Il 21 novembre 1975, a poche settimane dall’omicidio di Pasolini all’Idroscalo di Ostia, il settimanale “l’Europeo” pubblicò una celebre contro-inchiesta sui retroscena poco chiari di quel delitto, di cui si era subito dichiarato unico responsabile Pino Pelosi. Un gruppo di giornalisti (Paolo Berti, Duilio Pallottelli, Gian Carlo Mazzini) cominciarono così a sollevare dubbi su quella versione, a interrogarsi sulla possibilità della presenza di altri aggressori, a evidenziare le falle e le contraddizioni delle indagini su un fatto archiviato frettolosamente come sordido incidente “di vita”. “Pagine corsare” ha pubblicato questi articoli (confluiti nel 1992 anche nel volume collettivo Omicidio nella persona di Pasolini Pier Paolo, Kaos Edizioni di Milano), insieme alla perizia medico-legale sul corpo di Pasolini, stilata dal professor Faustino Durante.
La controinchiesta dell’«Europeo» del 21 novembre 1975
I. L’incredibile reo confesso
di Paolo Berti
Pasolini non è stato ucciso da una persona sola. Lo ha scritto Oriana Fallaci sull'”Europeo” la settimana scorsa. Ma ora persino i due difensori nominati per primi da Giuseppe Pelosi, detto “Pino la rana”, incredibile reo confesso del delitto, si dichiarano convinti che le cose non stanno come il ragazzo le ha raccontate ai giudici quando si è accusato. Dicono, prima di essere estromessi dal processo, gli avvocati Tommaso e Vincenzo Spaltro: «Noi concordiamo con le notizie date dall”‘Europeo” che sul posto del delitto c’erano altre persone. La storia raccontata dalla Fallaci ci persuade in questo senso: noi siamo convinti che Giuseppe Pelosi non è l’assassino, per la semplice ragione che non ha la capacità fisica né psichica di commettere un omicidio. E anche per altri motivi».
Ribattiamo che “Pino la rana” ha confessato, ha ripetuto la sua confessione. Non una volta soltanto ha detto al giudice che lo interrogava: «Sono stato io, io solo, per queste e queste ragioni, e ho fatto cosi e così».
Aggiungiamo che, a questo punto, tra testimoni che parlano e poi ammutoliscono e si nascondono per il terrore, tra gente che “sa”, che dice di voler dire e poi al momento di parlare se la fa addosso dalla paura e tace quasi tutto, tra avvocati che litigano (l’altro difensore, Rocco Mangia, abbraccia infatti in pieno la versione di “Pino la rana” e sembra puntare a farne una specie di santa Maria Goretti) ci sembra di assistere a un film sulla mafia.
Tommaso e Vincenzo Spaltro stanno zitti per qualche momento. Poi dicono: «Avete dato una buona descrizione dell’atmosfera di questo delitto».
Ma il fatto è che la confessione di “Pino la rana” fa acqua da tutte le parti e che qualsiasi Pubblico ministero in tribunale la potrà demolire con una mano sola.
Dopo essere stato incriminato, Giuseppe Pelosi ricevette in carcere tre telegrammi. Due erano firmati “Giuseppe” e gli consigliavano di nominare difensori gli avvocati Spaltro. Il terzo, che gli fu consegnato nelle prime ore della sera di lunedì 3 novembre, diceva: «Nomina tuo difensore di fiducia l’avvocato Rocco Mangia. Ti siamo vicini. Papà e mamma». Pelosi segue entrambi i consigli. Chi è “Giuseppe”? È un vecchio cliente degli Spaltro, amico di certi parenti di “Pino la rana” ed egli lo conosce bene.
Ma il fatto cruciale accade alcuni giorni dopo, venerdì 7 novembre. Nello studio degli Spaltro si presenta un altro vecchio cliente, un omosessuale che frequenta il milieu di piazza dei Cinquecento e del Colosseo. Dice che la verità sul delitto è un’altra: Pasolini è stato ucciso perché da qualche tempo ai “ragazzi di vita” andava facendo delle domande sugli uomini che li sfruttano, sul racket degli omosessuali, insomma sui magnaccia dei “puttani”. L’uomo se ne va (protetto nella sua identità dal segreto professionale dei due legali) e Tommaso e Vincenzo Spaltro si guardano: Giuseppe Pelosi durante l’interrogatorio non aveva forse dato l’impressione di star recitando una lezione imparata male? E qui il nostro colloquio con loro finisce, arenato sulle secche del segreto istruttorio.
Ma, se Pelosi ha mentito ai giudici, cosa è accaduto in realtà nella sanguinosa notte tra sabato 1 e domenica 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti? Come va riscritto il copione di questo dramma? Pier Paolo Pasolini, il poeta: è la vittima designata, l’uomo cui bisogna mettere un sasso in bocca. Giuseppe Pelosi, detto “la Rana”, il ragazzo di vita: è insieme l’esca e il capro espiatorio predestinato. Gli uomini dell’organizzazione: sono i killer che in una volta sola distruggono due vite, quella di Pasolini e quella di Pelosi che con il ricatto, le minacce, le lusinghe costringono ad addossarsi un ruolo infame e a scendere nella tragedia del carcere, della condanna, della esclusione. I ruoli di Pasolini e di Pelosi sono chiari. Ammettiamo che quelli dei killer possono essere stati anche diversi. Possono essere stati quelli dei rapinatori: i carabinieri indagano su una estorsione subita da Pasolini tempo fa e Oriana Fallaci nelle pagine successive racconta i dettagli di questo fatto. Possono essere stati quelli dei “vendicatori” della scarsa generosità e delle mancate promesse di Pasolini. “L’Europeo” ha riferito come questo proposito fosse radicato tra i “marchettari” del Colosseo: «Prometteva sempre mare e monti, diceva che mi avrebbe dato una parte in un film, pagava male e poi non stava ai patti».
Passiamo al copione. Tutte le battute recitate finora sono state del Pelosi Giuseppe, e tutte suonano terribilmente false. Vediamole.
Prima battuta: «lo non sapevo che l’uomo che ho ucciso fosse Pier Paolo Pasolini». «Io non lo conoscevo, cioè lo conoscevo ma non sapevo che fosse lui».
Prima bugia: ragazzi usciti dal carcere in questi giorni hanno raccontato che Pelosi, quando vi fu portato sotto la semplice imputazione di furto d’auto e prima di essere collegato all’omicidio, disse ai compagni di cella: «Ho ammazzato Pasolini». Durante il primo interrogatorio per l’omicidio, Pelosi, riferendosi a Pasolini, diceva continuamente: «Paolo». «Paolo ha fatto così», «Paolo mi ha picchiato». «Paolo voleva da me». E nel secondo interrogatorio che Pelosi comincia a usare altre espressioni: «quel signore», «quel tale», «quell’uomo» e infine «quel sadico». Dice: «Quel sadico mi voleva massacrare. Me lo sogno di notte tutto coperto di sangue. E mi viene da ridere».
Seconda battuta: «Io non conoscevo la zona di San Paolo dove Pasolini mi ha portato a cena e poi ha fatto benzina».
Seconda bugia: Giuseppe Pelosi ha in quella zona dei parenti stretti. tanto stretti che presso di loro, in via Cesarea 23, sono andati a rifugiarsi i suoi genitori per sottrarsi alla caccia dei cronisti. Il distributore dove Pasolini fece benzina è proprio nei pressi. E illecito chiedersi le ragioni di questa menzogna? Chi propose di andare a cena da quelle parti? Pasolini o Pelosi, che poteva aver avuto l’ordine di compiere una tappa intermedia in un luogo noto ai margini della città per consentire il “riaggancio” agli inseguitori che in centro correvano il rischio di perdere di vista la macchina a un semaforo o per un altro qualsiasi contrattempo’?
Terza battuta: «Maresciallo, ho voglia di fumare, per favore mi mandi a prendere le sigarette che ho lasciato in macchina e, già che ci siamo, faccia guardare se trovano il mio anello, un anello grosso con scritto “United States of America”».
Terza bugia: la scritta sull’anello è “United States Army”. La sua particolarità, quella che lo può rendere interessante a un ragazzo di quel tipo, è proprio nel fatto di essere un oggetto “militare”. Se Pelosi è tanto affezionato all’oggetto, se lo conosce tanto bene, come fa a sbagliare? A parte che, come spiega Oriana Fallaci nel suo articolo, è praticamente accertato che Pelosi non lo poteva perdere così come ha raccontato.
Quarta battuta e quarta bugia: «Quell’uomo, quando è sceso, si è levato gli occhiali che aveva lasciati in macchina».
Ripetizione della prima battuta: «Non sapevo che lui fosse Pasolini».
