Il 30 novembre 2015, per gli appuntamenti annuali con i libri organizzati a Cormòns, una cittadina del Friuli, l’attore-musicista Moni Ovadia si è eccezionalmente esibito come lettore della poesia di Pasolini, in particolare di alcuni memorabili poemetti delle Ceneri di Gramsci. Durante il 2015 l’artista si era già impegnato in un fortunato reading sugli Scritti corsari, letti secondo una chiave di impegno civile al quale, in questo nuovo confronto con la parola di Pasolini, Ovadia unisce anche un’acuta sensibilità per i valori della poesia. Ne dà fede l’intervista curata da Mario Brandolin per “Il Messaggero Veneto” del 30 novembre 2015
Ovadia: «Leggo Pasolini contro la rassegnazione»
intervista a cura di Mario Brandolin
http://messaggeroveneto.gelocal.it – 30 novembre 2015
Pier Paolo Pasolini imprescindibile, sempre. Anche per chi, come Moni Ovadia, per storia artistica ne è apparentemente lontano. Si era cimentato Ovadia col Pasolini “corsaro”, quello più vicino alle sue corde di “saltimbanco” impegnato… Lì, in quegli scritti, oggetto anche di un reading appassionato, c’è consonanza, e tanta. Meno scontato invece l’approccio al Pasolini poeta. C’è voluto Cormònslibri a “stanare” Ovadia in un confronto col poeta delle Ceneri di Gramsci, che sono sì componimenti dall’alto tasso politico, ma soprattutto scrittura poetica alta, pura… […]
«Ho accettato questa sfida – spiega Ovadia – di prestare la mia voce a una scrittura poetica di così compiuta perfezione, di così intenso sentire e l’ho fatto con grande passione perché ho un entusiasmo, un interesse, un’ammirazione sconfinata per l’artista, per l’uomo… Pasolini aveva una serie di talenti impressionanti, un’intelligenza di lucidità straordinaria, una spregiudicatezza rara, un coraggio incredibile, aveva quel radicalismo che tutti i poteri tendono a combattere perché smaschera sempre il potere».
Questo il Pasolini corsaro, e il poeta?
In lui l’intellettuale e l’artista, il poeta e il critico della società erano un tutt’uno: la sua umanità e la sua condizione di perseguitato per ciò che egli era gli hanno dato una lucidità ulteriore, anche dolente, che gli ha permesso di regalarci pagine indimenticabili, anche e soprattutto poetiche, su ciò che siamo, su ciò che abbiamo pagato nella trasformazione antropologica di cui siamo stati vittime.
È per questo che i primi versi che leggerà sono quelli del poemetto Il canto popolare, dove già nei primi anni ’50 Pasolini paventava la perdita di quella ricchezza e diversità culturali di cui l’Italia era felicemente prodiga?
Una perdita che si fa amara riflessione e sconcerto nel Pianto di una scavatrice, dove contrappone alla «misera e splendida» umanità delle borgate romane l’avanzare di quelle periferie alienanti in cui il boom le ha poi precipitate: ghetti con la macchina, il frigorifero e la tv.
E poi Ceneri di Gramsci.
Qui la riflessione poetica di Pasolini si fa più sofferta, intima, personale. C’è, nel mettersi a confronto con il padre nobile del Pci, un’ansia e una voglia di crederci ancora fortissima, nonostante «lo scandalo del contraddirmi, dell’essere/ con te e contro te; con te nel cuore,/ in luce, contro te nelle buie viscere»: due versi di struggente e disarmata verità che da soli valgono l’intero poemetto e che la dicono lunga sul coraggio di Pasolini, la sua onestà morale e intellettuale.
Anche da questo punto di vista, per come ha tenuto ferma la propria dignità personale, possiamo considerare Pasolini un esempio, un faro?
In questa epoca molto mediocre, molto degradata, con una fortissima perdita della visione etica e dei valori, abbiamo davvero bisogno di sentire la sua voce. Per evitare la rassegnazione. Che oggi è il pericolo più grande.