Antonio Areddu ha ripercorso alcuni luoghi di Roma sulla traccia delle parole, in versi o in prosa, alle quali Pasolini ha consegnato i suoi sentimenti, le sue sensazioni e le sue riflessioni su Roma, la città che lo ha accolto nel gennaio 1950 e che egli ha profondamente amato. Da lì un articolo , che è apparso il 16 giugno 2000 sul quattordicinale “Lo Spicciolo”, n.8, anno IV (ed. Il Messaggio, via Saturnia 14/16, direttore responsabile Marcello Morante), e che poi è stato inviato in esclusiva a “Pagine corsare”, insieme a un corredo di significative immagini.
P.P. Pasolini da Rebibbia a Ciampino
per una poetica dell’azienda tranviaria di Roma
Dove vai per le strade di Roma,
sui filobus o i tram in cui la gente
ritorna?
(P.P. Pasolini, La religione del mio tempo, p. 922)
È nella poetica della raccolta poetica La religione del mio tempo (1961) che Pasolini ricorda quando abitava a Ponte Mammolo e andava a lavorare a Ciampino. La descrizione è scarna circa la presenza dell’abitato, ma ricca nella descrizione delle condizioni climatiche e degli individui che prendevano l’autobus…
Capolinea Rebibbia
Ah, il vecchio autobus delle sette, fermo /al capolinea di Rebibbia, tra due / baracche, un piccolo grattacielo, solo / nel sapore del gelo o dell’afa… / Quelle facce dei passeggeri / quotidiani, come in libera uscita / da tristi caserme /, dignitosi e seri / nella finta vivacità di borghesi / che mascherava la dura, l’antica/ loro paura di poveri onesti. (La religione del mio tempo, pp. 908-909)
Gli autobus sono pieni la mattina. Essi rappresentano la difficoltà di vivere e Pasolini lo sa.
La mattina
Quanta vita / l’essere corso ogni mattina tra resse / affamate, da una povera casa, perduta / nella periferia, a una povera scuola /, perduta in altra periferia: fatica / che accetta solo chi è preso alla gola /, e ogni forma dell’esistenza gli è nemica. (La religione del mio tempo, p.908)
Il percorso dell’autobus è descritto con una nitidezza formidabile. La via Tiburtina non finisce mai e sta pian piano sviluppandosi.
La via Tiburtina
Quella corsa sfiatata tra le strette / aree da costruzione, le prodaie bruciate /, la lunga Tiburtina… Quelle file di operai, / disoccupati, ladri, che scendevano / ancora unti del grigio sudore / dei letti – dove dormivano da piedi / coi nipoti – in camerette sporche […]. Quella periferia tagliata in lotti / tutti uguali, assorbiti dal sole / troppo caldo, tra cave abbandonate, rotti argini, tuguri, fabbrichette. (La religione del mio tempo, p.909)
L’autobus arriva all’altro capolinea. Il passaggio tra la condizione del viaggiatore Pasolini e la descrizione dei quartieri borghesi di piazza Bologna e via Morgagni è immediato.
Portonaccio
Giungeva l’autobus al Portonaccio /, sotto il muraglione del Verano: / bisognava scendere, correre attraverso / un piazzale brulicante di anime, / lottare per prendere il tram, / che non arrivava mai o partiva sotto gli occhi,/ ricominciare a pensare sulla pensilina / piena di vecchie donne e sporchi giovanotti /, vedere le strade dei quartieri tranquilli /, Via Morgagni, Piazza Bologna, con gli alberi / gialli di luce senza vita, pezzi di mura.
(La religione del mio tempo, p.911)
Sull’Appia Nuova, un po’ di tempo fa, passavano due tram: uno andava a Capannelle e l’altro arrivava a Castel Gandolfo. Fino a vent’anni fa questi due tram, i soli mezzi di trasporto, arrivavano alla stazione Termini. Erano due “tranvetti” blu, come li chiamavano a Roma, che funzionavano già da prima della guerra, con carrozze molto semplici e andavano a corrente. Il vecchio tranvetto, che ora non c’è più, è per Pasolini occasione e momento per ricordarsi del suo essere poeta e insegnante.