Quinta bugia: Pelosi ammette successivamente che nel momento in cui stava per andarsene da piazza dei Cinquecento con Pasolini ci fu una discussione sul fatto. Un altro “corteggiatore” gli disse: «Non andare con quello che ti fa male». Possibile che non gli abbia detto anche chi era “quello”, visto che lo conosceva? Risponde Pelosi: «Può darsi, ho sentito qualcuno che diceva Pa… Ma il resto della parola è andato perduto nella discussione». E’ verosimile?
Questa somma di evidenze, ma anche se fossero soltanto indizi, impone che non si aspetti il dibattimento processuale per procedere agli accertamenti e alle verifiche necessarie. Quando il Pubblico ministero di udienza e la parte civile faranno queste contestazioni a Pelosi, troppo tempo sarà passato, troppe prove saranno state cancellate, troppi silenzi assicurati. Pelosi pagherà più caro, volerà per aria uno straccio, sarà colpito uno strumento, non il braccio che lo ha manovrato.
Le indagini di polizia hanno avuto carenze enormi, lo raccontiamo in questo numero. La magistratura inquirente ha ancora modo di correre ai ripari.
Frattanto non risulta che a Pelosi sia stata posta una domanda non secondaria: nel momento in cui scappò con la macchina e investì il corpo di Pasolini, aveva i fari accesi o spenti? E come mai si mise a correre come un pazzo e contromano? L’agitazione del momento, si dirà, l’ansia folle di allontanarsi dal luogo del delitto. E vero, però c’è un “ma”: da anni Pelosi guidava senza patente una 850 e per non farsi “beccare” era di una prudenza e di una disciplina ossessive, addirittura da “gentiluomo della strada”. Proprio nel momento in cui l’aveva fatta tanto grossa ha cambiato comportamento?
Forse è la sesta bugia, la bugia che fa il paio con quella dell’anello. Un altro modo per dire: «Eccomi qua, il caso è semplice ed è chiuso: avete un cadavere, un movente plausibile e un reo confesso». Ma per dirlo “in conto terzi”.
II. Pelosi e gli avvocati
di Paolo Berti
Nelle prime ore del pomeriggio di lunedì 10 novembre, Giuseppe Pelosi, “la Rana”, è entrato nell’ufficio matricola del carcere minorile di Casal del Marmo a Roma e ha chiesto; «Datemi un “Modello 13″». Sul modulo ha scritto, con una insospettata padronanza del linguaggio curialesco: «Revoco le nomine relative agli avvocati Vincenzo e Tommaso Spaltro. Si conferma, invece, la nomina dell’avvocato Rocco Mangia del Foro di Roma»). Poi ha firmato: «Il minore Pelosi Giuseppe». Cosa c’è dietro questa decisione della “Rana”? Quale ne è il fine ultimo e a chi gioverà? Non sono domande oziose.
Dietro la decisione di Giuseppe Pelosi c’è il fatto che, inopinatamente, quella mattina gli è stato concesso di incontrarsi con i suoi genitori, Maria Paoletti Pelosi e Antonio Pelosi. Questa visita appare singolare per due motivi. Primo: perché è stato concesso il permesso di colloquio ai genitori e non anche agli avvocati, come avviene normalmente. Secondo: perché in tal modo il giudice incaricato del caso ha dimostrato di ritenere chiuse le indagini e di non voler tenere in alcun conto ogni altra ipotesi sul delitto, nonostante la crescente ondata di dubbi che da ogni parte si sta alzando sulla versione data dalla “Rana” e sul modo in cui le indagini della polizia l’hanno verificata.
E’ fuori di dubbio che il delitto Pasolini non è un delitto politico. Scrivere sui muri: «Pasolini uguale Matteotti» è delirante. Ma è altrettanto certo che la gestione del processo sarà politica; sarà la possibile occasione per demolire l’intera figura di Pasolini, per infangare anche il suo impegno nella società italiana, le idee che egli portava avanti. La linea di difesa di Pelosi che ora verrà sostenuta, e che a noi sembra contro l’evidenza dei molti fatti che noi esponiamo su questo giornale, mirerà proprio a questo: Pasolini e un mostro corruttore. Pelosi è uno che ha difeso il proprio onore e la propria integrità. È casuale che il paladino di questa tesi sia l’avvocato difensore dei fascisti che ammazzarono la ragazza al Circeo, «Rocco Mangia del Foro di Roma», come ha scritto «il minore Pelosi Giuseppe»?
III. Non si escludono ipotesi diverse nella meccanica dell’uccisione di Pasolini
di Duilio Pallottelli
Per i risultati finali delle ricerche medico-legali eseguite sul corpo di Pier Paolo Pasolini e per le risposte che dovrebbero venire dall’esame scientifico degli indumenti insanguinati, dei corpi contundenti rinvenuti (una tavola e un bastone), dei frammenti organici rilevati sull’automobile dello scrittore, ci vorranno ancora venti giorni. Forse, quando avremo in mano questi risultati, si potranno stabilire alcuni punti fermi irreversibili nella meccanica del delitto. Forse qualche ombra verrà dissipata.
Per ora, in questo delitto che ventiquattro ore dopo esser stato commesso veniva considerato beatamente risolto, si brancola nel buio. Accade di tutto. La polizia torna in massa sulla scena del crimine a cercare quelle prove e quei testimoni che doveva cercare una settimana fa. Le ricostruzioni, fatte non sempre da competenti, si moltiplicano. Indagini partite in ritardo puntano a destra e a sinistra senza un apparente fondamento logico. Gli amici di Giuseppe Pelosi che quella tragica sera del primo novembre erano con lui in piazza dei Cinquecento affermano che c’erano andati per caso. Stavano facendo una passeggiata e, con tutta Roma a disposizione, erano finiti proprio in una delle zone più equivoche e pericolose della città. Fra poco verrà fuori qualcuno che giurerà che Pasolini è morto per un banalissimo incidente stradale.
La storia raccontata da Giuseppe Pelosi, questa strana, confusa, precipitosa confessione, appare sempre più fragile. In certi ambienti di Roma, gli stessi nei quali è maturata la tragica vicenda, c’è un vero e proprio terrore.
Noi dell'”Europeo” abbiamo registrato per primi tutte le discordanze e le sfasature della versione ufficiale dei fatti, abbiamo raccolto testimonianze, e ci siamo chiesti se non esistesse una verità diversa da quella che ci veniva fornita.
Oggi son ben pochi coloro disposti a credere ciecamente alla storia di Pino “la Rana”.
Esaminare il delitto dal punto di vista strettamente “tecnico” è complicato per la mancanza di dati definitivi e per l’assoluto caos in cui è andata avanti la raccolta di questi dati. Basta pensare che soltanto sei giorni dopo il delitto è stato “trovato”, per caso supponiamo, un golf insanguinato nell’auto di Pasolini. Basta questo fatto da solo per dimostrare con quanta incuria siano stati eseguiti i rilievi tecnici. Poi c’è la strana storia del bastone. Bastone che, al contrario di tutto il resto, la polizia non ci ha fatto ancora vedere. Mentre sono state diffuse fotografie dettagliatissime della tavoletta con cui Pasolini è stato colpito, della camicia insanguinata, dell’anello di Pino “la Rana” che si sarebbe sfilato da solo durante la colluttazione, dell’automobile di Pasolini, la foto del bastone, incomprensibilmente, manca.
In un primo momento si era detto che il bastone era stato usato da Pasolini per colpire il ragazzo. Infatti, si sosteneva, era proprio con questo bastone che lo scrittore aveva causato la ferita alla fronte del Pelosi provocando la spietata reazione del ragazzo. Ora invece si afferma che il Pelosi stesso avrebbe cominciato a picchiare con quell’arma e che l’avrebbe poi abbandonata perché si era spezzata.
Il primo a manifestare qualche dubbio sulla faccenda, dal punto di vista medico-legale, è stato il professor Faustino Durante, perito di parte civile. «Per carità, non mi metta in bocca affermazioni categoriche», dice il professor Durante, «c’è già abbastanza confusione in giro su questo caso. Per parte mia ho solo inteso sottolineare che, osservando il corpo di Pasolini, non si possono escludere ipotesi diverse, per quanto remote, sulla meccanica dei fatti».
La concentrazione delle lesioni sul corpo di Pier Paolo Pasolini è tutta nella parte superiore del corpo: le braccia e la testa. Negli arti inferiori non sono state riscontrate lesioni. Ciò indica abbastanza chiaramente un atteggiamento difensivo della vittima. Il tipo delle ferite e delle contusioni fa pensare a uno o due mezzi contusivi. L’ipotesi che si tratti soltanto del misterioso bastone (misterioso perché la polizia sembra volerlo nascondere) e della molto reclamizzata tavoletta appare del tutto verosimile. Sul corpo di Pasolini non esistono assolutamente tracce di colpi a stampo: ciò esclude categoricamente l’uso di catene, sbarre di ferro o martelli.
