Prosegue l’omaggio PPP40 al Nuovo Teatro Sanità di Napoli. Una recensione

Prosegue il ricco programma Oltre ogni possibile fine che a Napoli il Nuovo Teatro Sanità sta dedicando a Pier Paolo Pasolini a quarant’anni dalla morte. Sui primi due appuntamenti e sul terzo (Voci per PPP, 21 gennaio) è uscita online una interessante recensione di Antonella Rossetti, che si addentra anche nelle motivazioni del percorso, voluto da una città che per Pasolini rappresentò una delle ultime sacche italiane di autenticità vitale e di resistenza popolare. Il programma, ideato da Mario Gelardi e Claudio Finelli, si concluderà il 2 novembre con la ripresa di Idroscalo 93, dello stesso Gelardi per l’interpretazione di Ivan Castiglione.

 di Antonella Rossetti
www.quartaparetepress.it – 20 gennaio 2015

Sono l’eleganza e la professionalità di Lalla Esposito e del Maestro Mimmo Napolitano a fare da preziosa cornice, con le note di Modugno e Nino Rota, all’ouverture della rassegna, ideata da Mario Gelardi e Claudio Finelli, Oltre ogni possibile fine, dedicata a Pier Paolo Pasolini, a quarant’anni dalla sua scomparsa, inauguratasi al Nuovo Teatro Sanità, una delle ultime nate maison de la culture partenopee. L’omaggio ad uno dei più rappresentativi letterati del ’900 si dipana in interessanti appuntamenti che si concluderanno, non a caso, il 2 novembre, giorno dell’assassinio del poeta, con la messa in scena di Idroscalo 93, drammaturgia dello stesso Gelardi, interpretato da lvan Castiglione. È proprio questo lavoro a segnare l’inizio dell’attenzione drammaturgica dell’autore e regista Gelardi per Pier Paolo Pasolini. Infatti, questo stesso spettacolo fu rappresentato al teatro Mercadante nel 2003, per la rassegna Petrolio, promossa da Mario Martone. Lavoro, riproposto a Roma, a trent’anni dalla morte del poeta, e che tutt’oggi continua a girare i teatri italiani.

Lalla Esposito
Lalla Esposito

Gelardi sottolinea, così, il focus di questo progetto: evidenziare, innanzitutto, il rapporto di Pasolini con la città di Napoli e dimostrare, come ancora oggi, da un ingegno così vivace, si possa attingere linfa per nutrire quell’esigenza di rinnovamento culturale, e riconoscergli la funzione di stimolo e di provocazione come esempio vivo delle infinite possibilità che la letteratura può offrire nel campo politico e sociale. Ripartire dai testi è sempre il modo migliore per far parlare un autore e riscoprire la vitalità della sua poetica. Ed è in quest’ottica che Claudio Finelli sceglie di condurre le fila della serata dedicata, dal titolo Voci per PPP, che, con compostezza e deferenza, ben coniuga momenti di alta poesia, musica e scena. È la voce dal timbro accorato di Tina Femiano, a segnare l’incipit del riecheggiare poetico di Pier Paolo Pasolini, con Supplica a mia madre, partecipando l’intenso rapporto, salvifico e simbiotico, che legava madre e figlio. Sulla scena si avvicenderanno le voci di Carlo Caracciolo, Irene Grasso, Cinzia Mirabella, Cristina Donadio, Ivan Castiglione e Roberto Azzurro. Ciascuno degli attori, generosi interpreti di un teatro intriso di cuore e letteratura, tratteggia con il personale carisma e la propria energia affabulatoria un profilo del grande scrittore, accenna ad un umore, ne accarezza con il verso un pezzo di vita. E quando sulle parole della Donadio il sottofondo musicale sorprende con una voce oramai altrove, il climax emotivo si amplifica e quel senso segreto della perdita che si percepisce è muto, unanime. Ad Ivan Castiglione è affidato uno degli scritti corsari più incisivi, forse il testamento spirituale lasciato dall’autore friulano: “Io so. Io so i nomi … ma non ho le prove. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato… Milano ’69 e Brescia 74. Io so ma non ho le prove. Non ho indizi”. A queste parole-bomba del 1974 rispondono quelle altrettanto esplosive di Roberto Saviano: “Io so i nomi ed ho le prove” (Gomorra, 2004). Ed è sorprendente, ritrovare, ancora, richiami a temi attuali e a luoghi nostrani in una poesia di Pasolini del lontano 1956, La terra di lavoro: “Ormai è vicina la terra di lavoro, qualche branco di bufale, qualche mucchio di case tra piante di pomidoro….ogni tanto un fiumicello….nero come uno scolo… nella bava grigia si perde Napoli… su questa terra abbandonata agli sporchi orti, ai pantani, ai villaggi grandi come città”. E a tal proposito, si vuole credere che tali parole, così distanti eppur così legate, come “pietre” non abbiano colpito invano.

