“Memorie e Violenze di Sant’Isabella” (Aprile 2009)
per Pier Paolo Pasolini
Ultimo attuale corpo sonoro, un approccio alternativo tra musica sperimentale e verso italiano
“PERCHÉ ORA È IL TEMPO. PERCHÉ IL TEMPO È ORA.”
Piazzato di traverso all’ottica musicale corrente, Ultimo Attuale Corpo Sonoro è un progetto di approccio alternativo tra musica sperimentale e verso italiano, dai toni non omologati nel vocabolario enfatico della memoria. Sonorità che per lucido realismo possono essere accostate all’indipendente di Godspeed You! Black Emperor e Jason Molina, o ancora ai CSI di Giovanni Lindo Ferretti per la lama stilistica inquieta e magniloquente che anima la ricercatezza delle parole più argute, cioè l’anatema dissonante di trattare ogni canzone come un’occasione sacra per riconoscere la vita. Rimandi a versi che hanno ancora bisogno di fare della rabbia un netto e decisivo richiamo all’ascolto recuperando dal fondo della storia una sentimentalità pensata per spezzare le iniquità dei comportamenti umani. E qui che la morale è sentita come l’occasione di un possibile aggiustamento della sorte, una contromossa critica giocata alla patria per costruire un discorso collettivo di protesta sociale e denuncia politica. La liricità di Gianmarco Mercati non manca di mostrare coraggio e personalità facendosi testimone di un modo di intendere la musica attraverso i margini della società cosiddetta civile. La scrittura è innescata su una licenza poetica di “intransigenza violenta” che sin dagli esordi di Nueva York: Strade e Sogni è pensata con particolare riferimento alla poesia di Federico García Lorca, ma anche di Pier Paolo Pasolini, Nazim Hikmet e Arthur Rimbaud, tre figure di intellettuali esuli che nel successivo Memorie e Violenze di Sant’Isabella diventano lo scudo sovversivo e scandaloso di un degrado devastante. La voce di una ribellione che si fa esperienza, bellezza, libertà non appena la violenza delle idee prende ad assumere la portata etica del proscenio degli eroi.
Una determinazione questa per la responsabilità individuale che ha ispirato la band di Verona anche nella scelta del nome, ossequiando Jack Kerouac. Ancora una volta il sacrificio del sangue gira svelto sulla scala dei valori, riflette il lato più dilatato del rock e lascia decantare, in un vortice di chitarre laceranti e sfrontate, la resistenza della parola di contro all’assenza democratica del paese.
Straordinariamente agile nell’inglobare consapevolezza, orgoglio e irruenza Io Ricordo Con Rabbia serve principalmente a denunciare lo spettacolo reale delle condizioni, a inquadrare i veri interrogativi rimasti in sospeso per poi rendere manifesti significati ed eventi precedentemente rimossi. La storia non è una buona borghese, può seminare rancore e falsità ed è per tale ragione che va trattata con provocazione anche a costo di ferire. Così la ritmica diventa volontà di azione, vita violenta, lirica dilaniata da strofe contundenti, un totale strumentale distorto, eccitamenti oscuri e arrangiamenti incalzanti. Conosce episodi mortali, concepisce angosce nazionali, parla le vicende del treno Italicus, i trent’anni di Ustica e Bologna e la strage del Rapido 904. Trova protezione nelle titubanze di Fernando Pessoa, Henry Miller, David Grossman, suona l’estetica di Marc Augè e, incarnando uno stato cesareo di amore e guerra, finisce con l’illustrare la morale di un uomo solo, non propriamente a causa dei suoi scontri ma per natura: orfano condannato a non essere magnificamente che un uomo. Ecco allora che senza riscatti né indulgenze ci troviamo di fronte ad un agglomerato di canzoni che spaziano tra cantautorato rock e regola oratoria fredda e tagliente, componimenti dalla tenacia perseverante fatta soltanto di intimità con la propria memoria. Musica da ascolto scevra di temporalità non appena solleva le annotazioni dei taccuini all’umana finitezza degli stati d’animo attraverso parole dissonanti e domande sgraziate che fanno risuonare il tempo storico come l’eterno ammonimento di una coscienza collettiva. Risultato sussurrato e trascritto come Ultimo Attuale Corpo Sonoro.