Le lesioni sono di due tipi: alcune provocate da un corpo contundente non molto largo (il bastone), altre dalla tavoletta. Le mani sono nere, ecchimotiche, e sulle braccia e sulle mani sono state rilevate tracce della vernice della tavoletta. Il bastone è stato trovato a settanta-ottanta metri dal corpo. È lungo circa ottanta centimetri, mezzo marcio, presenta tracce di sangue e di capelli. La tavoletta è stata invece raccolta vicino al cadavere.
Ciò fa presumere che l’azione delittuosa si sia svolta in due tempi: l’assassino (o gli assassini) ha prima usato il bastone che a un certo punto si è spezzato. Pasolini intanto si è spostato verso la strada asfaltata, è caduto a terra, ed è stato quasi finito con la tavola. Ma a questo punto c’è da porsi una domanda fondamentale: come faceva Pasolini a percorrere ottanta metri avendo ricevuto, come primo colpo, un terribile calcio al basso ventre (documentato dall’autopsia) che avrebbe steso a terra un uomo anche più forte e resistente di lui?
Se gli assassini fossero stati in tre si potrebbe azzardare un’ipotesi: due lo tenevano fermo per le braccia mentre il terzo lo picchiava. In questo caso troverebbe una spiegazione anche l’interrogativo precedente. Cioè come Pasolini abbia potuto percorrere ottanta metri nelle condizioni in cui era. Se gli assassini erano invece tre, lo avrebbero potuto trasportare facilmente nel punto in cui è stato poi schiacciato dall’automobile.
D’altra parte mancano sul corpo di Pasolini le tipiche tracce di un pestaggio eseguito da più persone. Come s’è detto, i colpi sono tutti nella parte superiore del corpo, sulle braccia e sulla testa. Se fosse stato un pestaggio i segni sarebbero evidenti dappertutto. C’è poi il particolare degli occhiali. Gli amici intimi dello scrittore sostengono che egli non sarebbe mai sceso dalla macchina, anche in piena notte, senza infilare gli occhiali che sono stati trovati all’interno dell’automobile.
Ciò potrebbe avvalorare il sospetto che Pasolini non sia sceso di sua volontà, ma che sia stato tirato giù dalla macchina con la forza. Se Giuseppe Pelosi ha avuto dei complici, dunque, non è improbabile che sia andata nel modo che abbiamo descritto: mentre due persone bloccavano Pasolini imprigionandogli le braccia, Pelosi lo massacrava. In un primo tempo col bastone, poi con la tavola schiodata dalla staccionata vicino alle capanne.
È bene sottolineare che si tratta di una ipotesi, anche abbastanza remota, ma che non si può escludere a priori osservando il cadavere di Pasolini. Lo scrittore è morto perché il suo cuore è scoppiato quando le ruote dell’Alfa 2000 (presumibilmente l’anteriore sinistra e la posteriore sinistra) gli sono passate sopra schiacciandolo. Negli ultimi giorni si è parlato molto di una retromarcia che il Pelosi avrebbe effettuato passando per due volte sopra il corpo di Pasolini. Non c’era nessun bisogno di effettuare una retromarcia vicino al corpo di Pasolini. La macchina era molto distante, poteva girare benissimo dove era parcheggiata e, una volta in marcia, era molto improbabile che finisse sul corpo inerme “per caso”. Nel punto in cui giaceva Pasolini lo sterrato è molto ampio e la vettura poteva scorrere comodamente di fianco. Se è passata sopra al corpo di Pasolini vuol dire che c’è stata una leggera deviazione a sinistra ed è una manovra che molto difficilmente può essere accaduta per caso. La retromarcia è dunque un particolare che non ha senso. Come non sembra sensato affermare che la macchina è passata due volte sul corpo dello scrittore: se ciò è avvenuto, i due passaggi si sovrappongono in maniera perfetta. È una cosa che capita una volta su un milione.
Non ci si accusi adesso di teorizzare sul vago, di prospettare ipotesi fantastiche. Non è colpa nostra se a più di otto giorni dal delitto la macchina che ha ucciso Pasolini non è ancora stata esaminata dai periti.
È stata tenuta aperta, senza nemmeno un telone sopra, nel garage dei carabinieri di Ostia. Può darsi che tracce importantissime siano andate irrimediabilmente perdute. Questi sono fatti, non chiacchiere. Né la polizia, per quanto ne sappiamo, si è mai accorta che la confessione di Giuseppe Pelosi presentava delle lacune a dir poco sospette.
La violenza iniziale di Pasolini, del resto, non sembra trovar riscontro sul corpo di Giuseppe Pelosi. Il ragazzo ha un taglietto sulla testa, e qualche ammaccatura che potrebbe però essersi procurata al momento dell’arresto nella colluttazione con i carabinieri. Il taglio può esser dovuto all’urto del Pelosi contro il volante della macchina quando i militi l’hanno mandato fuori strada. L’ha ammesso egli stesso di aver sbattuto la testa sul volante.
D’altra parte se Giuseppe Pelosi fosse stato ferito fin dall’inizio e avesse perso molto sangue i suoi indumenti dovrebbero essere intrisi del suo stesso sangue. Ma, fino a questo momento, non si sa perché gli indumenti del Pelosi non sono stati mostrati ai periti.
Poi, dal punto di vista medico-legale, c’è il fatto clamoroso dell’anello. Poteva o non poteva sfilarsi da solo, quest’anello, durante una colluttazione? A questa domanda risponde il perito della difesa professor Francesco De Sando.
«Io invito la gente a ragionare con calma», afferma il professor De Sando, «e ad attendere con pazienza i risultati della perizia. Fino a quando i risultati non saranno in nostra mano, ogni supposizione, ogni teoria, rischia di essere smentita. Lei dice l’anello. È pazzesco affermare che “l’anello non si può sfilare da solo”. Prima di dirlo è necessario vedere in che modo questo anello fasciava il dito di Pelosi. Gli andava largo? Gli andava stretto? È una prova che ancora non abbiamo effettuato. La miglior cosa che possiamo fare per il momento è tenere la bocca chiusa. Tutti. Vedremo fra qualche giorno se la realtà biologica corrisponde a quello che ci ha raccontato il ragazzo».
Ma secondo lei, professore, è possibile che da quel taglietto in fronte sia uscito tanto sangue da far perdere la testa al Pelosi? La confessione dice proprio così: «Quando ho visto tutto quel sangue ho perso la testa».
«Prima di tutto noi periti non abbiamo esaminato un taglietto. Abbiamo riscontrato una cicatrice sulla fronte del Pelosi. Il taglietto l’ha visto il medico del Pronto soccorso di Ostia la notte del delitto. Per quanto ne so io, d’altra parte, da una ferita alla testa, per quanto piccola, può scaturire una enorme quantità di sangue. Non dimentichi che sotto il cuoio capelluto c’è una vastissima rete di vasi sanguigni. Posso aggiungere un’ultima cosa come perito della difesa. L’indagine del collegio peritale è stata scrupolosa e pignolissima. Non è stato trascurato alcun particolare. Tutti i prelievi sono stati effettuati. Il diritto della difesa è stato rispettato in pieno».
IV. I sei errori della polizia
di Gian Carlo Mazzini
Una serie di errori ha intralciato il normale svolgimento delle indagini sulla morte di Pasolini, nelle prime quarantott’ore dopo il delitto. Solo una coincidenza fortunata, il posto di blocco sul lungomare di Ostia dei carabinieri, ha permesso di mettere le mani su Pelosi, confessatosi in un primo tempo ladro di auto, poi assassino. Se la gazzella dei carabinieri non avesse bloccato l’Alfa GT che aveva imboccato a folle velocità una direzione vietata, adesso probabilmente saremmo molto più lontani dalla verità.
E, in fondo, non ci sarebbe poi troppo da meravigliarsi, pensando a come si sono mossi e intralciati polizia e carabinieri nelle prime indagini. Solo da giovedì 6 novembre, a settantadue ore di distanza dal ritrovamento del cadavere di Pier Paolo Pasolini, la collaborazione delle forze dell’ordine è diventata più stretta: da quando cioè, anche loro hanno capito che i punti oscuri, i dubbi e le incertezze erano troppi e che il fatto di avere sotto chiave l’autore confesso di un omicidio, un cadavere e le armi di un delitto, non erano sufficienti a far archiviare la “pratica” Pasolini classificandola come omicidio nel mondo del vizio.
Almeno sei errori costellano le prime indagini. Li elenchiamo.