Sul treno per Capannelle
Poeta, è vero /, ma intanto eccomi su questo treno /carico tristemente di impiegati /, come per scherzo, bianco di stanchezza /, eccomi a sudare il mio stipendio, / dignità della mia falsa giovinezza,/ miseria da cui con interna umiltà / e ostentata asprezza mi difendo… (La religione del mio tempo, p.912)
Il viaggio sta quasi terminando, ma Pasolini non cessa di approfittare del percorso per pensare ai suoi versi.
Da San Lorenzo a Capannelle
Ma penso! Penso nell’amico angoletto, / immerso l’intera mezzora del percorso /, da San Lorenzo alle Capannelle, dalle Capannelle all’aeroporto /, a pensare, cercando infinite lezioni / a un solo verso, a un pezzetto di verso. (La religione del mio tempo, p.912)
P.P.Pasolini e il tram di Antonio Gramsci
per una poetica dell’azienda tranviaria di Roma
Dove vai per le strade di Roma;
sui filobus o i tram in cui la gente
ritorna?
(P.P. Pasolini, La religione del mio tempo, p. 922)
Pasolini, che visita la tomba di Antonio Gramsci nel Cimitero acattolico di Testaccio, riflette sulla sua esistenza, smarrita «sulle panche del tram».
Ed ecco qui me stesso… povero, vestito / dei panni che i poveri adocchiano in vetrine / dal rozzo splendore, e che ha smarrito / la sporcizia delle più sperdute strade, / delle panche dei tram, da cui stranito è il mio giorno. (Le ceneri di Gramsci, p. 819)
La sera arriva.
Manca poco alla cena; / brillano i rari autobus del quartiere /, con grappoli d’operai agli sportelli, /e gruppi di militari vanno, senza fretta . (Le ceneri di Gramsci, p.825)
P.P.Pasolini e il Gianicolo
Salgo i viali del Gianicolo, fermo
da un bivio liberty, a un largo alberato,
a un troncone di mura – ormai al termine
della città sull’ondulata pianura
che si apre sul mare.
(P.P. Pasolini, Il pianto della scavatrice, p. 839)
P.P.Pasolini e Casal Bertone
Se ne andava così di spalle, verso il suo immediato destino; e chi lo avesse seguito l’avrebbe visto andare giù per il lungo viale, con in mezzo una fila di pini, grandi muraglie di depositi, e la massa dentellata di Casal Bertone opaca e sparsa di luci smorte contro la vetrata del cielo: poco più su, a sinistra, c’era una viuzza che costeggiava l’alto margine della ferrovia, coperta da montagne di rifiuti e di rottami di macchine, ammassate nei cortili di piccole officine cadenti. […] Casal Bertone scomparve alla vista, e così le alte muraglie a secco dei depositi e le distese vuote dei prati. (P.P. Pasolini, Petrolio)
P.P.Pasolini e la stazione di Trastevere
Lì mortale
è il silenzio: ma giù, a viale Marconi,
alla stazione di Trastevere, appare
ancora dolce la sera.
( P.P. Pasolini, Il pianto della scavatrice, pp. 833-834)
P.P.Pasolini e il fiume Aniene
Ragazzo del popolo che canti,
qui a Rebibbia sulla fradicia riva
dell’Aniene la nuova canzonetta…
(P.P.Pasolini, Il canto popolare, p. 879)
P.P.Pasolini e Piazza della Maranella
Perché alla Maranella lì all’incrocio dell’Acqua Bullicante e la Casilina c’era più via vai di macchine e di gente che in Via Veneto.
(Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita)
P.P.Pasolini e Villa Glori
…i bagnati
pendii di Villa Glori, empiono l’aria
primaverile della morente estate
di antichi frastuoni di sagra
alla deriva …
(P.P. Pasolini, Una polemica in versi, p. 855)
P.P.Pasolini e via Quattro Novembre
…filobus che ansando ai semafori
scendono soffici in una pressione
avara, pazzi per mafia
o nevrastenia: e svoltano verdi
per via Quattro Novembre, nell’afa…
(Una polemica in versi, p. 850)
P.P.Pasolini e Piazza Testaccio
…e in mezzo ai platani di Piazza Testaccio
il vento che cade in tremiti di bufera,
è ben dolce…
( P.P. Pasolini, Le ceneri di Gramsci, p. 826)
P.P.Pasolini da Trinità dei Monti al Pincio
Resto in piedi tra questa folla quasi
il gelo, che da Trinità dei Monti,
dai duri vegetali del Pincio, rasi
contro le stelle e i chiusi orizzonti
spegne la città – mi spegnesse il petto,
rendendo puro stupore i monchi
sentimenti, pietà , amarezza.
