“Ragazzi di vita” riletti in teatro da Massimo Popolizio, di Maurizio Giammusso

 

Ha suscitato ampi consensi il riuscito adattamento teatrale di Ragazzi di vita, che in questi giorni si avvicina alla conclusione delle repliche romane al Teatro Argentina (produttore il Teatro di Roma). Un lavoro di efficace ricreazione evocativa e lontana dalla restituzione naturalistica o sociologica, grazie alla perizia drammaturgica di Emanuele Trevi e alla felicità registica del bravissimo Massimo Popolizio.
Tra le tante recensioni elogiative, che danno atto della restituzione vivida e non scontata del mondo delle borgate romane raccontate da Pasolini, pubblichiamo qui un’analisi di Maurizio Giammusso, firma di spicco della critica teatrale italiana. 

I ragazzi di vita di Pasolini dalle borgate al palcoscenico
di Maurizio Giammusso 

www.huffingtonpost.it – 4 novembre 2016

C’è stato un tempo in cui l’ardore di una sessualità maledetta, la rappresentazione della vita dura delle borgate romane o milanesi, nonché la creazione linguistica, andarono a braccetto; era il tempo (anni Cinquanta o giù di lì) del romanzo di Giuseppe Patroni Griffi Scende giù per Toledo; del dramma lombardo L’Arialda di Giovanni Testori e soprattutto del corposo romanzo di Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita.
Da quest’ultimo si è tratto ora uno spettacolo omonimo di grande forza evocativa, pensato e diretto da Massimo Popolizio, che, restando come attore uno dei campioni del palcoscenico italiano, si lascia tentare con successo dall’esperienza della regia. Emanuele Trevi firma poi la drammaturgia, abilmente tagliando e cucendo un romanzo di trecento pagine, trasformato in un’opera teatrale di un’ora e tre quarti.
Fra i tre testi citati, quello più ricordato è forse proprio Ragazzi di vita, dedicato a rappresentare i giovani disoccupati della Capitale, quelli che vivevano stretti negli alloggi di fortuna (magari diventati stabili) che si erano insediati nella periferia e che inconsapevolmente elessero a loro cantore Pasolini, che di romanesco non aveva nulla in testa e nel cuore.

Pasolini nelle borgate
Pier Paolo Pasolini nelle borgate romane

Due righe di citazione aiutano a capire quel mondo e quella vita sospesa fra disperazione e speranza: «Per le borgate, per i vecchi, il mondo pareva un campo di zingari. Finestre e porte, tutto spalancato, con gli stracci in mostra: chi rideva, chi piangeva, in una baracca facevano bisboccia, in un’altra qualcuno moriva; e dappertutto, barricate di giovanotti, che ruzzicavano cantando, con le camicette che svolazzavano sui calzoni».
Nel testo spicca la lingua, che è un romanesco plebeo, pieno di accensioni e invenzioni, perfetto per fare da tessuto connettivo di una ricca serie di racconti dei quali sono interpreti diciotto giovani attori, con Lino Guanciale a fare da narratore, che spiega e riassume e in qualche caso traduce dal romanesco a un italiano dove fioriscono espressioni volgari, ma necessarie; nonché i soprannomi: il Riccetto, Agnolo, il Begalone, Alvaro; e ancora il Caciotta, lo Spudorato, Amerigo etc.
Quanto alla drammaturgia, ovvero a come un romanzo si possa trasformare in un’opera teatrale, Popolizio ha imparato bene, anzi è stato un talentoso allievo di Luca Ronconi e del suo metodo, che consisteva nel far recitare agli attori in una terza persona molto efficace. Così nacque la trasposizione applauditissima di Quer pasticciaccio de via Merulana di Carlo Emilio Gadda; così si è perfezionato il metodo con Ragazzi di vita.
Lo spettacolo si inserisce in una lungo e articolato programma pasoliniano, un’invenzione riuscita del direttore artistico del Teatro di Roma, Antonio Calbi.
(All’Argentina di Roma, fino al 20 novembre).