- Alle 6.30 di domenica mattina 2 novembre arrivano su una stradetta di terra battuta all’idroscalo tra Ostia e Fiumicino due Giulia della polizia, avvertita della presenza di un cadavere dal figlio di un proprietario delle baracche che sorgono nella zona. Trovano una piccola folla intorno al corpo, che non pensano minimamente d’allontanare. Tantomeno circondano la zona per bloccare il passaggio. Alle 9 infatti nel rudimentale campo di calcio, a pochi metri dal cadavere di Pasolini, almeno una ventina di ragazzi in magliette e pantaloncini sono impegnati in una partita di pallone che ogni tanto esce dal rettangolo di gioco e che viene rimandato a calcioni dagli stessi agenti. Pochi metri dietro una delle due porte, quella a sud, l’esame sommario del terreno fa scoprire un bastone rotto, insanguinato, con tracce di capelli e cuoio cutaneo e la camicia di Pasolini imbrattata inverosimilmente di sangue sulle spalle fino alla cintola. Tutte le altre eventuali tracce sono andate perdute dal passaggio di macchine e pedoni diretti o alle altre baracche o al campo di gioco, oppure da curiosi. È stato impossibile fare i calchi dei copertoni della macchina di Pasolini e ricostruire l’itinerario. Come non si è potuta accertare la presenza di altre macchine o motociclette.
- Nessuno ha pensato di tracciare sul foglio quadrettato a disposizione degli inquirenti i punti esatti dei vari ritrovamenti, che di solito vengono contraddistinti da lettere dell’alfabeto. I carabinieri intanto avevano trasferito Pelosi, confessatosi ladro della GT metallizzata, al carcere per minorenni di Casal del Marmo (appena arrivato in cella, pare che lo stesso Pelosi si sia vantato con i suoi compagni di aver ammazzato Pasolini), e cercavano sulla macchina un anello che Pelosi aveva detto di aver perso. Alle 9 circa è arrivata alla stazione dei carabinieri di Ostia la segnalazione che era stato trovato Pasolini assassinato. E lì, all’Idroscalo, mandano una pattuglia a cercare l’anello di Pelosi: l’aveva raccolto un maresciallo della polizia di Ostia che se l’era messo in tasca. In quale punto lo aveva trovato? La risposta non può essere stata che vaga.
Fino alle 9, insomma, i carabinieri avevano un ladro di auto con la macchina, e la polizia un cadavere che non sapevano com’era arrivato sul luogo. - Fino a giovedì, la macchina di Pasolini era sotto una tettoia nel cortile di un garage dove i carabinieri di solito ricoverano le macchine sequestrate, aperta e senza sorveglianza. Del resto era solo la macchina rubata da un ladro. Chiunque avrebbe potuto mettere o levare indizi, lasciare o cancellare impronte. Alla squadra scientifica è arrivata solo giovedì.
- Sul luogo del delitto, la polizia è ritornata solo nella tarda mattinata di lunedì 3 per tentare una ricostruzione del caso, ma senza nessuna misura precisa, con le tracce ormai inesistenti, e ha tentato di ricostruire sia l’investimento mortale di Pasolini che la fuga di Pelosi non con l’Alfa GT del morto ma con una normale Giulia. Ora, la strada dov’è stato ritrovato il corpo di Pasolini è percorsa longitudinalmente da profondissime buche, che, a detta di esperti, è quasi impossibile superare con una GT notevolmente bassa senza toccare il terreno almeno con la coppa dell’olio. La notte tra domenica e lunedì, infine, la zona non era vigilata.
- Solo da giovedì gli investigatori hanno cominciato a interrogare gli abitanti delle baracche e i frequentatori della Stazione Termini. Perché? Avevano archiviato tutto? Consideravano chiuso il caso? Non li interessava andare più a fondo nelle indagini?
- Sul luogo del delitto non è mai stato chiamato il medico legale. È chiaro che polizia e carabinieri, certi di trovarsi di fronte a un normale caso di omicidio a sfondo sessuale, con l’assassino già in carcere, hanno ritenuto superfluo ogni accertamento sul cadavere che poteva invece servire per le successive indagini.
Queste, ora, ripartono più o meno da zero. L’ipotesi che a uccidere Pasolini non sia stato solo Pino Pelosi si fa strada anche negli inquirenti. Le testimonianze raccolte dall”‘Europeo” non sembrano più nemmeno ai poliziotti così fantastiche. Così come un delitto che sembrava solo quello di un ragazzo di vita prende un’altra consistenza.
V. Perizia medico-legale sul corpo di Pasolini
Professor Faustino Durante
Note di parte alla relazione peritale d’ufficio
Sormontamento del corpo di Pasolini da parte della propria autovettura.
Per incarico dell’avv. Antonio Marazzita ho preso visione della relazione peritale d’ufficio dei proff. Silvio Merli, Enrico Ronchetti, Giancarlo Umani Ronchi, sulla morte di Pier Paolo Pasolini, e redigo qui di seguito la mia relazione tecnica.
Va anzitutto premesso che una corretta ricostruzione delle modalità con le quali si è verificato tale evento lesivo non può prescindere dall’attento esame dei seguenti elementi: 1) le fotografie eseguite sul posto prima della rimozione del cadavere per uno studio sia della posizione del corpo nel suo insieme, nei singoli segmenti (capo, arti superiori, tronco, arti inferiori) e rispetto ai luoghi, sia alla posizione delle vesti ancora indossate dalla vittima, e sia delle lesioni corporee visibili, nonché delle tracce di pneumatici in tutto il loro percorso fino al cadavere: 2) le lesioni cutanee, sottocutanee, ossee e dei visceri endotoracici (cuore) ed endoaddominali (fegato); 3) le strutture metalliche dell’autovettura. Risulta dalla relazione peritale – anche per esplicita ammissione dei periti i quali invocano l’estrema difficoltà di una particolareggiata ricostruzione – che il loro “convincimento” sulla dinamica di questo momento lesivo prende origine soltanto dalla constatazione di alcuni elementi anatomopatologici: scarsità e non uniformità delle fratture costaIi, rottura del solo cuore e non scoppio del pericardio, assenza di lesioni cutanee figurate da riferire al disegno dei pneumatici. È assente, invece, nella ricostruzione peritale, ogni riferimento alla rottura del fegato, alle caratteristiche delle singole lesioni cutanee, e soprattutto alla disposizione di ogni complesso lesivo esaminato singolarmente e nell’insieme con tutti gli altri. È altresì assente un confronto con le fotografie eseguite sul corpo di Pasolini prima della rimozione e sui luoghi circostanti il cadavere stesso.
Una accurata indagine condotta con il sistematico studio di tutti gli elementi a disposizione – secondo il metodo prima indicato – porta alle seguenti constatazioni di fatti obiettivi.
Dall ‘esame necroscopico:
a) Presenza di “materiale ferroso” sulla canottiera, sul capo, sul collo, sulle spalle e sugli arti superiori «specie alle superfici laterali» (pagg. 4 e 5 della relazione peritale). Tale materiale non è presente sulla parte inferiore della canottiera e sui pantaloni.
b) Presenza di due larghe e del tutto simili escoriazioni ecchimotiche comprendenti soluzioni di continuo alle regioni frontali laterali (pagg. 6, 11, 12, 14 della relazione).
c) Ecchimosi escoriata della regione zigomatica e masseterica di sinistra (pag. 5 della relazione).
d) Frattura in due punti della branca orizzontale di sinistra della mandibola e lussazione dell’articolazione temporo-mandibolare di sinistra (pagg. 15 e 16 della relazione). Assenza di lesioni a carico della branca mandibolare di destra.
e) La piramide nasale risulta appiattita da sinistra verso destra (pag. 11 della relazione).
f) Lesione trasversale a carico del padiglione auricolare destro (pagg. 16, 18 della relazione). È assente qualsivoglia alterazione cutanea nelle zone superiori al padiglione auricolare stesso.
g) Interessamento della regione occipito-parietale destra da «serie duplice soluzioni di continuo lineari pressoché trasversali e parallele tra di loro della lunghezza di cm 2 e cm 4,5 essendo la prima – costituita da tre soluzioni di continuo – localizzata posteriormente alla inserzione del padiglione auricolare destro, la seconda – costituita da quattro soluzioni di continuo – localizzata più medialmente, pressoché sulla linea mediana del capo…», le lesioni sono «svasate a carico del margine inferiore», e la svasatura è «più accentuata nel gruppo situato medialmente» (pagg. 18, 19 della relazione).
h) Vasta lesione situata superiormente e posteriormente al padiglione auricolare sinistro. Tale lesione è scollata «specie nella parte inferiore» (pagg. 23, 24 della relazione).
i) Lesione al padiglione auricolare sinistro. Il padiglione è «ampiamente strappato sul suo impianto» e interessato dalla lesione stessa in corrispondenza del suo «terzo medio superiore» (pag. 25).
