Pier Paolo Pasolini, Eretnek empirizmus
curatori Júlia Csantavéri e Vince Zalán
Una recensione di Judit Bàrdos, traduzione in italiano di József Nagy
(Nuova Corvina – Rivista di italianistica) 2008/20
Pasolini ha segnato con il proprio nome la cultura italiana ed europea del secondo Novecento come regista, come teorico del film, come scrittore di novelle, come poeta, come critico, come semiologo e come intellettuale impegnato. Ciononostante, varie dimensioni della sua opera così multiforme sono tuttora sconosciute in Ungheria. L’edizione ungherese dell’opera intitolata Empirismo eretico, a cura della casa editrice Osiris, presenta il volto del Pasolini sconosciuto in Ungheria. I lettori ungheresi effettivamente incontrano per la prima volta la maggior parte degli scritti teoretici di Pasolini sulla letteratura, sulla lingua e sul cinema, testimonianti che l’autore anche in questi campi è paragonabile solo ai più grandi.
C’è una stretta connessione tra la pratica artistica e l’attività teoretica di Pasolini: ciò si spiega col fatto che Pasolini, guidato innanzitutto dall’interesse per la lingua, ha investigato in modo originale le possibilità potenziali dei diversi mezzi d’espressione. Le sue ricerche teoretiche erano ispirate dalle sperimentazioni rivolte al rinnovamento del linguaggio nei film e del linguaggio poetico, dalle sue esperienze connesse all’applicazione letteraria dei dialetti e dei linguaggi particolari – in una parola dall’esperienza del plurilinguismo. È evidente che in ogni suo studio si identifica la stessa idea fondamentale: una originale concezione linguistica e linguistico-filosofica. Il nucleo di tale concezione è formato dalle tesi di Pasolini sulla determinatezza sociale della lingua, ossia dalle sue tesi sociolinguistiche con riferimento alla stretta connessione tra i fatti linguistici e quelli sociali.
Si tratta di una filosofia del linguaggio marxista, che identifica l’aspetto fondamentalmente sociale della lingua col fatto che le relazioni di potere e di classe sono codificate nella stessa lingua. Pasolini però non era un marxista volgare e non ha avuto nulla a che fare col marxismo sovietico contemporaneo. Nel marxismo vedeva lo strumento della critica, dell’innovazione e della scoperta, inoltre in esso vedeva il pegno per la conquista della libertà dell’autoespressione a livello socio-linguistico e anche a livello individuale – di conseguenza utilizzava i concetti del marxismo in armonia coi suoi scopi e con grande libertà. Proprio in questo modo Pasolini poteva essere simultaneamente marxista e cristiano, e pure da cristiano, sostenendo la propria fede in ciò che riteneva come la verità dei vangeli, faceva la propria strada ed era disposto ad affrontare dei gravi conflitti. Come lui stesso diceva in un’intervista, non era interessato nelle ricerche sul linguaggio cinematografico in sé, ma gli sembravano molto più importanti le conseguenze filosofiche che scaturivano da tali ricerche.
Una delle concezioni più originali di Pasolini, l’idea del “discorso indiretto libero”, è stata formulata in connessione all’analisi delle opere letterarie e di quelle cinematografiche, considerate come strutture linguistiche. Il discorso indiretto libero infatti è una mimesi: è l’imitazione delle parole di un parlante, le quali appartengono ad una lingua diversa da quella dell’autore. La mera forma grammaticale può celare tale fatto, giacché molte volte il discorso citato è formulato nella lingua propria dell’autore – ossia (in tale caso) il mondo linguistico dello scrittore e quello dell’eroe coincidono. Ma in realtà in tutti i casi analoghi si tratta di “monologhi interni”. Il discorso indiretto libero – in senso autentico – può essere scritto solo in una lingua diversa da quella dell’autore; questo però presuppone delle ulteriori differenze psicologiche, culturali, storiche, e sociali tra l’autore e il proprio eroe. Da questo consegue che l’applicazione del discorso indiretto libero è sempre di rilevanza sociale – ossia include il problema del rapporto tra l’opera letteraria come struttura linguistica, e la società. Il discorso indiretto libero esiste pure nel film, e anche nella pittura d’avanguardia.
Pasolini analizzava per primo l’arte cinematografica a lui contemporanea (tra l’altro i film di Antonioni, di Bertolucci, e di Godard) come delle “creazioni di sequenze (di immagini) indirette libere”, ossia come dei “film poetici”. Tale possibilità artistica libera il regista dalle tradizionali convenzioni narrative, e rende possibile la formazione di un linguaggio cinematografico – come diceva Pasolini – nuovo, barbaro, irregolare, visionario.
Fino all’inizio degli anni sessanta nell’arte cinematografica classica la regola fondamentale era quella di non far sentire la presenza della camera. Il linguaggio del film doveva essere trasparente, doveva essere subordinato al significato. In cambio nel film moderno, ossia nel “film poetico”, cominciando dai diversi new waves, la regola – formulata per primo da Pasolini – è quella di far sì sentire la presenza della camera. I registi operano con una determinata coscienza stilistica, e pure il pubblico diventa cosciente del fatto che ciò che vede è un film. La storia – ossia la storia narrata per mezzo del linguaggio del film, per mezzo dell’immagine – è un’immagine mostrata da una particolare angolazione della camera.
Si deve ringraziare i curatori del presente volume, ossia Júlia Csantavéri e Vince Zalán, per aver offerto al pubblico lettore ungherese non semplicemente una specie di antologia di testi selezionati, ma un’opera intera – scontando così i nostri debiti nei confronti del Pasolini teoretico. Il materiale è stato raccolto e ordinato in tre capitoli (Lingua, Letteratura, Cinema) dallo stesso autore, dai suoi lavori teoretici scritti tra il 1964 e il 1974, e dai suoi dibattiti documentati (effettuati con Eco e con Moravia). Questi scritti rispecchiano da una parte la logica del progresso intellettuale, dall’altra parte la coerenza fenomenale dei problemi formulati da Pasolini.
[idea]Pier Paolo Pasolini, Eretnek empirizmus
curatori Júlia Csantavéri e Vince Zalán
(Osiris, Budapest 2007, pp.382)[/idea]