Ultimo Attuale Corpo Sonoro, Memorie e violenze di Sant’Isabella (Manzanilla MusicaDischi, 2009)
1) Empirismo Eretico
2) Ultima lettera al 1975
3) Le ceneri dell’Idroscalo
4) L’esilio del canto
5) I fantasmi del Bosforo
6) Impossibile dormire a Varna, amore
7) Memorie e violenze di Sant’Isabella
Recensioni
Io so ma non ho le prove, così intonano in Empirismo Eretico gli Ultimo Attuale Corpo Sonoro, citando un Pier Paolo Pasolini prossimo alla morte, nella tragica notte dell’Idroscalo di Ostia. E’ una nuova musica di denuncia quella concepita dalla formazione della provincia veronese, una poesia che reclama l’avvento di uno stato laico, riprendendo quasi in slow motion – tra parafrasi e capitoli di storia contemporanea – l’Italia delle grandi contraddizioni. Poesia musicata in un atto decadente, più che un manifesto cartoline dal paese che non c’è. Il paese delle grandi menzogne. Memorie e Violenze di Sant’Isabella è la seconda prova sulla lunga distanza di questa formazione (la prima ad essere pubblicata e distribuita), che conosce i suoi natali agli albori del 2003, raccogliendosi finalmente attorno ad un solido nucleo che oltre ad inseguire le più belle pagine del cantautorato italiano porta con sé la fascinazione per il più dilatato rock d’oltreoceano e continentale, quello che sommariamente etichettiamo come post-rock, ma che in realtà ha rappresentato uno dei momenti più alti e romantici del nostro tempo scandito in musica. Da una parte il lirismo evocativo di Faust’O, dall’altra le recrudescenze elettriche di label che hanno reso il rock dei giorni nostri affare quasi metafisico, con un pensiero in particolare alla canadese Constellation, riconosciuta dagli stessi autori come una zona franca cui guardare.
L’Italia degli ultimi cinquant’anni, Pier Paolo Pasolini, lo stragismo del potere, l’amore di Nazim Hikmet, la biografia di Rimbaud romanzata da Kerouac. Violenza post-moderna come unica via per riconciliarsi con la Nostra memoria storica. Ultimo Attuale Corpo Sonoro cerca di convincere; di convincere chi non ha ancora capito; e di convincere chi non ha voluto capire. Perché il tempo è ora. E perché ora è il tempo.
Esistono dei trascorsi notevoli nella giovane carriera del gruppo, l’idea di affiancare musica e poesia è stato sempre un pallino, come accadde nel momento del grande incontro ‘sospeso’ tra Pier Paolo Pasolini e Giovanni Lindo Ferretti, all’interno del volume di raccolta di poesie che accompagna il disco compilation titolato Terra in vista. Nell’occasione gli UACS si cimentano in due pezzi: la riproposizione di Memorie di una testa tagliata del Consorzio Suonatori Indipendenti e Ultima lettera al Millenovecentosettantacinque, brano inedito dedicato all’intellettuale assassinato ad Ostia, che verrà successivamente ripreso nel nuovo album. A supporto del progetto, gli Ultimo Attuale Corpo Sonoro hanno suonato all’auditorium della chiesa di San Pio X di Verona, collaborando con l’attore Daniele Partelli.
La carriera del gruppo è attraversata da capovolgimenti di fronte e rotture, rispecchiando paradossalmente la natura delle liriche e l’imprendibile volatilità dei suoni di volta in volta liberati dalle corde. Inciso nell’estate del 2007 presso l’associazione culturale Emporio Malkovich, il secondo album della band viene finalizzato dopo un metodico periodo di missaggio e post produzione, grazie all’aiuto prezioso di Alessandro Longo e Martino Modena. Memorie e violenza di Sant’Isabella non è dunque da considerarsi un parto facile, tutt’altro. È la messa a punto di un progetto che in oltre 5 anni di esistenza ha portato a raccogliere piccole/grandi soddisfazioni come a registrare lotte intestine, che mai inficeranno sul risultato finale dell’opera.
