Il 5 agosto 2016 è stato presentato all’Hotel Astoria di Grado un assaggio del documentario L’isola di Medea, in cui l’autore-regista Sergio Naitza ricostruisce il backstage del film di Pasolini Medea, in parte girato nel 1969 nella laguna di Grado. Il documentario, ora in fase di montaggio (prod. Lagunafest con Karel, con il sostegno di Fvg Film Commission), esplora anche l’impossibile storia d’amore tra Pasolini e la straordinaria interprete di Medea, Maria Callas, attraverso il ricordo dei testimoni che vissero quei giorni indimenticabili. A darne conto è lo stesso regista Naitza, in un articolo uscito sul “Piccolo” del 5 agosto 2016.
Pasolini e la Callas a Grado: l’illusione dell’amore impossibile
di Sergio Naitza
http://ilpiccolo.gelocal.it – 5 agosto 2016
Certo, il gossip era servito su un piatto d’argento: lo scrittore-regista più scomodo e provocatorio del momento e la divina cantante più acclamata del mondo. Pier Paolo Pasolini e Maria Callas. Il film che li fece incontrare era Medea, l’anno il 1969. C’erano i presupposti sentimentali per ricamarci sopra una love story epocale: lei era stata appena scaricata dall’armatore greco Aristotele Onassis, che impalmava la vedova di John Fitzgerald Kennedy («nove anni di sacrifici inutili», confidò Maria agli amici più intimi); lui, che non nascondeva l’omosessualità, era depresso perché Ninetto Davoli, il ragazzo di vita, non voleva seguirlo. Due anime sensibili e, in quel momento, fragili, venivano dunque in contatto, ciascuna con le proprie ammaccature affettive, ciascuna col desiderio di trovare una sponda amica. Ma non poteva essere una storia d’amore classica, con sigillo matrimoniale. Maria Callas la desiderava e l’aveva ardentemente, anzi testardamente inseguita; Pier Paolo Pasolini invece era sempre stato chiaro, mai avrebbe deviato verso la strada dell’eterosessualità. Eppure quel rapporto fu qualcosa di speciale, costruito su un grande rispetto, un mutuo soccorso amoroso che non prevedeva incontri ravvicinati.
Il produttore Franco Rossellini era stato il sensale artistico, braccava la Callas con proposte cinematografiche che lei sistematicamente bocciava. Disse sì incuriosita al progetto Medea, personaggio col quale condivideva le ascendenze greche, per poi propendere per il dubbio dopo essere rimasta sconvolta dai film di Pasolini, Teorema in particolare, che aveva voluto vedere prima di conoscerlo. Pier Paolo non era un frequentatore dei teatri d’opera, amava la musica classica che spesso ascoltava con Elsa Morante, piuttosto era preoccupato dei possibili capricci della diva abituata ai lussi sfrenati dell’alta società, ma folgorato dalla figura di Maria, che possedeva nei tratti fisici tutta la forza dell’epica e del mito. Stavano ai poli opposti, solo una calamita segreta li attirava. E dal primo sguardo si stabilì un’intesa, una dolcezza che si nutriva di confidenze, di attenzioni reciproche, di gesti semplici come passeggiare tra la gente a braccetto, persino scambiarsi un bacio.
Le foto che li ritraggono – tante circolano sul web – mostrano due persone sorridenti, dagli occhi trapelano entusiasmo e comunione di sensi e d’intenti, indifferenti al chiacchiericcio di chi iniziava a speculare su un rapporto artistico e umano così bello e delicato.
La lavorazione del film Medea fu faticosa, le riprese in Cappadocia misero a dura prova il fisico della Callas, insospettabilmente docile nel sopportare il caldo afoso e le richieste di scene complicate, come strisciare in claustrofobici cunicoli. Quando arrivò a Grado per le riprese sulla laguna, Pasolini la fece sentire a casa, coccolata e coperta di premure. Da tempo Pier Paolo conosceva quel paesaggio terraqueo che gli aveva fatto scoprire l’amico pittore Giuseppe Zigaina, dal Comune aveva ricevuto l’uso del casone di Mota Safon, dietro il pagamento di un simbolico canone, dove si rifugiava per «riflettere, leggere, dipingere e scrivere in totale relax», ricorda Davoli.