I) Tumefazione della regione latero-cervicale sinistra con escoriazioni seriate «prevalentemente trasversali» (pagg. 25, 26 della relazione).
m) Numerose escoriazioni sulle regioni posteriori della spalla sinistra, sulla regione dorsale in posizione o «trasversale» o «obliqua» (pag. 28 della relazione); non infiltrate e non «figurate» (pagg. 28 e 29 della relazione). «Detto complesso si estende sino alla regione lombare essendo più accentuata la infiltrazione emorragica proprio a carico delle lesioni localizzate in questa sede come alla base dell’emitorace sinistro» (pag. 29 della relazione).
n) Escoriazioni trasversali alla base degli emitoraci, anteriormente, e all’addome (pagg. 31, 32, 33 della relazione). Non inflitrate.
o) Escoriazione in corrispondenza della spina iliaca anterosuperiore di sinistra. Tale zona è ecchimotica (pag. 33 della relazione).
p) Numerose escoriazioni agli emitoraci, anteriormente, senza infiltrazione (pagg. 31, 32, 33, 34 della relazione).
q) Soluzione di continuo al braccio sinistro (pagg. 36 e 37 della relazione).
r) «Complesso lesivo a forma di grossolana losanga di cm 6 x 3 che su di un fondo ecchimotico mostra figurazioni escoriative di colore rosso-grigiastro» (pag. 37 della relazione, dorso avambraccio sinistro).
s) Complesso ecchimotico al dorso della mano sinistra con frattura di alcune falangi e lesione da taglio al primo dito (pag. 40 della relazione).
t) Frattura dello sterno a livello del III spazio; frattura della IV e V costola di destra lungo la linea emiclaveare, frattura della VII e VIII costola di destra lungo la linea ascellare posteriore; a sinistra frattura della VI e VII costola in due punti; sulla linea emiclaveare e sulla linea ascellare anteriore, frattura dell’VIII e della IX costola sulla linea ascellare anteriore. Complessivamente 10 fratture costali (pag. 48 della relazione).
u) Lacerazioni capsulari del fegato lunghe 15 e 7 cm a carico della superficie antero-laterale del lobo destro e della superficie del lobo sinistro (pag. 51 della relazione).
v) Assenza di infiltrazioni ematiche delle pareti toraciche, di quelle addominali e di ogni regione degli arti inferiori (pag. 51 e altre della relazione).
Dall’esame delle fotografie:
Il corpo di Pasolini si trova in posizione prona; la testa poggia sul terreno con le regioni laterali di sinistra, e più precisamente con la temporale, la frontale, la zigomatica e la geniena. La piramide nasale si nota schiacciata verso destra. Le regioni frontale, zigomatica e geniena di destra sono libere.
L’arto superiore di sinistra è leggermente discostato dal corpo e situato in posizione di flessione al gomito, sicché appaiono visibili: in parte il braccio nelle sue superfici latero-posteriori, il gomito stesso e porzione della superficie latero-posteriore del terzo superiore dell’avambraccio.
L’arto superiore di destra è situato sotto il corpo e di esso è visibile soltanto la superficie palmare della mano che sporge sul lato sinistro del corpo stesso.
Il cadavere indossa una canottiera che risulta parzialmente sollevata in corrispondenza del dorso e che presenta una sola lacerazione, verso il lato destro, di piccole dimensioni; pantaloni non lacerati; scarpe senza alcuna alterazione.
Si rilevano, non distintamente, le lesioni a carico del capo, e della mano di destra. Si rilevano piuttosto distintamente numerose escoriazioni seriate disposte in senso obliquo dal basso in alto e da destra verso sinistra lungo il fianco sinistro, e altre disposte meno obliquamente sulla regione dorso-lombare.
Si apprezzano abbastanza bene le impronte delle ruote di una auto fino al corpo di Pasolini, che viene raggiunto dall’impronta di sinistra pressoché a livello della regione dorso-lombare, o comunque in direzione del terzo medio dell’asse corporeo. Tale impronta di sinistra proviene sul corpo stesso in senso diagonale, dal basso in alto e da destra verso sinistra.
Dall’esame dell’autovettura di Pasolini:
Risulta dal disegno della superficie interiore dell’autovettura che il punto più basso, rispetto al piano terra, si trova a 12 cm ed è costituito dal primo silenziatore dello scarico; che a 13 cm da terra è situato il secondo silenziatore. Risulta altresì che due strutture con margini molto stretti, quali la sporgenza del longherone della fiancata sinistra e il supporto della barra di reazione della stessa fiancata, si trovano, rispettivamente, a cm 14 e a cm 13,5 dal piano terra.
Dai dati obiettivi sopra riportati si possono avanzare le seguenti considerazioni.
Le superfici posteriori e laterali del corpo di Pasolini, e più precisamente il capo, il collo, le spalle, il dorso e la regione lombare, sono interessate da gruppi di lesioni – costituite da escoriazioni più o meno infiltrate di sangue e da ferite lacere o lacero-contuse – che hanno, sia singolarmente che nel loro insieme, un andamento a volte obliquo da destra verso sinistra e dal basso in alto e a volte trasversali all’asse corporeo.
Più specificatamente i vari gruppi di lesioni vengono a costituire nel loro insieme tre fasci di linee ideali, parallele tra loro, con il seguente andamento rispetto al corpo: superiormente in corrispondenza del capo con lievissima obliquità dal basso in alto e da destra verso sinistra (dalla lesione all’orecchio destro che ne interessa il terzo inferiore alla lesione a carico dell’orecchio sinistro che ne interessa il terzo medio superiore) passando per le numerose lesioni pressoché da taglio alla regione occipitale di destra indicate quasi trasversali, e per la grossa lesione da scollamento alla regione occipito-parietale di sinistra fino al distacco del padiglione auricolare di sinistra dalla sua base di impianto. [Alle lettere f); g); h); i)]; medialmente in corrispondenza del collo, della spalla sinistra e della parte alta del dorso con andamento in parte trasversale e in parte obliquo sempre dal basso in alto e da destra verso sinistra [lettere I); m)]; inferiormente in corrispondenza della regione dorsale bassa e della regione lombare con andamento simile a quello prima descritto [lettera m)].
Siffatta disposizione delle lesioni – che già di per sé porta a ipotizzare come più verosimile l’azione di mezzi lesivi che hanno agito sempre con andamento obliquo rispetto all’asse corporeo – assume tutta la sua vera importanza se confrontata con le peculiari caratteristiche di ognuna delle stesse lesioni ora considerate e con le caratteristiche delle altre lesioni cutanee, nonché di quelle ossee e di quelle viscerali.
Iniziando dal capo e procedendo da destra verso sinistra, si richiama l’attenzione sui seguenti elementi:
– la lesione del padiglione auricolare destro è nettamente trasversale, ha le caratteristiche della lesione da taglio, o meglio lacera, e non è accompagnata ad alterazioni cutanee nella zona subito soprastante. Ciò porta a ritenerla come prodotta in senso pressoché trasversale e a escludere una azione dal basso in alto che avrebbe “strappato” il lobo stesso dal suo impianto inferiore continuando ad agire oltre il padiglione auricolare;
– tale proseguimento dell’azione lesiva esiste invece lateralmente verso sinistra, cioè sulla regione nucale adiacente, dove troviamo le numerose lesioni dirette tutte nello stesso senso, ovverossia pressoché trasversalmente o con andamento leggermente obliquo dal basso verso l’alto; tutte presentano il margine inferiore svasato, e la svasatura stessa è maggiore in quelle lesioni che sono situate pressoché medialmente nella regione nucale. Questa caratteristica è dovuta a due fatti: anzitutto tale zona è più alta rispetto al piano terra e quindi il mezzo lesivo nel suo procedere in avanti vi ha agito con maggiore profondità; e in secondo luogo in questo punto la regione nucale assume un più pronunciato andamento a scivolo verso il basso sicché il mezzo lesivo è venuto ad attingere una superficie piuttosto convessa;
– ancora più a sinistra, verso la regione occipito-parietale sinistra, la vasta lacerazione a lembo è scollata nella parte inferiore e lateralmente e si prosegue con il distacco del padiglione auricolare dalla sua inserzione. Il padiglione auricolare è quindi a sua volta sezionato trasversalmente.
Queste caratteristiche delle lesioni al capo fin qui ricordate portano a ritenere come nel momento in cui l’automezzo superò il corpo di Pasolini, questi poggiasse sul piano terra le superfici di destra del capo stesso sicché le prime strutture metalliche attinsero subito la regione parieto-occipito- auricolare di sinistra dove produssero la vasta lacerazione al cuoio capelluto e la lesione del padiglione auricolare; contemporaneamente impressero alla testa un movimento di rotazione, cosicché vennero attinte da altre strutture metalliche le superfici nucali centrali e di destra; una volta presentatesi le superfici di destra del volto, successive strutture metalliche lacerarono trasversalmente il padiglione auricolare di destra.