Una nuova spinosa realtà del rock autoctono, gli UACS bagnano la propria musica in una spirale elettrica, fatta di gradini emotivi, riavvolgendo all’indietro il nastro della tradizione folk del nostro paese, raccontando con fermezza un’altra storia.
Empirismo eretico (testo)
Ostia, la foce del Tevere, la spianata del litorale.
Una strada lunga, in terra battuta, che porta fino a Fiumicino.
Abitazioni abusive, recinzioni, campetti per il pallone, dune salmastre.
La polvere vecchia; vecchia come il lavoro, vecchia come la religiosità pagana, contadina, vecchia come l’amore per Cristo.
Il volto è soffocato in quella terra popolare.
La tempia sinistra, la guancia sinistra che affonda, la maglia sollevata dal dorso, una camicia di lana, calzoni abbottonati alla cintola.
Massacrato.
Ecchimosi sulla testa, sulle spalle: è coperto di sangue.
Ecchimosi sul dorso, ecchimosi sull’addome.
Il naso fratturato verso sinistra, schiacciato verso sinistra.
Le costole spezzate, dieci costole spezzate.
Il braccio destro scostato dal corpo, la mano sinistra deforme, fratturata, in più parti.
Cambiamenti e contraddizioni.
Più la sua analisi diveniva lucida, più diveniva aggressiva.
E più diveniva feroce e più diveniva aderente.
Valle Giulia, l’ecchimosi sulla testa.
La violenza stragista come forma di governo, la mano sinistra fratturata.
L’economia del potere, l’addome lacerato.
Il mancato sviluppo morale della sua Italia, le dieci costole spezzate dalle bastonate.
Il neo-fascismo, la democrazia cristiana e le irresponsabilità del partito comunista, il naso fratturato, schiacciato, informe verso un lato del volto.
Cambiamenti e contraddizioni.
Più la sua analisi diveniva lucida, più diveniva aggressiva.
E più diveniva feroce e più diveniva aderente.
Il 1962, l’uccisione di Enrico Mattei.
L’ombra nera di Eugenio Cefis che trova radici nei lampi sull’ENI.
La nascita della Montedison.
Il 1971, le speculazioni finanziarie, i fondi neri.
Il controllo dell’informazione con Il Messaggero.
Le stragi dal ‘69 all’’80, la strage di Bologna, piazza Fontana e la Banca dell’Agricoltura.
Le indagini viziate da attribuzioni anarchiche neo-fasciste.
Il palazzo del potere, Calabresi e l’uccisione di Pinelli.
Sono questi i lineamenti che rimangono del suo viso.
Arsi e divorati dal sangue, raggrumato denso nel fango, irriconoscibili, massacrati, straziati.
“Il PCI ai giovani!!” negli scritti corsari.
Il petrolio nelle Ceneri di Gramsci, nella famiglia dei Troia, nel suo pensiero nella sua scelta.
Questo è urlato, è urlato, è urlato come si urla una bestemmia e come se questa bestemmia fosse la bestemmia d’Italia.
Tra decenni di storia di un potere politico fondato sullo stragismo italiano, fascista e di stato.
Ripeteva:
“Io so ma non ho le prove”.
“Io so ma non ho le prove.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe.
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano.
Io so tutti i fatti, io so tutti gli attentati alle istituzioni, io so le stragi di cui si sono resi colpevoli.
Io so ma non ho le prove. Io so ma non ho le prove. Io so ma non ho le prove…”
“Io so ma non ho le prove”, ripeteva.
Quando è stato assassinato all’idroscalo, non pensava alla sua Italia.
Non pensava ai nemici, non pensava al costato di Cristo.
Tanto meno pensava ai suoi assassini: già li aveva redenti.
Pensava a sua madre, pensava a Susanna.
Agonizzante, dilaniato…
Lo vedo salire sulla sua Giulietta 2000.
Raddrizzare lo specchietto retrovisore, guardarsi in volto, togliersi la camicia e con quella tamponarsi le ferite.
Per rendersi presentabile, almeno in viso, asciugandosi il sangue con le mani, con quella mano sinistra fratturata, con quella sua destra già morente.
