Nel 1976, nel saggio-inchiesta La Napoletanità (Società Editrice Napoletana, Napoli), Antonio Ghirelli raccolse scritti di vari autori, tra i quali Pasolini, il regista del Decameron di cui aveva raccolto nel 1971 alcune dichiarazioni rilasciate durante il soggiorno napoletano per le riprese di quel film. Un testo esemplare, quello di Pasolini, per fissare con adesione ammirata la “resistenza” atavica e antimoderna del popolo napoletano, una irriducibile «tribù» a sé dice Pasolini. Da quel testo, che si può leggere alle pagine 230 e 231 delle edizioni Meridiani dei Saggi sulla politica e sulla società, come da una carta d’identità collettiva, è partito il collettivo teatrale del Gruppo del ’79, per una verifica semiseria su quanto sia rimasto intatto e quanto sia mutato in un popolo su cui incombe un vulcano apparentemente addormentato. Lavali col fuoco! è il titolo provocatorio dello spettacolo, diretto da Aurelio Gatti, che ne è uscito e che sarà proposto al Teatro Elicantropo di Napoli da giovedì 5 a domenica 8 ottobre 2017. Delle intenzioni del lavoro dà conto il comunicato diffuso dalla compagnia che riportiamo qui di seguito.
“Lavali col fuoco!” diventa uno spettacolo teatrale
redazionale
www.ilnapolista.it – 2 ottobre 2017
Da giovedì 5 ottobre 2017 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 8) il debutto di Lavali col fuoco!, cantata semiseria con la drammaturgia di Aurelio Gatti e Mario Brancaccio e opera prima del Gruppo del’79, per la regia di Aurelio Gatti.
Presentato da Magica Sas in collaborazione con MDA Produzioni, Teatri di Pietra e Gruppo del’79, Lavali col fuoco! mette in scena frammenti di canzoni e prose tratte da grandi autori partenopei, in una riproposizione tutt’altro che antologica. Mario Brancaccio, Simona Esposito, Lello Giulivo, Maurizio Murano, Anna Spagnuolo, Patrizia Spinosi daranno vita, in scena, al bradisismo psichico degli interpreti e della loro storia recente, le surrealtà e le deflagrazioni di un gruppo di attori che non si convincerà mai a scomparire, accompagnati dalla musica dal vivo di Michele Bonè.
Il progetto parte da un famoso articolo scritto da Antonio Ghirelli in occasione di una intervista fatta a Pier Paolo Pasolini durante le riprese napoletane del Decameron: «Napoli è stata una grande capitale, centro di una particolare civiltà ecc. ecc., ma strano, ciò che conta non è questo. (…) Io so questo: che i napoletani oggi sono una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg o i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia, o altrimenti la modernità. (…) È un rifiuto, sorto dal cuore della collettività (…); una negazione fatale contro cui non c’è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia, come tutte le tragedie che si compiono lentamente; ma anche una profonda consolazione, perché questo rifiuto, questa negazione alla storia, è giusto, è sacrosanto.
La vecchia tribù dei napoletani, nei suoi vichi, nelle sue piazzette nere o rosa, continua come se nulla fosse successo, a fare i suoi gesti, a lanciare le sue esclamazioni, a dare nelle sue escandescenze, a compiere le proprie guappesche prepotenze, a servire, a comandare, a lamentarsi, a ridere, a gridare, a sfottere; nel frattempo, (…) per il diffondersi di un certo irrisorio benessere (era fatale!), tale tribù sta diventando altra. Finché i veri napoletani ci saranno, ci saranno; quando non ci saranno più, saranno altri (non saranno dei napoletani trasformati). I napoletani hanno deciso di estinguersi, restando fino all’ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili e incorruttibili».
Questa geniale e lucida analisi è diventata per noi napoletani operatori culturali un punto di riferimento per considerare serenamente i “luoghi comuni” su Napoli e il suo popolo, una sorta di carta di identità partenopea. Superando il facile vittimismo che tanti hanno fatto su affermazioni di tal genere e tanta retorica sulla necessità di un riscatto del popolo partenopeo, ci siamo orientati ad analizzare a che punto della sua storia questa tribù oggi si trovi. “L’irrisorio benessere” ci ha già trasformati? Siamo diventati “altri” da quella tribù originaria? La nostra ricerca è partita da una considerazione di Raffaele La Capria: «… se la Storia è il modo con cui la cultura si dà conto del proprio passato, a Napoli siamo nel paese di una cultura principalmente orale ed istintuale».
Abbiamo quindi avviato un percorso di ricerca su materiali poetici, teatrali e musicali che vanno da fine Ottocento agli anni ’60, perché ci è sembrato quello l’ultimo periodo prima dello spegnersi di quella caratteristica indicata da La Capria. Abbiamo messo su una performance che è (per dirla alla Giovanni Artieri) … «una testimonianza, un documento, una fantasia e un leopardiano volgersi indietro per inseguire immagini, sentimenti, profumi, parvenze, fantasmi, echi di fuggevoli risate».
E’ venuta alla luce l’ombra bianca e affiorante di una Napoli tribale e suicida. E può ben darsi che ci venga a giusto titolo rimproverata una ricontemplazione alla quale non abbiamo saputo sfuggire. Ma il progetto è anche l’affermazione di un archetipo sottratto all’azione erosiva e distruttiva dei tempi e delle circostanze.
Lavali col fuoco! Esso, si sa, è il grido di disprezzo rivolto a questa tribù di napoletani da parte di tanti cittadini del nord Italia come del sud, ma il grido indica anche la differenza, la peculiarità unica e singolare di un popolo proprio come l’aveva sottolineata Pasolini. «Perciò tutti temono e invidiano Napoli, e tutti, compresi i disperati, vorrebbero comprarsi, nel loro segreto cuore, una patria napoletana. E il Vesuvio? Il sonno del vulcano ha tolto molto vento dalle vele della fantasia napoletana. Infatti, chi lo osserva, lo guarda ancora come motore, come divoratore o consumatore, come creatore attivo di quanto abbiamo con noi, poiché ingegno, operosità, gesticolazione, parlar molto, urtarsi, minacciare, non sono che impulsi vesuviani. Quella facoltà eruttiva che hanno molte terre napoletane; la argilla della napoletana creatura e la fibra mossa e rimossa degli operosi fluidi elettrici e magnetici che fa del napoletano, spesso un pazzo piacente o un sincero curioso» (G. Artieri). O citando Ernesto de Martino: un individuo particolare affetto da «bradisismo psichico».
Lavali col fuoco! ci mostra l’ultimo grido di insulto a questa tribù che non esiste più, ma anche l’ultimo grido di battaglia di questi guerrieri spartachisti (autori, attori, tecnici, musicisti, artisti dello spettacolo) prima della sconfitta finale e della crocifissione ai nuovi modelli culturali.
[idea]Info[/idea]Lavali col fuoco!
di Aurelio Gatti e Mario Brancaccio
Napoli, Teatro Elicantropo
dal 5 all’8 ottobre 2017
inizio spettacoli ore 21.00 (dal giovedì al sabato), ore 18.00 (domenica)
t 349 1925942 (mattina), 081 296640 (pomeriggio)
promozionelicantropo@libero.it