Per eseguire ora un confronto di tale ricostruzione con le caratteristiche di altre lesioni ricordiamo principalmente: le ecchimosi escoriate, con caratteri del tutto simili tra loro, situate sulle regioni frontali laterali; la frattura della branca mandibolare di sinistra e la lussazione temporo-mandibolare dello stesso lato; la frattura delle ossa nasali e la deviazione per schiacciamento della piramide nasale verso destra; la posizione in sede di sopralluogo della testa della vittima che appariva poggiata sul piano terra con le superfici laterali di sinistra.
Ne deriva un quadro completo della dinamica prima accennata. Infatti, al primo impatto delle strutture metalliche si produsse, per contraccolpo, la lesione escoriata-contusa con lacerazione alla regione frontale destra che poggiava sul piano terra; subito dopo nel suo rotamento la testa si venne a trovare, in un tempuscolo molto breve, poggiata sul piano terra con il naso e il mento; in quel momento sopraggiungeva un’altra struttura metallica che impattava sulla nuca (dove produceva alcune lesioni, quelle centrali) e comprimeva il capo sì da fratturare le ossa nasali; ancora dopo, continuando il capo a ruotare ma continuando anche la compressione a tergo, si fratturava la branca sinistra della mandibola che era venuta a trovarsi come unico punto resistente tra il piano terra e la forza compressiva posteriore. Non si fratturava la branca di destra proprio perché la testa in questo tempuscolo, come già detto, era in rotazione e quindi la leva tra due punti di forza, piano terra e compressione posteriore, era costituita dalla branca di sinistra. Immediatamente dopo veniva leso il padiglione auricolare di destra, e, in sede contrapposta, anche il frontale di sinistra dove si produceva l’ecchimosi escoriata con lesione cutanea; sempre contemporaneamente il naso veniva schiacciato verso destra. La regione frontale mediale non riportava vaste lesioni perché mai a contatto pieno col terreno; infatti anche quando la testa aveva la parte anteriore del volto sul piano terra i punti più sporgenti erano costituiti dal naso e dal mento.
Per quanto riguarda le lesioni alla regione latero-posteriore del collo, la loro direzione nettamente trasversale e obliqua – in uno con la loro caratteristica di escoriazioni “seriate” – le indica come inequivocabilmente prodotte da un mezzo che agì per strisciamento in senso trasversale all’asse corporeo.
Analoghe considerazioni possono essere avanzate per le numerose escoriazioni presenti alla regione posteriore della spalla sinistra, alla regione dorsale e, ancora più fondatamente, per quelle presenti sulla regione lombare. Per tutte esse, infatti, i periti indicano una direzione trasversale e obliqua e per le più basse parlano di «infiltrazione emorragica più accentuata». Quest’ultimo particolare è chiaramente indicativo dell’azione di un mezzo che abbia anche compresso oltre che escoriato, così come è tipico del pneumatico.
Non trascurabili, infine, sempre per una ricostruzione della direzione di attraversamento, appaiono alcune delle lesioni all’arto superiore sinistro e in particolare quelle presenti sul braccio. Infatti, tenendo presente che al momento del rinvenimento del cadavere l’arto superiore si trova piegato a livello del gomito, appare verosimile che le lesioni sopra ricordate siano state prodotte dalle strutture metalliche, ancorché non sia da escludere l’azione compressiva delle ruote almeno per quanto concerne alcune escoriazioni.
Al termine della suesposta ricostruzione appare doveroso sottolineare che del vasto complesso lesivo presente sulle regioni posteriori del capo, l’ampia lacerazione scollata verso il basso sulla regione nucale di sinistra, per i suoi caratteri potrebbe anche essere indicativa di una azione traumatica da mezzo contusivo che agì direttamente prima del sormontamento del corpo della vittima. Comunque su tale particolare torneremo in seguito.
Affrontando ora il problema specifico del passaggio dei pneumatici sul corpo della vittima, va ricordato che oltre alle summenzionate lesioni posteriori erano presenti, sulle superfici anteriori del corpo, varie lesioni per lo più non infiltrate, e una escoriazione con ecchimosi in corrispondenza della spina iliaca antero superiore di sinistra. Inoltre non risultavano, all’esame autoptico, infiltrazioni emorragiche delle pareti toraciche e di quelle addominali, mentre venivano riscontrate 10 fratture costali, lo scoppio del cuore, e due lacerazioni del fegato, di cui una molto ampia (15 cm).
Nell’insieme di tutte le lesioni (cutanee anteriori e posteriori, ossee, viscerali) si ravvisano le tipiche caratteristiche lesive del sormontamento a opera di pneumatici, quali sogliono riscontrarsi nell’infortunistica stradale; scarsità di lesioni esterne per lo più rappresentate da escoriazioni non infiltrate di sangue e da qualche ecchimosi nelle zone con resistenza ossea sottostante (come quella nella specie presente sulla spina iliaca di sinistra e sulle ultime costole di sinistra), imponenza del quadro lesivo interno rappresentato da fratture ossee e rotture viscerali.
Non sembra che nel caso specifico si possa parlare di «relativa modestia del quadro fratturativo costale» (pagg. 76, 77 della relazione peritale) trattandosi di 10 fratture costali; né pare da condividere l’affermazione di «irregolare distribuzione dei punti di frattura» (pag. 77 della relazione peritale) laddove si tengano presenti sia le linee di distribuzione (emiclaveare destra ed emiclaveare sinistra, ascellare anteriore sinistra e ascellare posteriore destra), sia i punti di frattura (IV, V, VII e VIII costola a destra, VI, VII, VIII e IX a sinistra), e sia, infine, la frattura sternale che era situazione pressoché a livello di una zona di frattura costale, terzo spazio intercostale.
Allo stesso modo non si può condividere l’affermazione di una relativa modestia del quadro lesivo viscerale (pag. 77 relazione) in presenza di uno scoppio del cuore e di lacerazioni epatiche (queste ultime mai ricordate dai Periti nelle considerazioni).
In definitiva, non risulta dalla traumatologia medico-legale, e dalla comune giornaliera esperienza di infortunistica stradale, che nel sormontamento del corpo umano da parte di pneumatici il «franamento del torace» e la «lacerazione del pericardio» o comunque «ben più gravi lesioni da scoppio dei visceri interni» debbano essere assolutamente presenti così come affermano i Periti (pag. 77 della relazione). Al contrario, la pratica giornaliera dimostra che sono più che sufficienti – come nel caso specifico – 10 fratture costali, la frattura dello sterno, lo scoppio del cuore, due lacerazioni del fegato.
Per quanto riguarda, poi, l’assenza di “impronte cutanee” o sulle vesti, prodotte da pneumatici, la loro obiettivazione costituisce dato tutt’altro che costante così come risulta proprio dalla letteratura in proposito.
Concludendo, da tutti gli elementi obiettivi appare come più attendibile che il sormontamento del corpo di Pasolini a opera della propria autovettura sia avvenuto con la seguente dinamica: l’auto, sopraggiungendo da destra rispetto al corpo, lo ha sormontato con le due ruote di sinistra secondo una direzione nettamente obliqua dal basso in alto e da destra verso sinistra lungo una linea ideale che dalla base dell’arcata costale raggiungeva la regione scapolare sinistra; le ruote stesse producevano lesioni cutanee dirette alle regioni dorsali e lombari (queste ultime rappresentate da tipiche escoriazioni prodotte dal bordo esterno del pneumatico), lesioni cutanee indirette all’addome e al torace, due lacerazioni del fegato, le fratture costali, frattura dello sterno, scoppio del cuore. Durante il passaggio le strutture metalliche producevano direttamente molte lesioni lacere e lacero-contuse al capo, la lesione trasversale dei padiglioni auricolari, il distacco dal suo impianto del padiglione auricolare di sinistra, le escoriazioni seriate alla regione postero-laterale sinistra del collo; e indirettamente le fratture della branca mandibolare sinistra, la frattura delle ossa e delle cartilagini nasali, le ecchimosi escoriate e lacerazioni cutanee alle regioni frontali; probabilmente alcune delle lesioni all’arto superiore sinistro.