Lo vedo cercare di rendersi presentabile a sua madre; di rendersi presentabile a sua madre prima di morire.
Aveva detto: “Non ho più speranze: aspetto. E l’aspettare più invecchio più è cosa dolce, perché meno rimane alla mia esistenza per soffrire, per lasciarsi aggiogare dalle illusioni del cambiamento. Ma l’odore della pelliccia di mia madre è e rimane l’odore della mia vita.”
Forse, Pier Paolo Pasolini, non è stato ammazzato per ciò che è stato detto fino ad ora, ma la sua morte, ha avuto lo stesso effetto.
***
da XL de «La Repubblica»
Gioca brutti scherzi la memoria. Perché quando perde di vista i contorni delle cose, tende a mitizzare ciò che è stato, a ingigantire fatti e persone, a trasformare immediatamente il passato in Storia.
Ma la memoria è anche uno dei pochi strumenti per comprendere a fondo il presente. Occorre imparare a ricordare. Nel secondo lavoro di Ultimo Attuale Corpo Sonoro, l’esercizio prende forma attorno all’omicidio di Pier Paolo Pasolini all’Idroscalo di Ostia, all’esilio a Varna, sul Bosforo, di Nazim Hikmet e alle vicende biografiche di Arthur Rimbaud rivisitate dalla penna da Jack Kerouac.
Poeti che per il quartetto della provincia veronese hanno inseguito un sogno di purezza e di libertà dagli steccati imposti dalle ideologie.
Il risultato è un disco che i quattro definiscono di “intransigenza violenta”, ovvero che non chiede sconti, pretende di essere ascoltato con tutti i sensi allertati, incapace di fare da sottofondo.
Melodie che nascono per assecondare i testi di Gianmarco Mercati, più vicini alla densità della poesia che alla parola della musica.
Liriche che si attorcigliano attorno a una voce che le sussurra o che le semina sul tessuto musicale alla maniera di Max Collini degli Offlaga Disco Pax.
L’orizzonte sonoro è il continuo gioco di dinamiche vuoto/pieno degli arrangiamenti del post-rock americano, soprattutto quello dell’etichetta Constellation.
Un disco che guarda al passato per parlare del presente. Per ricordarsi di ricordare. (Mauro Petruzziello)
***
da «Fuori dal mucchio»
Quando si ha coraggio artistico ci si butta senza troppo pensare a dove si andrà a finire.
Partendo naturalmente da una idea forte, e dalla convinzione di ciò che si fa ha una profonda valenza per se stessi ancor prima che per gli altri. In questo senso, l’esordio degli Ultimo attuale corpo sonoro è un disco coraggioso, assolutamente incosciente nel voler affrontare quel connubio tra reading e rock che hanno frequentato pochi temerari, dai CCCP agli Offlaga Disco Pax passando per i Massimo Volume. E infatti chi è arrivato primo a cimentarsi con la formula emerge in queste canzoni, ci sono echi ferrettiani nei brani ma la vera differenza sta nella figura dell’autore degli scritti musicati dal gruppo, Gianmarco Mercati, il quale è di volta in volte voce narrante e cantante dalle doti notevoli, che emergono già in una Ultima lettera al 1975 che nasce dagli ultimi fuochi della morte di Pasolini evocata al principio dell’album (le ossessive e disperate parole di Empirismo eretico, che ricuce il rapporto con l’atto d’accusa ultimo dell’intellettuale friulano), in uno strano abbraccio originato da un cantilenare ferrettiano, sconfinante in seguito nella solenne poesia acustica di Andrea Chimenti e sfociante infine in un canto che lambisce il timbro di Francesco Di Giacomo del Banco, riprendendo dal gruppo romano certe coloriture progressive. La bravura del vocalist è tale che le giunture non si vedono, neanche nei brani successivi, caratterizzati da competenti riletture letteraria. C’è ancora qualcosa da sistemare, un minimo di rodaggio per far fluire ulteriormente il tutto, ma la qualità letteraria e civile della parola scritta e cantata, un impianto strumentale eclettico e personale e il coraggio della proposta hanno già percorso una buona – se non decisiva – parte di strada. (Alessandro Besselva Averame)