colorita sulle “misure” di Michael Fassbender, ma soprattutto fa parlare per l’intensità del tema e delle sequenze che vedono protagonista il bravo e affascinante attore tedesco.
Anche il nostro Stefano Accorsi aveva smosso un po’ le acque a Venezia con il suo celebre nudo integrale in Ovunque sei, ma i temi affrontati dal film di Placido non avevano certamente lo stesso impatto di quelli del film di Steve McQueen.