Per gentile concessione riportiamo una recensione del film La macchinazione di David Grieco, visto in anteprima da Marino Demata, che ne ha scritto, come dice, “di getto” e a caldo con convinta adesione.
La sala cinematografica ove è stata presentata ieri sera l’anteprima de La macchinazione di David Grieco (il film sarà ufficialmente nelle sale il 24 marzo 2016) era particolarmente affollata. Un segno questo dell’interesse col quale era atteso questo film, che, già lo si intuiva, non è un ennesimo film sulla morte di Pasolini, ma è il film che dice molto di più di tutti quelli che lo hanno preceduto, scavando con coraggio sia sulle inchieste che il Poeta andava conducendo privatamente sui misteri italiani dell’epoca, sia sulle circostanze del suo assassinio. E l’altra novità è che il regista collega direttamente ed esplicitamente quelle ostinate ricerche di Pasolini con la sua “condanna a morte”, trovando nelle prime il vero movente della seconda.
Tornato sul set dopo ben 12 anni, da quando aveva girato Evilenko, tratto dal suo romanzo Il comunista che mangiava i bambini, David Grieco riesce a costruire un film dal ritmo incalzante che appassiona lo spettatore anche poco esperto della materia. Da rimarcare la scelta della colonna sonora con bellissimi brani dei Pink Floyd, che fanno da contrappunto alle scene più drammatiche.
Affidato il compito di interpretare Pasolini all’ottimo Massimo Ranieri, scelto evidentemente non solo per una evidente somiglianza col poeta, ma anche per la capacità di rappresentare movenze, gestualità e manifesti stati d’animo, Grieco riesce ad attorniarlo con altri ottimi comprimari.
Il regista concentra la sua attenzione sul periodo che va dalle elezioni politiche di giugno 1975 alla fatidica notte tra il 1° e il 2 novembre. Settimane e mesi intensissimi ove Pasolini appare in alcuni momenti quasi scatenato o invasato nella misura in cui cresceva in lui la consapevolezza di avvicinarsi a terribili verità sui poteri occulti in Italia e sulle loro malefatte. Tra queste c’è innanzitutto l’appiattimento e l’omologazione del popolo italiano sotto l’egida del consumismo, che, come un tarlo, gradatamente erode anche le differenze ideologiche e politiche della gente. Questa convinzione del poeta – che ha anche molto di premonizione – ci viene manifestata dalla espressione scettica di Pasolini all’inizio del film, mentre guida la propria auto ed ascolta dalla radio le notizie della straripante vittoria del Partito Comunista alle elezioni politiche. E tale convinzione ritorna anche verso la fine del film nel corso dell’intervista col giornalista francese.
Questi, diciamo, sono i guasti generali provocati dalla classe dirigente italiana, sui quali giustamente il film ritorna in quelle due circostanze all’inizio e alla fine del film, ma anche in altri momenti, con accenni, riferimenti, ed esplicite affermazioni.
Ma, al di là dei guasti che potremmo definire politico-sociali, esistono responsabilità gravissime da parte del connubio tra potere economico e politico e forze malavitose nella stagione delle stragi e in atti criminosi del recente passato, sui quali Pasolini è riuscito in molti casi a scoprire la verità e in altri ad essere ad un passo da essa. E’ proprio sulle ricerche solitarie di Pasolini che si sofferma Grieco nella parte centrale e più avvincente del film, che gradatamente riesce ad assumere i contorni di un vero e proprio noir. Parallelamente alla fase di montaggio del suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma, Pasolini è impegnato a scrivere il suo libro-inchiesta, Petrolio.