(P.P. Pasolini, Comizio, p. 797-798)
P.P.Pasolini e Villa Doria Pamphili
La villa, divenuta nel 1971 il più grande parco pubblico della città, è frequentata dagli appassionati di jogging e dai proprietari di cani. Il nucleo più antico, al numero 183 di via Aurelia Antica, è l’edificio detto Villa Vecchia, già esistente quando Panfilo Pamphili l’acquistò nel 1630.
Ecco Villa Pamphili, e nel lume
che tranquillo riverbera
sui nuovi muri, la via dove abito.
(P.P. Pasolini, Il pianto della scavatrice p. 839)
P.P.Pasolini e Valle Giulia
Nel tremito d’oro, domenicale
di Valle Giulia, la nazione è calda,
silenziosa: la sua innocenza è pari
alla sua impurezza.
(P.P. Pasolini, Picasso, p. 787)
P.P.Pasolini e Trastevere
È la notte più bella dell’estate.
Trastevere, in un odore di paglia
di vecchie stalle, di svuotate
osterie, non dorme ancora.
(P.P. Pasolini, Il pianto della scavatrice, p. 835)
P.P.Pasolini e i pini di Villa Borghese
… e il fresco
buio che le solca dai prorompenti
pini di Villa Borghese…
(P.P. Pasolini, Picasso, p. 787)
P.P.Pasolini e Piazza di Spagna
…chi n’è riverberato nelle pompe
festive di Piazza di Spagna e si
confonde in un brusio che trasale
intorno monotono e stupendo; qui
è più acceso il senso di un’Italia
vibrante in un’antica nota
di pace, in una morte dolce come l’aria,
dove la classe più alta regna immota.
(P.P. Pasolini, Picasso, p. 787)
P.P.Pasolini e Largo Preneste
Si trovarono a un “angolo” che per Carmelo [era …] il luogo più aperto, naturale e innocente del mondo: a fare angolo era un muro, lungo un ex vialone ora incorporato dalla città e che, secondo le indicazioni di Carmelo, portava a un luogo detto Casal Bertone. Dietro quel muro non si capiva cosa ci fosse, un deposito, una fabbrica abbandonata, chissà.
Vi dominava la notte. Pasolini allude alla ex Snia Viscosa.
All’angolo c’era un semaforo: e quell’ex vialone si incrociava lì; precisamente con una via chiamata via Prenestina.
Il traffico per tale via, in quel momento era indescrivibile. Una fila senza fine di macchine stava ferma davanti a quel semaforo, come un canale di scolo che avesse la sorgente nel centro della città. Al di là del semaforo, da una parte c’erano dei praticelli neri, con sopra i resti di alcune baracche, e dietro pareti incatramate di palazzoni che si perdevano nel cielo pieno di un terso vapore freddo e bluastro.
Roma. Il capolinea di Largo Preneste e, sx, un bar
Nel mezzo di uno spiazzo di fronte a quei palazzi, in un terreno vago su cui aveva piantato le sue tende un circo, c’era una piccola costruzione rosa isolata; era un bar tutto sfavillante, che, siccome corrispondeva a una fermata del tram, era pieno di folla di passaggio, vecchi e anziani, oltre che di un piccolo assembramento di “abitué”, giovani, coi loro laidi capelli lunghi sulle piccole spalle di rachitici, o su quelle lardose di ciccioni. Più indietro c’era un capolinea pieno di autobus, un cinema, e, insomma, l’inferno. (P.P. Pasolini, Petrolio)
Nota
La numerazione delle pagine per le citazioni dai versi di Pasolini rinvia al volume P.P.Pasolini, Tutte le poesie, a cura di W. Siti, I, “Meridiani” Mondadori, Milano 2003.