Tracce di Roma nell’opera di PPP, di Franco Cordelli

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Fondo Angela Molteni

La vita

Franco Cordelli,  critico letterario e teatrale, scrittore e autorevole firma del “Corriere della Sera”, individua le tracce della città di Roma nell’opera di Pasolini. Disseminate nei versi e nelle prose di romanzo, esse diradano e infine scompaiono a partire dal 1968, quando la topografia della città cede il passo alla più impellente necessità polemica dell'”attacco al Palazzo”.

Pasolini, quei canti per Trullo e Borgo
di Franco Cordelli

www.corrieredellasera.it 29 dicembre 1999

Prima che, divenuto egli stesso un uomo ricco di potere oltre che di potenza, desse l’assalto al Palazzo, Pier Paolo Pasolini non ebbe soltanto, come suona il titolo di una sua poesia, una Riapparizione poetica di Roma (1), ma una serie di apparizioni vere e proprie. Sulla base di queste apparizioni si potrebbe tracciare una mappa della città di Roma tra gli anni Quaranta e Settanta o, per essere precisi, fino al 1968.
Il primo luogo di Roma che appaia in una poesia di Pasolini è, ironia del destino, Valle Giulia («Nel tremito d’oro, domenicale / di Valle Giulia, la nazione è calda, /  silenziosa») (2). L’ ironia consiste nel fatto che proprio dedicata a Valle Giulia, allo scontro tra poliziotti e studenti del primo marzo, Pasolini scrisse la famosa e contestatissima poesia con cui si apre, direi, una fase nuova: che ho definito di assalto al Palazzo.
Già in Poesia in forma di rosa del 1964 compaiono sempre più spesso nomi di luoghi lontani, africani o mediorientali. E in Trasumanar e organizzar del 1971 non c’è più che la Via Prenestina («Ahi, cane, fermo sul ciglio della Via Prenestina») (3).
Prima però tra la Valle Giulia di Picasso (così è intitolata la poesia), quella dunque della bellezza moderna, e la Valle Giulia della rivolta e della vita nuova Roma è in cammino. Una scoperta continua, un divenire inesausto: come di chi l’abbia percorsa a piedi, di giorno e di notte, instancabile, ossessivo, bramoso di appropriarsi di una realtà sconosciuta.

Roma. Il gasometro
Roma. Il gasometro. Foto di © Paolo di Paolo (1960)

Nel primo libro di versi, Le ceneri di Gramsci del 1957, ecco allora le officine di Testaccio, le curve del Tevere, i tufi del Macello, il caldo mare di Fiumicino, Monteverde Vecchio nel sole, i viali del Gianicolo. (Sono anche grosso modo i luoghi più vicini alla prima abitazione romana di Pasolini).
Nel secondo libro, La religione del mio tempo del 1961, tornano alcuni luoghi di Monteverde, come Donna Olimpia, i bastioni del Vascello, Villa Sciarra («gioie mattutine di Villa Sciarra») (4) e, più sotto, le spallette di Ponte Sublicio e di Ponte Garibaldi. Ma il raggio di visione si allarga alla opposta periferia della città, fino al capolinea di Rebibbia, ai muraglioni del Verano, a Portonaccio e ai “quartieri tranquilli”, via Mascagni, piazza Bologna… Oppure, di notte, le Terme di Caracalla; o di giorno, in pieno accecante sole, la Casilina.
La Casilina in Poesia in forma di rosa diventa, come dicevo, alla lettera “le Casiline del mondo”: che a Roma sono ancora il Prenestino e le sue case, l’Appia, la Tuscolana («giro per la Tuscolana come un pazzo») (5); ma anche Borgo, il Trullo, che è dove si gioca a pallone, Prati e, incredibile a dirsi, Nino in via Borgognona o Nino in via Rasella.
Molti “luoghi”, è da presumere, non ci sono più; o hanno altri nomi. Che sarà mai del Silver Cine? E che sarà di quel Bar Duemila che allora, ai tempi di Una vita violenta, nel 1959, era dal vero Duemila un po’ più lontano di adesso?
Nel suo secondo romanzo, la mappa della città è nello stesso tempo più ristretta e più dettagliata. Si comincia da Montesacro e dalla Batteria Nomentana (“dove la cloaca del Policlinico sbocca nell’Aniene”), ma anche da Casal Bertone, da Casal dei Pazzi e dal Monte del Pecoraro e si finisce di nuovo nei pressi di Monteverde, se la memoria non mi inganna, al San Camillo, al Forlanini.
Non resta da dire che del primo romanzo, di Ragazzi di vita. Vi è un’epica anche topografica dei “ragazzi di vita”: che abbraccia i Mercati generali, San Paolo, il Ponte Bianco, Ponte Sisto, di nuovo Ponte Garibaldi (e il Ciriola): fino al Forte di Pietralata e al Prato della Casilina.
In Petrolio diventerà il Pratone della Casilina: là dove l’ uomo che aveva conseguito il massimo della potenza sempre tornava e si piegava, come per una espiazione indicibile, oscura: come oscuri furono gli anni in cui pronunciò le parole sue più importanti e in cui, presto, troppo presto finì la sua vita.

Note
1 – E’ il titolo di una poesia in La religione del mio tempo, in Tutte le poesie, a cura di W. Siti, I, “Meridiani”       Mondadori, Milano 2003, pp.915-918.
2 – Picasso, in Le ceneri di Gramsci, in  Tutte le poesie, I, cit., p. 787.
3 – Comunicato all’Ansa (Un cane), in Trasumanar e organizzar, in Tutte le poesie, II, cit., p.79.
4 – La religione del mio tempo, quarta sezione, in Tutte le poesie, I, cit., p. 971.
5 –  Poesie mondane, in Poesia in forma di rosa, in Tutte le poesie, I, cit., p. 1099.