Appare quanto mai poco verosimile che l’autovettura sia passata sul corpo della vittima in senso caudo-craniale senza sormontarlo con le ruote ma attingendolo soltanto in successivi momenti con le strutture metalliche, per le seguenti ragioni:
1) assenza di “materiale ferroso” (non meglio identificato dai Periti) di presumibile provenienza dalle strutture metalliche della autovettura, sui pantaloni indossati dal cadavere;
2) assenza di qualsivoglia lacerazione dei pantaloni stessi;
3) assenza di ampie e numerose lacerazioni della canottiera come sarebbe da attendersi in una dinamica così ipotizzata date le sporgenti strutture metalliche;
4) assenza di qualsivoglia lesione a carico dei tessuti di rivestimento e delle ossa del bacino e degli arti inferiori, considerando che strutture molto resistenti quali il longherone del telaio della fiancata vengono a distare, rispettivamente, cm 14 e cm 13,5 laddove la distanza dalla sommità dei glutei a terra è, in un soggetto della corporatura di Pasolini, di cm 18-20 circa; e la distanza dalla superficie posteriore delle cosce a terra è di cm 14 circa. Da non dimenticare che altre strutture metalliche della autovettura distano, da terra, 12 e 13 cm;
5) assenza di lesioni da strappamento del cuoio capelluto con direzione dal basso in alto quali si sarebbero certamente dovute verificare per il dimostrato impatto sul capo di strutture metalliche a larga superficie con bordi netti: i due silenziatori del tubo di scarico;
6) assenza di vaste lacerazioni cutanee al dorso – con direzione
dal basso in alto – sempre considerando l’altezza da terra delle strutture metalliche e lo spessore del torace di Pasolini, che è risultato di cm 23 (pag. 45 della relazione peritale).
Dinamica dell’aggressione. Ipotesi sulla presenza di più aggressori.
Pur condividendo in parte quanto affermato dai Periti di ufficio circa le difficoltà che in genere si incontrano nella identificazione dei mezzi produttori di lesioni contusive, riteniamo che una tale affermazione non debba mai escludere il particolareggiato esame di ogni elemento obiettivo per giungere quanto meno alla prospettazione di ipotesi.
Gli elementi obiettivi di maggiore interesse che si rilevano dall’esame dei reperti, dai dati di sopralluogo, e dall’esame dei complessi lesivi, sono i seguenti:
1) il paletto più corto (cm 40,5 circa) è completamente macchiato di sangue e presenta adesi, alle due estremità, capelli appartenenti a Pasolini;
2) il paletto più lungo (cm 58) presenta una piccola macchia ematica proveniente dal sangue di Pasolini;
3) la tavoletta di legno recante la dicitura “Buttinelli A.” presenta imbrattamento ematico con adesione di capelli appartenenti a Pasolini in quattro zone distinte;
4) la tavoletta di legno recante la scritta “Via Idroscalo 93” presenta il margine inferiore “nel suo terzo di sinistra” massivamente imbrattato di sangue; e presenta altresì formazioni pilifere appartenenti ai capelli di Pasolini adesi sulla superficie posteriore;
5) il frammento di legno trapezoidale distaccatosi dalla tavoletta sudescritta, presenta anche esso formazioni pilifere di Pasolini adese a incrostazioni ematiche;
6) la camicia a righe di Pasolini (rinvenuta a circa 70 metri dal cadavere) presenta vasta imbibizione di sangue pressoché uniformemente diffusa sulla superficie posteriore e sulle maniche, mentre scarsissime sono le macchie di sangue presenti sulle superfici anteriori;
7) sul polsino sinistro della maglia di lana a carne del Pelosi la macchia di imbibizione rossastra (risultata poi essere di natura ematica prodotta dal sangue del Pasolini) non è «vasta» (pag. 15 della relazione sui reperti) ma misura alcuni centimetri di larghezza e lunghezza;
8) la macchia di sangue (risultata poi appartenente al sangue del Pelosi) e rinvenuta sul bordo anteriore della canottiera del Pelosi, è delle dimensioni di 3 cm;
9) la parte inferiore della gamba destra dei pantaloni di Pelosi non è «diffusamente imbrattata» (pag. 14 della relazione sui reperti) di materiale ematico (risultato poi essere sangue di Pasolini), ma presenta diverse macchie di sangue commisto a vasto imbrattamento di fango;
10) nessun indumento di Pelosi – tranne il polsino sinistro della maglia e il fondo della gamba destra dei pantaloni di cui sopra – presenta residui ematici del sangue di Pasolini;
11) la lesione al capo del Pelosi non presentava zone circostanti ecchimotiche né escoriate;
12) prima di essere arrestato, il Pelosi, a bordo dell’autovettura di Pasolini condotta a forte velocità, fu “incastrato” di colpo contro un marciapiede da un’auto della Polizia;
13) il corpo di Pasolini fu rinvenuto a circa 70 metri dalla sua camicia che appariva regolarmente sfilata;
14) nelle vicinanze della camicia furono rinvenuti i due frammenti del bastone e le due metà della tavoletta;
15) la tavoletta originariamente si trovava vicino al posto in cui fu rinvenuto il corpo di Pasolini;
16) presenza di sangue di Pasolini sul tetto della propria auto.
Per quanto riguarda le lesioni presentate da Pasolini si rinvia alla prima parte della presente relazione.
Sulla base dei dati riportati, in uno con quanto visibile dalle fotografie del sopralluogo, possono avanzarsi le seguenti considerazioni.
I mezzi contusivi rinvenuti sul luogo del fatto, i due pezzi di legno e le due tavolette, hanno certamente colpito reiteratamente il corpo di Pasolini. In particolare si può affermare che almeno quattro o cinque delle lesioni presenti alle regioni posteriori vanno attribuite all’azione di detti mezzi. Infatti i caratteri di alcune, quali la modesta infiltrazione ma la irregolarità dei margini e soprattutto il successivo diramarsi di lesioni collaterali, e i caratteri di altre, quali l’ecchimosi dei margini e la direzione della svasatura degli stessi, portano a ritenerle come certamente prodotte e dal mezzo a larga superficie (tavola) e da quello a stretta superficie (margine della tavola e bastone).
Altrettanto verosimile appare il riferimento del complesso ecchimotico escoriativo interessante la regione zigomatica di sinistra all’azione di un mezzo contusivo diretto, e così la zona ecchimotico-escoriativa di forma grossolanamente rettangolare situata sotto il gonion destro, nonché la ecchimosi escoriata a forma di “L” rilevata in corrispondenza della spalla destra e le molteplici escoriazioni ed ecchimosi presenti sugli arti superiori, nonché le lesioni fratturative delle falangi che stando ai rilievi di sopralluogo circa la posizione del corpo difficilmente possono riferirsi al sormontamento.
In considerazione, però, della scarsa resistenza offerta dal bastone (un legno molto secco e friabile) e relativamente anche dalla tavoletta, acquista discreto valore l’ipotesi dell’azione di altri mezzi contusivi.
Non soltanto, infatti, le fratture delle falangi fanno ipotizzare un mezzo contusivo molto più resistente di quelli rinvenuti, ma va considerata, a questo proposito, l’ampia lacerazione con perdita di sostanza (tanto che nella relazione peritale viene riferita con margini difficilmente ravvicinabili) e scollata verso il basso sulla regione nucale di sinistra. Come già accennato nel primo capitolo tale lesione proprio per i suoi caratteri porta a ritenerla prodotta da un’azione tangenziale dall’alto in basso, sicché non è da escludere che possa essere stata prodotta in questa fase dell’evento lesivo ma certamente da un mezzo ben più resistente del bastone e della tavoletta.
L’ipotesi dell’uso di altri mezzi contusivi si prospetta, poi, con maggiore interesse, là dove si tengano presenti alcuni elementi di sopralluogo: il punto di rinvenimento della camicia di Pasolini (a circa 70 metri dal corpo), la disposizione delle macchie di sangue sulla camicia dello stesso, l’integrità di tale indumento, luogo dove fu usata la tavoletta, e luogo dove fu usato il bastone.
Un attento esame di questi elementi porta a una prima indiscutibile ricostruzione della dinamica dei fatti: Pasolini in un primo momento, e in un luogo situato a circa 70 metri dalla definitiva caduta del corpo, fu violentemente percosso al capo e le ferite sanguinarono abbondantemente. La prova inconfutabile di ciò è data dall’abbondante impregnazione di sangue della camicia e al rinvenimento di essa in una zona appunto situata a circa 70 metri dal cadavere. Quest’ultimo elemento, data l’integrità dell’indumento, indica che fu la vittima stessa a togliersi la camicia dopo che con le braccia (risultate inzuppate anche esse di sangue) si era riparato il capo o comunque aveva tentato una difesa.
Quale fu il mezzo che produsse cosi vaste lesioni?
È a questo interrogativo che appare veramente difficile rispondere qualora si ipotizzi il solo bastone, premesso che certamente in quella prima fase non fu usata la tavoletta la quale era sul cancello di legno del Buttinelli a circa 70 metri di distanza (laddove fu poi rinvenuto il cadavere di Pasolini), e che quindi venne usata nella seconda fase dell’aggressione.
Sorge quindi con fondatezza l’ipotesi di un altro mezzo contusivo il quale abbia agito nella prima fase dell’aggressione.
