Il 25 gennaio 2017 si terrà a Poggibonsi l’incontro a più voci Pasolini prima e dopo Pasolini, con la presenza della studiosa Carla Benedetti, del regista David Grieco e dello scrittore Francesco Ricci.
A quest’ultimo si deve il libro Pasolini, un figlio, un fratello. Gli anni friulani di Pasolini (come un romanzo), edito nel 2016 da Nuova Immagine di Siena e progettato come un evocativo ritratto interiore del poeta, maturato alla vita e agli affetti nel periodo decisivo della formazione giovanile. Una scrittura da sofferto journal intime di cui spiega i pregi Daniela Carmosino, in un’acuta recensione che qui pubblichiamo su autorizzazione dell’autore.
“Pasolini, un figlio, un fratello. Gli anni friulani di Pasolini (come un romanzo)”
di Francesco Ricci
Edizioni Nuova Immagine, Siena 2016
una recensione di Daniela Carmosino
Raccontare la vita di un artista attraverso il suo epistolario è prassi tanto abituale da costituire quasi un sottogenere della biografia. La frequenza nell’utilizzo della corrispondenza privata cresce quando si affronti uno scrittore come Pier Paolo Pasolini. Le ragioni sono forse da ricercare nell’indistricabile compresenza, in essa, di dichiarazioni di carattere estetico, esistenziale e storico-politico, tanto da renderla un’inesauribile fonte di rivelazioni (illuminante, in questo senso, il lavoro compiuto da Simona Zecchi in Pasolini. Massacro di un poeta, Ponte alle Grazie, 2015), forse per la presenza costante di una precisa gnoseologia che informa e orienta i testi pasoliniani tutti, siano essi di natura finzionale che giornalistica.
Ed è proprio questo osmotico scambio, questo reciproco nutrirsi e sostanziarsi di realtà e finzione che fertilizza di senso i testi pasoliniani, a giustificare la spericolata quanto felice operazione dello studioso Francesco Ricci, che già nel sottotitolo – come un romanzo– esplicita la propria intentio: quella di raccontare come un romanzo, attraverso una silloge di testi di natura finzionale, la realtà di una biografia intima e tormentata. Ricci è troppo avvertito per non accorgersi dei rischi cui si espone, ignorando di proposito criteri tanto filologici quanto cronologici; rischi a cui vorrei aggiungerei quello di esporsi alle obiezioni, non del tutto immotivate, relative all’utilizzo del testo letterario quale “documento” (sociologico o psicologico che sia). Ne è cosciente e perciò si cautela subito: già nel titolo, attraverso la scelta del solo e più confidenziale nome di battesimo – Pier Paolo – e delle sole qualifiche affettivo-familiari di figlio e fratello; come pure nell’Introduzione, in cui va a render ragione delle proprie scelte.
Al di là del felice risultato narrativo, cui giovano le condivisibili scelte dei testi e del loro “montaggio”, al di là della, pur dichiarata, soggettività del ritratto –tanto che quel fratello sembra alludere anche a una ideale fratellanza fra la figura del poeta e lo stesso Ricci-, l’operazione risulta apprezzabile almeno per due motivi. Il primo consiste nel contribuire a tenere in luce l’intima complessità di un poeta che, soprattutto in anni di commemorazioni, tanta critica militante e agiografica vorrebbe semplificare entro i limiti d’un saggismo e d’un giornalismo profetici. Il secondo –lo accenno brevemente, ma meriterebbe ben altre analisi- consiste nell’aver privilegiato un arco cronologico, quello dei primissimi anni della formazione artistico-culturale, indispensabile per comprendere la genesi –anche affettiva, anche psicologica- di una gnoseologia, tipicamente primo-novecentesca, sì, ma che sempre orienterà Pasolini, pur nella insaziabile sperimentazione degli ultimi anni.