Il personaggio chiave è Cefis, uomo potentissimo capace di determinare le scelte fondamentali del Paese, liberandosi disinvoltamente di chiunque gli faccia ombra, coautore della loggia massonica P2. Pasolini intuisce i collegamenti tra quest’ultimo e la morte di Mattei, tra quest’ultimo e le stragi, e si imbatte in uno strano libro intitolato Questo è Cefis, rivelatore di molti episodi da codice penale. Pasolini ha solo una fotocopia del libro, che stranamente scomparve dagli scaffali di tutte le librerie d’Italia solo 48 ore dopo la sua uscita. Se non ci fosse stata questa “provvidenziale” scomparsa, la Magistratura sarebbe stata obbligata ad aprire un’indagine su quanto narrato nel libro! Ebbene Pasolini si mette sulle tracce dell’autore del libro, Steimetz (chiaramente un pseudonimo) e organizza due incontri per saperne di più. Ignaro che Steimetz è costantemente pedinato dai servizi segreti e che le conversazioni con Pasolini sono ascoltate e registrate. Da queste circostanze probabilmente discende la definitiva convinzione da parte dei servizi segreti che Pasolini si fosse pericolosamente avvicinato troppo alla verità e che andasse eliminato. Nel frattempo viene ucciso lo stesso Steimez, reo di aver confidato qualcosa di troppo al poeta.
Come si diceva, il merito di Grieco è soprattutto quello di aver collegato esplicitamente questa privata attività investigativa di Pasolini con la sua morte. Pasolini doveva essere eliminato e il film ci mostra come si muovano sincronicamente in questa direzione ministri e deputati del centro, le forze della destra del MSI, personaggi senza scrupoli legati ai poteri forti e, come ultimo e decisivo anello della catena, la banda della Magliana, capace di reclutare manovalanza criminale negli ambienti di quei “borgatari” che Il poeta aveva descritto con tanta artistica efficacia in Accattone, in Mamma Roma e in alcuni romanzi-capolavoro.
Nella ricostruzione puntigliosa di Grieco tutto si incastra alla perfezione, anche la sparizione dei negativi di Salò dagli stabilimenti romani della Technicolor. Sarà Pelosi, un ragazzo che Pasolini frequenta da un po’ di tempo, a rivelargli dove si trovano i negativi e la cifra che viene richiesta per il loro riscatto. In realtà Pelosi è stato incaricato di parlare con Pasolini dai materiali organizzatori della sparizione dei negativi, ai cui vertici ci sono pezzi grossi della criminalità organizzata.
Grieco non ha alcun dubbio che la vicenda del furto dei negativi rappresenti un diversivo e soprattutto un’esca per convincere Pasolini ad andare al fatidico appuntamento con la morte quella notte all’Idroscalo.
Pasolini è in auto con Pelosi, ma una moto e almeno altre due auto li seguono. La tesi ufficiale delle circostanze della morte di Pasolini è, secondo il regista, assolutamente ridicola: una tesi precostituita e preconfezionata tesa ad attribuire al solo Pelosi la responsabilità di tutto, con una falsa confessione che nel film emerge in una tragica notte nei locali della Questura. Una tesi che è stata sposata dalla Magistratura che ha archiviato rapidamente il caso. Una tesi che è smentita dalla logica più elementare che ammonisce che il poeta non poteva essere malmenato e ucciso da una sola persona, come avrebbero sicuramente smentito testimoni che chiedevano di essere ascoltati e che invece non furono mai convocati. Tesi che è stata poi smentita dal ritrovamento di tracce del DNA di almeno altre cinque persone sulla scena del delitto non identificate.
Grieco dunque ricompone le tessere del puzzle, mettendo in risalto le evidenze più chiare e le connessioni più probabili. Senza pretendere di avere in tasca la carta della verità al 100%, ma creando un quadro quantomeno verosimile allo svolgimento degli eventi e alle relative cause. Spetterà alla Commissione monoparlamentare d’inchiesta, che è stata richiesta proprio dopo la visione del film in una saletta della Camera dai deputati Bolognesi e Pellegrino, fare definitiva luce su questo ennesimo mistero italiano. Pur nella consapevolezza della difficoltà in cui ci si muoverà, perché, come afferma il regista, il problema è che, se si arriva alla verità sull’omicidio Pasolini, si può sicuramente arrivare alla verità su molte altre cose che non faranno piacere a molti. E questo – si può essere certi – potrebbe essere un ulteriore ostacolo sulla strada della verità.