Ma comincia a prospettarsi, a questo punto, anche l’ipotesi di un altro o di altri aggressori.
C’è da chiedersi infatti chi ha fatto uso dell’altro mezzo contusivo e, soprattutto, resta da spiegare l’assenza di tracce ematiche sulle superfici anteriori degli indumenti di Pelosi (tranne una macchia al polsino di sinistra della maglia) quali sarebbero dovute presentarsi fin da questa prima fase dell’aggressione che produsse certamente abbondante emorragia.
Non riteniamo di dover ricordare la notevole vascolarizzazione del cuoio capelluto, ma vogliamo soltanto far presente che quella emorragia, o comunque le lesioni che la produssero, ben difficilmente può far escludere l’interessamento di vasi arteriosi e quindi emorragie a “nappo”.
Tali perplessità acquistano maggior valore, poi, quando si passa a esaminare la seconda fase dell’aggressione nella quale fu certamente fatto uso della tavoletta. Questo mezzo, infatti, fu usato di piatto e di taglio più volte, e certamente anche sul capo della vittima (in differenti zone della tavoletta erano presenti formazioni pilifere di Pasolini); esso è sì della lunghezza di 75 cm, ma su una delle superfici larghe presenta una intensa macchia di sangue con intrisi più capelli, il che fa ritenere un suo uso violento e quindi la sicura produzione di una emorragia a nappo che molto stranamente non ha mai attinto le vesti del Pelosi. E d’altra parte appare molto artificioso ipotizzare un’aggressione con mezzi contudenti operata ad arti sempre estesi!
In definitiva, che dalla scena del fatto delittuoso non possa escludersi la presenza attiva del Pelosi è dimostrato se non altro dalla macchia di sangue sul polsino della sua maglia e dalle macchie sul bordo inferiore del suo pantalone, ma che il Pelosi non fosse solo è quasi altrettanto sicuro per la modestia dell’imbrattamento delle sue vesti che lascia perplesso chiunque abbia una se pur modesta esperienza di lesività.
Non riteniamo, a tale proposito, necessario – pur riservandoci di farlo in determinate circostanze – produrre testi o lavori di criminologia e pubblicazioni fotografiche di polizia scientifica, ma vorremmo soltanto ricordare quelle situazioni di imbrattamento ematico diffuso che sogliono riscontrarsi nei sopralluoghi di ambienti dove la vittima è stata attinta al capo da mezzi contusivi. In definitiva, sono due gli elementi obiettivi più rilevanti che portano a prospettare come quasi certa la presenza di altri aggressori e l’uso di altri mezzi: la sproporzione tra il bastone di legno che produsse sicuramente ferite al cuoio capelluto e l’entità delle lesioni stesse; l’imponente emorragia verificatasi fin dalla prima fase della colluttazione e la modestia dell’imbrattamento ematico sulle vesti del Pelosi.
Un altro elemento, poi è insito in ognuna delle varie ipotesi che sono prospettabili circa tutta la dinamica del fatto, e cioè la assenza o meno di una reazione di Pasolini e quindi il verificarsi o no di una colluttazione.
È certo che Pasolini ricevette un violento trauma contusivo ai testicoli. Orbene, se tale trauma si verificò nella prima fase, esso impedì a Pasolini ogni reazione lasciandolo alla mercé dell’aggressore e non permettendogli quindi, anche perché ripetutamente colpito al capo, di togliersi la camicia, di alzarsi e di percorrere da solo circa 70 metri; e l’aggressore, d’altra parte, avrebbe potuto continuare a infierire sullo stesso posto con lo stesso bastone fino a lasciare esanime la vittima. Se, al contrario e come pare più attendibile, il trauma contusivo ai testicoli si verificò nella seconda fase quando Pasolini cadde veramente esanime e fu allora alla mercé dell’aggressore che infierì con la tavola, allora appare davvero poco credibile che nella prima fase non vi sia stata una colluttazione tra vittima e aggressore, colluttazione durante la quale la vicinanza dei corpi rende veramente contraddittoria la constatazione che il Pelosi sia rimasto indenne da ampi imbrattamenti di sangue.
Dalle indagini di laboratorio è stato dimostrato che i residui ematici rilevati all’interno dell’autovettura di Pasolini, così come quelli presenti sulla canottiera del Pelosi, hanno le stesse proprietà gruppo-specifiche del Pelosi. Su questo dato obiettivo si possono avanzare soltanto due ipotesi: o il Pelosi ha partecipato a una colluttazione con Pasolini e allora egli non poteva essere solo perché troppo “pulito” come abbiamo detto prima; oppure la lesione alla regione frontale di Pelosi è stata prodotta in un momento successivo e verosimilmente per urto contro il volante quando, come all’inizio ricordato, egli fu violentemente “incastrato” alla guida dell’autovettura rubata, e condotta a forte velocità, da un’auto della Polizia. Comunque, in questa seconda ipotesi, torna a prospettarsi una assoluta mancanza di qualsivoglia reazione da parte di Pasolini e quindi la più che verosimile presenza di altre persone.
Ancora perplessità molto gravi desta la presenza di sangue di Pasolini, descritto dai Periti come «piccole e tenui incrostazioni», sul tetto dell’autovettura dello scrittore, e più precisamente in vicinanza del bordo del tetto stesso a livello della parte posteriore della portiera di destra.
Evidentemente anche per questo dato obiettivo si possono avanzare soltanto due ipotesi: o il sangue è stato “depositato” in quel punto direttamente da Pasolini stesso, o vi è stato “trasportato” indirettamente dall’aggressore. Nel primo caso – considerando l’altezza da terra del punto in cui erano situate le tracce ematiche e la presenza di una struttura metallica con bordo quasi tagliente quale lo sgocciolatoio – si potrebbe anzitutto ritenere che la testa di Pasolini vi abbia direttamente battuto durante la colluttazione, ma una tale ipotesi appare contraddetta dalla scarsità del sangue nonché dall’assenza di altri elementi biologici (capelli), quantunque a questo proposito non possa sottovalutarsi il lungo tempo intercorso tra i fatti e l’osservazione dell’auto da parte dei Periti.
Resta allora da considerare la possibilità – ancora nell’ambito della prima ipotesi – che durante l’aggressione Pasolini sia stato proiettato contro l’autovettura sì da urtarvi con le parti superiori del tronco e quindi schizzare sangue sul tetto dell’auto o che, sempre durante la colluttazione, Pasolini si sia venuto a trovare vicino alla propria autovettura e vi si sia appoggiato con una mano già imbrattata di sangue.
In tutte e due queste eventualità, però, viene a configurarsi una nuova dinamica dell’aggressione che non trova alcuna rispondenza nei racconti del Pelosi. Quest’ultimo, infatti, in tutti i suoi interrogatori ha sempre descritto una primissima fase di aggressività di Pasolini iniziata in vicinanza della rete di recinzione (a circa 20 metri cioè da dove era rimasta posteggiata l’auto) e poi sviluppatasi lungo un percorso di molti metri (50 circa in direzione del punto dove fu poi trovato il corpo di Pasolini) durante il quale sarebbe cominciata la sua reazione.
Orbene, dovendo considerare assolutamente inattendibile la versione fornita da Pelosi per l’assenza sul suo corpo e sulle sue vesti dei segni di così violente percosse, viene a ripresentarsi ancora una volta il “vuoto” nella prima fase, ovverossia torna l’interrogativo sulla successione esatta dei primi tempi e soprattutto si prospetta sempre di più l’ipotesi di una prima fase molto “movimentata” svoltasi in vicinanza dell’autovettura (presenza della camicia insanguinata, uso reiterato del bastone o comunque di un corpo contundente, sangue di Pasolini sul tetto della propria autovettura) e quindi l’ipotesi di una aggressione a opera di più persone, data sempre la scarsa verosimiglianza – per le ragioni prima riferite – di un primo susseguirsi di violenza del solo Pelosi contro Pasolini pressoché inerme.
Qualora, poi, si volesse ipotizzare un “trasporto” del sangue di Pasolini sul tetto della sua autovettura a opera di Pelosi, anzitutto ci si dovrebbe chiedere di nuovo come l’imbrattamento da sangue interessasse soltanto le mani dell’aggressore, e in secondo luogo perché egli avesse necessità di portarsi sul lato destro dell’autovettura.
Per concludere, l’esame approfondito di tutti i dati obiettivi (sopralluogo, interrogatori di Pelosi, reperti, bastone, tavola, vesti, lesioni di Pasolini) da una parte smentisce il racconto di Pelosi sulla dinamica di tutta l’aggressione, e dall’altra induce ad avanzare con fondatezza l’ipotesi che Pasolini sia stato vittima dell’aggressione di più persone.