Fu anche quell’ambiente così sospeso e immobile, raccolto e poco pettegolo che contribuì a cementare l’amicizia tra regista e attrice. Pasolini sul set era pacato, mai un alzar di voce, preoccupato che nulla accadesse a Maria, protetta a distanza con parole educate e sguardi amorevoli; lei devota ubbidiva, «impaurita dai primi piani che mettevano in risalto il suo nasone greco – ricorda il costumista Piero Tosi – che invece mandava in estasi Pier Paolo».
L’ombra di Onassis si allungava perniciosa anche lì, spiega Giuseppe Gentile, il campione di salto triplo che interpretava Giasone: «Ogni sera la chiamava al telefono, gettandola in uno stato di angosciosa prostrazione». Maria trovava le energie per riprendersi, il mattino dopo sorrideva, scherzava, tutti a Grado hanno ancora l’immagine di una donna semplice, mai altezzosa o snob, felice di stare al fianco di Pier Paolo per sostenerlo nella battaglia culturale quando presenziò al suo fianco alla prima di Porcile al cinema Cristallo, disertando la platea della Mostra del cinema di Venezia che l’attendeva. «Era l’unione tra due sensibilità che non contemplava la sessualità», sunteggia l’aiuto costumista del film Gabriella Pescucci.
Alla gente, e alla stampa, piaceva in fondo cavalcare questa favola impossibile. Un bacio a fior di labbra tra Pier Paolo e Maria, paparazzato all’aeroporto, diventò titolone che sanciva nozze imminenti, («anche io li vidi baciarsi nella sala costumi», rammenta Piera Degli Esposti che aveva la parte di un’ancella) e la Divina a smentire ma nel suo intimo a sperare che il miracolo potesse accadere.
«Maria si era messa in testa che voleva redimerlo dall’omosessualità» – dice Dacia Maraini, che con Callas, Pasolini e Moravia condivise due lunghi viaggi in Africa, in condizioni spesso disagiate durante le quali lei non batté mai ciglio. «Se sul palco era un drago, nella vita quotidiana era preda di una ingenuità infantile. Sapeva in cuor suo che mai avrebbe sposato Pier Paolo, eppure si illudeva di poterlo fare».
A complicare il disordine sentimentale di Maria furono anche due gesti gentili scambiati per promesse d’amore. Pasolini le regalò due anelli, uno in Turchia, un altro a fine riprese a Grado. Nadia Stancioff, sua assistente personale, ricorda così quel momento di eccitazione: «Guarda questo anello che mi ha dato Pier Paolo, mi disse raggiante, allora vuol dir che è innamorato di me!». L’estate successiva, Pasolini fu ospite di Maria nell’isola greca di Tragonisi e lì iniziò a sfilacciarsi lentamente quella meravigliosa intesa: lui le fece alcuni ritratti con il pennello intinto negli umori di fiori ed erbe, e lei si illudeva ancora; lui le dedicò poesie, con versi dal significato inequivocabile («Ma tu dirai ciò che dicono le ragazze selvagge, su quel molo umile, abitato da due soli corpi, parole che non hanno nessuna risonanza nella realtà») e lei non capiva.
Tempo dopo la loro tragica morte (entrambi avevano la stessa età, 53 anni), la pubblicazione delle lettere che si scambiarono, così piene di confidenze e pene d’amore, certificava il dono prezioso di un sentimento d’affetto profondo e unico. Lei si firmava “Maria fanciullina” e in un italiano claudicante eppure efficace diceva: «Tengo alla tua verità e sincerità, siamo assai legati psichicamente – oso dire come raro si fa in vita». Ma nessuna love story: quella l’avevano cavalcata i rotocalchi e, nella sua testa, Maria. «Io oggi ho colto un attimo del tuo fulgore, e tu avresti voluto darmelo tutto. Ma non è possibile», scriverà Pasolini.
*Foto di copertina: Elio Ciol, Casarsa della Delizia, 1969