Un quadro da "Una vita violenta nella città di Dio"
Un quadro da “Una vita violenta nella città di Dio”

Momento ulteriore del focus, il rifinito cameo teatrale tratto dal lavoro Una vita violenta nella città di Dio, ideato e diretto dall’attore e regista Ciro Pellegrino e messo in scena dalla Nuova Compagnia del Nuovo Teatro Sanità. Significativo già nel titolo, la pièce ripercorre i temi emblematici della poetica pasoliniana. Ciro Pellegrino, sottolinea la passione, l’entusiasmo e la responsabilità con cui i giovani interpreti hanno affrontato il nuovo progetto, oggetto del laboratorio teatrale permanente. Il ntS’, a circa due anni dall’apertura, sicuramente, si è arricchito di nuovi stimoli ed ha individuato nuove coordinate per rinnovarsi e proseguire il personale viaggio, con coraggio e tenacia talvolta, come “fragili vascelli per affrontar del mondo la burrasca”. Rinvigorito dai tanti progetti intrapresi e portati a termine con successo, ha continuato a conservare la stessa energia iniziale, nel preservare quell’idea di teatro a cui tiene, che con ostinazione vuole salvaguardare e per la quale è riconoscibile come una vera comunità teatrale.
Pasolini è l’autore italiano del Novecento più tradotto e discusso al mondo. Lo straordinario eclettismo dell’opera pasoliniana, che spazia dalla poesia, alla narrativa, al teatro, alla saggistica, al giornalismo e al cinema, ne fanno un antesignano della contaminazione dei generi. La sua visione del mondo, fatta di contraddizioni inconciliabili, tra mito e realtà, passato e presente, passione e ideologia, lo confermano come un unicum nel panorama della storia della letteratura. Intellettuale, scrittore, poeta e regista ma soprattutto un pensatore dotato di grande libertà critica e precipue capacità intuitive. Attento e sensibile osservatore dei fenomeni sociali e delle sue trasformazioni, riusciva mediante approfonditi processi di analisi e sintesi a intuire le dinamiche del divenire, il chiaroscuro degli eventi e a comprenderne, prima di altri, a fondo, il significato e i futuri sviluppi. La sua critica lucida alle contraddizioni insite nell’idea di progresso, al conformismo e all’omologazione, che si sono imposti sempre più prepotentemente nel corso della storia, sono un chiaro esempio della sua denuncia furiosa, fuori dal coro di chi lasciava “marcire” il Belpaese.
Il suo narrare, “smania incontenibile di intervenire e di parlare”, dal segno di raro e acuminato fascino, sfugge alla massificazione linguistica, per affermare la propria e distintissima identità scrittoria. In Pasolini il tema della morte aleggia fin dagli esordi poetici, quasi a presagire la sua vita breve. E talvolta si è guardato, a torto, alla sua vita artistica non in virtù delle sue opere ma della sua morte tragica e prematura. Fuor da ogni retorica, la sua evocazione è irrimediabilmente impregnata di tristezza e malinconia, ancor di più in tempi in cui la libertà d’espressione subisce ancora retaggi di congetture dittatoriali di basso profilo e il libero pensiero appare, ancora, una conquista a cui tendere.
Quel giorno fatale, il 2 novembre 1975, ritorna brutale e sfiora ancora tutti come un’esperienza di misera umanità. Quelle parole-macigni, riportate dal “Corriere della Sera”, nel 1977, che raccontano “di un corpo lacerato”, squarciano tutt’oggi menti e cuori. E pare che la colpa più grande che se ne riflette sia, allora come oggi, quell’indifferenza gelida di alcuni che si insinua nei tanti e si frantuma in dolore rassegnato. Pasolini sembra suscitare da sempre due sensazioni inseparabili: fascino e tristezza. C’è sempre da inebriarsi ma anche di che dolersi: nel contempo, si è ravvivati da una grazia di stile e bellezza ed ingrigiti per un’impotenza ristagnante, per una rabbia atavica implosa che genera sconforto. Si sente ancora l’indignazione avvilita per una becera mentalità gretta, specchio di comportamenti collettivi ciechi e privi di ogni valore creativo.
La mancanza di una personalità così avvincente, passionale, si percepisce come una frode, subìta a discapito di ogni generazione, in quanto possibile àncora, capace di poter frenare l’inerzia intellettuale e l’anemia mentale dilagante, segni tangenti dell’impasse culturale contemporanea.