In scena a Vigolzone (Piacenza) “I promessi sposi” secondo Pasolini

Martedì 29 agosto, alle ore 21, nella piazza del castello di Vigolzone (Piacenza) si è tenuta la  settima tappa del festival  “Lultimaprovincia” con la rappresentazione dello  spettacolo Promessi! Ovvero i Promessi Sposi in scena. Il festival è stato realizzato in collaborazione con Regione Emilia Romagna, Fondazione Piacenza & Vigevano, Comuni di Bobbio,  Castell’Arquato, Gragnano Trebbiense,  Podenzano, Ponte dell’Olio, Rivergaro, Rottofreno, Travo e Vigolzone, oltre che con il patrocinio della Provincia di Piacenza.
Significativo è il fatto che non solo sia stato coinvolto un gruppo nutrito di Comuni del piacentino, parti in causa di un teatro corale, partecipato e popolare, ma che la traccia per la messinscena sia stata fornita  dalla sceneggiatura di Pasolini per un film mai realizzato sul testo manzoniano de
I promessi sposi. Si tratta di un  episodio pressoché sconosciuto della creatività cinematografica di Pasolini, che nel 1960, insieme a Ennio De Concini, mise mano a una potenziale sceneggiatura del capolavoro di Manzoni, il romanzo italiano per eccellenza. Doveva essere una grossa produzione, perché Carlo Ponti si aspettava di ripetere il successo di Guerra e pace. A Pasolini e Concini venne in mente di far partire la storia qualche anno dopo la fine del romanzo ed entrambi proiettarono nel trattamento – che non compare nemmeno nei «Meridiani» di  PPP – le proprie biografie. Specie Pasolini, che vide in Renzo e Lucia la storia sua e di sua madre, in fuga dal Friuli in seguito allo scandalo di Ramuscello a cercare nuova vita a Roma.
Quella sceneggiatura è stata ora  riproposta in forma teatrale, secondo intenzioni sceniche di cui dà conto il comunicato che qui riproduciamo.(a.f.)

"I promessi sposi" (1941) di Mario Camerini. Con Gino Cervi
“I promessi sposi” (1941) di Mario Camerini. Con Gino Cervi

“Lultimaprovincia”: a Vigolzone “I promessi sposi” secondo Pasolini
redazionale

www.piacenzasera.it  – 29 agosto 2017

Cinque attori, in scena per tutto spettacolo, sono gli officiatori di un rito che tramanda la testimonianza delle vicende vissute dai due operai tessili lecchesi all’inizio del XVII secolo, ma che attraverso il racconto trascendono il tempo e lo spazio.
Ogni attore ha un proprio personaggio: Don Abbondio (Stefano Bresciani), Agnese (Giusi Vassena), Cristoforo (Nicola Bizzarri), Lucia (Federica Cottini), Renzo (Marco Meneghini). Tuttavia la coralità del racconto fa sì che dal tessuto drammaturgico emergano anche le voci dei personaggi minori, e soprattutto che emerga la voce del popolo dolente, furente, impaurito, quel popolo che deve superare, come flagelli biblici, le prove della carestia, della guerra e della peste, da cui esce prepotente quell’anelito di giustizia che fonderà poi la scrittura della Colonna Infame.
Due sono le strade per affrontare tali prove: quella della rivendicazione sociale, sperimentata da Renzo, e quella della devozione, che porterà Lucia al miracolo; entrambe sono simboleggiate dal pane, cibo del corpo e dell’anima. Il percorso dei personaggi si dipana come in un gioco dell’oca. La festa di matrimonio, interrotta all’inizio, si potrà finalmente celebrare.
La riscrittura del testo e le soluzioni registiche vanno nel solco della riscoperta del teatro popolare, un teatro che cerca le proprie ragioni nell’immediatezza del rapporto con il pubblico, secondo principi mutuati dalla poetica brechtiana. La lingua usata è un pastiche di italiano e dialetto lombardo, in cui affiorano il latino della Chiesa e lo spagnolo dei dominatori. Il canto, eseguito coralmente dagli attori, accompagna lo svolgimento della vicenda e ne sottolinea la ritualità, pescando nel repertorio popolare lombardo.
L’ispirazione per questo racconto dei Promessi Sposi è una sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini, mai realizzata. Pasolini fa raccontare la vicenda da Renzo ai propri figli in flash-back. La famiglia Tramaglino fa da coro al racconto.L’intuizione di Pasolini ha riscontro peraltro nel testo dei Promessi Sposi, dove si allude al fatto che Renzo stesso sia la fonte diretta dell’anonimo romanzatore seicentesco.

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