Una riflessione di Massimo Fusillo: “PPP, l’identità e il mito” (2005)

PAGINE CORSARE

Fondo Angela Molteni

La vita

Un appuntamento importante con la grande cultura cinematografica italiana. Un momento di attenta analisi e riflessione su uno scrittore e regista che anche nel 2005, a trenta anni dalla morte, ha continuato  a far parlare di sé per i molteplici messaggi consegnati in numerosi capolavori. Su Pier Paolo Pasolini, Vancouver ha ospitato nel giugno 2005 una mostra-rassegna su uno dei tanti aspetti dell’artista italiano. Ad organizzarla, presso la Cinémathèque di Howe Street, a Downtown, nel cuore della bella cittadina canadese, l’Associazione “Fondo Pier Paolo Pasolini”, Cinecittà Holding e ancora l’Istituto Italiano di Cultura guidato allora dal direttore Antonio Cosenza. Si è trattato prima di tutto di una proficua tavola rotonda sul regista, di una conferenza su uno degli aspetti più importanti dell’artista, vale a dire il suo rapporto con il mito e la cultura classica dell’antica Grecia, presenti nelle pellicole cinematografiche.
A parlare di Pasolini e su Pasolini c’era uno dei massimi esperti in Italia, Massimo Fusillo dell’Università dell’Aquila, che ha illustrato la figura dello scrittore al pubblico non solo italiano e ai tanti media presenti. Sulle motivazioni che hanno spinto all’organizzazione di un appuntamento incentrato su un artista di non facile comprensione, anche se sempre attuale, Nick Vultaggio e Alfredo Iannaccone hanno intervistato proprio Fusillo, che così ha delineato anche il senso profondo della testimonianza intellettuale e culturale di Pasolini, allora a trenta anni dalla scomparsa.

“Vancouver: la comune difesa dell’identità culturale avvicina Pasolini agli italiani all’estero”
Intervista a Massimo Fusillo  di Nick Vultaggio – Alfredo Iannaccone

“Pagine corsare” – 30 giugno 2005

Massimo Fusillo
Massimo Fusillo

Per quale ragione avete deciso di organizzare una mostra-rassegna sul cinema pasoliniano, a 30 anni dalla sua morte, e quali sono gli aspetti principali di un evento così importante per la cultura nostrana? 
La conferenza tratta il rapporto tra Pasolini e la tragedia greca, il mito Greco e la cultura classica. È un rapporto molto intenso che ha coinvolto un po’ tutti i linguaggi in cui Pasolini si è espresso nell’arco della sua vita, soprattutto il cinema e il teatro ma anche nella sua attività di traduttore, scrittore, critico e anche giornalista. Perché per lui il mondo greco era una metafora della civiltà contadina e di una serie di argomenti che alla fine erano sempre al centro della sua attività poetica.

Lei è considerato uno dei massimi esperti dell’artista Pasolini: qual è oggi il messaggio che il regista e scrittore ci ha lasciato, a trenta anni dalla sua scomparsa?
Pasolini non è stato un autore di grandi capolavori singoli ma la grandezza dello stesso è stata nel suo grande lavoro complessivo, un lavoro intenso e poliedrico, ricco di fascino, un lavoro che adesso è stato pubblicato in Italia in ben dieci volumi. Credo che quello che più ci abbia lasciato oggi Pierpaolo Pasolini sia questa ansia di ricerca all’interno di linguaggi diversi. Il suo cinema è un cinema che penso abbia ancora molto da dire, proprio per il suo stile molto personale, molto primitivo e povero, cioè che riesce a esprimere molto attraverso una sottrazione. E penso che in questo senso la parte più vitale della sua opera siano le sue poesie. Soprattutto le prime in dialetto friulano. Poi c’è sicuramente la parte più discussa di Pasolini, quello critico nei confronti della politica e della società italiana. Possiamo parlare ancora poi di un “Pasolini profeta”, su cui alle volte si è anche un po’ ecceduto nel descriverlo, come quasi veggente. In realtà egli è stato un personaggio perfettamente calato nella realtà del suo tempo. Indubbiamente però qualche elemento che io definirei straordinario in Pasolini c’è. Credo che la sua visione degli anni ‘70 fosse già molto lucida, egli era un precursore dei tempi, aveva capito molto di quello che in Italia sarebbe accaduto dopo la sua morte.

