Nel 2005 per edizioni Contrasto uscì la versione con brani inediti e apparato fotografico di Philippe Séclier del reportage La lunga strada di sabbia, che Pasolini realizzò nel 1959 lungo le coste italiane per la rivista “Successo”. In questo splendido diario di bordo fece scalpore la descrizione che il poeta in viaggio fece della Calabria e in particolare di Cutro, guadagnandosi anche una querela per diffamazione dell’onore locale.
Qui di seguito le parole incriminate di Pasolini e l’eco da esse suscitato, in una breve scheda prontamente organizzata nel 2005 da “Pagine corsare”.
Pier Paolo Pasolini in Calabria (1959)
L’Ionio non è mare nostro: spaventa. Appena partito da Reggio – città estremamente drammatica e originale, di una angosciosa povertà, dove sui camion che passano per le lunghe vie parallele al mare si vedono scritte “Dio aiutaci”- mi stupiva la dolcezza, la mitezza, il nitore dei paesi, della costa. Così circa fino a Porto Salvo. Poi si entra in un mondo che non è più riconoscibile. (…)
Vado verso Crotone, per la zona di Cutro. Illuminati dal sole, sul ciglio della strada, due uomini mi fanno segno di fermarmi. So che non lo dovrei fare, ma mi fermo ugualmente: la curiosità è come sempre più forte della prudenza. Uno è biondiccio, sparuto, disperato: l’altro un bruno, con due occhi sfavillanti, coi baffi neri, la pelle screpolata, il ciuffo. Li faccio salire, e filo a tutta velocità verso Crotone, sogguardandoli: un po’ alla volta parliamo. (….) “Questa è una zona pericolosa –dice il nero- di notte è meglio non passarci. Fermano le macchine e rapinano. Due anni fa, forse lei l’ha sentito, qui, in questo punto hanno ammazzato uno, un ricco signore, mentre tornava da Roma in macchina con una donna.(…)”.
Ecco, a un distendersi delle dune gialle, in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio. È, veramente, il paese dei banditi come si vede in certi westerns. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello. Nel sorriso dei giovani che tornano dal loro atroce lavoro, c’è un guizzo di troppa libertà, quasi di pazzia. Nel fervore che precede l’ ora di cena, l’omertà ha questa forma lieta, vociante: nel loro mondo così si fa. Ma intorno c’è una cornice di vuoto e di silenzio che fa paura. (1)
E’ l’estate 1959. Per la rivista “Successo”, Pier Paolo Pasolini percorre la costa italiana al volante di una Fiat Millecento per realizzare La lunga strada di sabbia, un ampio reportage sull’Italia tra cambiamento e tradizione, vacanza borghese e residui di un dopoguerra difficile.
Le parole dello scrittore feriscono la sensibilità di molti. L’amministrazione comunale di Cutro presentò querela alla Procura della Repubblica di Milano. Si legge nell’ esposto: “La reputazione, l’ onore, il decoro, la dignità delle laboriose popolazioni di Cutro sono stati evidentemente e gravemente calpestati […]. Le dune gialle, altro termine africano usato da Pasolini, sono punteggiate da centinaia di case linde, policrome, gaie, dell’Ente della riforma dove la laboriosa gente del sud, Calabria, Cutro, fedele al biblico imperativo, guadagna il pane col sudore della propria fronte, e non scrivendo articoli diffamatori contro i propri fratelli, contro gli italiani”.
Le parole dello scrittore insomma non piacciono. Egli viene dipinto come un diffamatore in mala fede, il quale ha esposto “una montagna di luoghi comuni anticalabri”.
In ottobre trapela la notizia che Pier Paolo Pasolini fosse il vincitore del Premio Crotone di quell’anno. La giuria, composta tra l’altro da Bassani, Gadda, Moravia, Ungaretti e Rèpaci, aveva assegnato il premio a Pasolini per il romanzo Una vita violenta.
La decisione scatena violente polemiche. Al momento del conferimento del Premio, Pasolini è invitato a parlare. «Sono felice di non avere vinto lo Strega o il Viareggio, perché considero quello che mi avete dato come il più adeguato riconoscimento alla mia opera. I protagonisti del mio romanzo, anche se vivono nella Capitale, fanno parte del Mezzogiorno d’Italia, ed è giusto che qui a Crotone trovassero l’ esatta comprensione, in una terra giovane, perché nasce ora alla vita sociale, e in modo fresco, genuino prende coscienza della sua forza, dei suoi bisogni”.
Una vita violenta diventa un atto di amore per tutte le periferie d’Italia, Calabria compresa.
Scrive Pasolini nella sua Lettera sulla Calabria, pubblicata in “Paese Sera”, 27-28 ottobre 1959 (ora in Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti e S. De Laude, “Meridiani” Mondadori, Milano 1999, pp. 727-728):
Anzitutto, a Cutro, sia ben chiaro, prima di ogni ulteriore considerazione, il quaranta per cento della popolazione è stata privata del diritto di voto perché condannata per furto: questo furto consiste, poi, nell’aver fatto legna nei boschi della tenuta del barone Luigi Barracco. Ora vorrei sapere che cos’altro è questa povera gente se non “bandita” dalla società italiana, che è dalla parte del barone e dei servi politici. (…)
E appunto per questo che non si può non amarla, non essere tutti dalla sua parte, non avversare con tutta la forza del cuore e della ragione chi vuol perpetuare questo stato di cose, ignorandole, mettendole a tacere, mistificandole.
Tornerà più tardi Pasolini in Calabria, nel 1964. Affermerà: «Il paesaggio calabrese si esalta, con i suoi meravigliosi contrasti naturali, in cui a dolci pendii si contrappongono violenti sbalzi rocciosi» E ancora: «In Calabria è stato commesso il più grave dei delitti, di cui non risponderà mai nessuno: è stata uccisa la speranza pura, quella un po’ anarchica e infantile di chi vivendo prima della storia ha ancora tutta la storia davanti a sé.
Note
1 – P.P.Pasolini, La lunga strada di sabbia, ed. Contrasto, Milano 2005, pp. 149-153.
*Foto in copertina: © Vittorio La Verde