Che valore ha oggi la figura di Pasolini per gli italiani all’estero? 
Credo che abbia valore perché quella di Pasolini è una figura che ha sempre studiato e difeso le culture locali, senza eccessi, senza localismi nazionalistici, ma attraverso uno studio della ricchezza dei dialetti italiani, della diversità delle culture che formano il nostro paese. Egli poi è stato un autore estremamente critico nei confronti di ogni dogmatismo ideologico, sia di quella sinistra a cui lui apparteneva, sia della destra. Dunque un autore che comunque tuttora fa pensare e riflettere a fondo, e ci pone il problema di che cosa sia realmente questa identità italiana. Per cui, dal momento che i nostri connazionali che vivono all’estero sentono questo problema dell’identità in maniera ancora più forte rispetto a chi vive in patria, Pasolini e il suo pensiero sono molto vicini agli emigrati.

"Porcile". Cofanetto
“Porcile”. Cofanetto

Qual era il rapporto fra Pasolini e il concetto di mito, quello dell’antica Grecia? 
Era un rapporto molto intenso perché il mito era per Pasolini un linguaggio autonomo, in quanto era anche il luogo in cui si stratificava una cultura millenaria, arcaica, contadina. Parliamo della cultura del sacro, del rito popolare, che era quella che Pasolini difendeva in quegli anni di modernizzazione selvaggia dell’Italia, che erano gli anni in cui lui ha operato e di cui oggi si vedono i limiti evidenti. Il mito era un linguaggio che lui ha riletto sulla base dell’antropologia, della psicoanalisi, come linguaggio per capire la propria condizione psichica, la propria biografia. In questo senso, Edipo re è stato il film più autobiografico in cui Pasolini ha raccontato il proprio complesso di vita, le fasi della sua evoluzione di artista e di uomo. Quello di Pasolini è stato anche un linguaggio con cui autoanalizzarsi, ma soprattutto un linguaggio con cui analizzare i conflitti che c’erano all’interno della cultura italiana e non solo. Attraverso il mito, Pasolini ha letto realtà che lo affascinavano come quella del terzo mondo, l’Africa in cui ha girato l’ultimo e forse il più bello dei suoi film ispirato al mito greco e cioè Appunti per un’Orestiade africana. Parliamo in questo caso di un film documentario non finito perché l’ultimo Pasolini, quello prima della sua tragica scomparsa, preferiva l’abbozzo, il progetto, rispetto all’opera chiusa e finita. Vorrei ricordare in questo senso anche l’opera forse più complessa che lui ci ha lasciato, Petrolio, dove c’è una forte presenza del mito degli Argonauti, di Medea, come metafora del colonialismo nei confronti di altre culture. Questa è un’opera ricca di riferimenti politici all’Italia degli anni Settanta, agli scandali, alla corruzione, questo è romanzo incompiuto a cui egli lavorava prima di essere assassinato e a cui sicuramente avrebbe dovuto lavorare ancora molti altri anni perché doveva essere un’opera di duemila pagine e noi ne abbiamo raccolto solo seicento. Quindi un linguaggio che negli ultimi anni ha sempre conservato la sua vitalità e credo che Petrolio, che è stato pubblicato soltanto vent’anni dopo la sua morte, tuttora sia un testo su cui bisogna lavorare tanto per comprenderlo.

E, per concludere, ci parla della scelta di proiettare pellicole quali Porcile e Medea? 
Porcile e Medea sono due film che hanno molto in comune. Medea è sicuramente il film più radicale tra quelli ispirati dalla tragedia greca. Quello in cui Pasolini non ha nemmeno contaminato la tragedia greca con il presente come fa in Edipo re, ma ha cercato di creare un linguaggio atemporale arcaico, quasi onirico del mito, e l’ha fatto in maniera molto rigorosa. Questo è tra i più complessi e difficili ma, se si vuole capire che cosa significava tragedia greca e mito per Pasolini, questo è il film più adatto. Poi è l’unico film in cui ha recitato Maria Callas finora molto importante per la riscoperta della tragedia greca attraverso la musica. Porcile è un film in cui il fascino dell’arcaico emerge anche nelle sue forme più dure. È un film sul cannibalismo, su una arcaicità ancora più antica e lontana di quella greca che è la stessa arcaicità che appare all’inizio di Medea quando vediamo un sacrificio umano, cosa che non è presente nella tragedia greca e non è presente nella civiltà greca. Pasolini vuole anche andare alle origini della tragedia greca, cioè vuole andare alla ricerca di strati culturali antichi che però conservano una loro potenza simbolica e che per lui erano importanti, pur essendo egli un razionalista e fino all’ultimo una figura che ha conservato un rapporto con la psicoanalisi, il marxismo, con i modelli di lettura razionali del mondo. Insomma Pasolini era da un lato un razionale, ma dall’altro ha nutrito sempre questo amore sconfinato per l’arcaico che in Porcile si vede tantissimo.